Nell’ultimo anno in Italia si sono ammalate di melanoma 11.300 persone. Un trend in aumento, che vede i numeri quasi raddoppiati rispetto a 10 anni fa. Indiziato numero uno è il sole o meglio, le scottature che si collezionano nel corso della vita (in particolare da giovani) e che, per il temuto effetto-accumulo, mandano in tilt il dna delle cellule cutanee.
IDENTIKIT DEL NEO PERICOLOSO
«Da un recente studio IARC (Agenzia internazionale sul cancro), pubblicato su Lancet Oncology, emerge che anche gli eritemi solari, spesso trascurati o considerati come l’anticamera dell’abbronzatura, andrebbero evitati», puntualizza il professor Paolo Ascierto, direttore della Uoc Melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli.
«Gli eritemi solari, infatti, sono a tutti gli effetti delle scottature di primo grado ed è importante imparare a spostarsi all’ombra prima di arrivare alla cosiddetta soglia eritematosa, in cui la pelle esposta al sole diventa calda e molto arrossata».
Tumore cutaneo molto aggressivo, il melanoma può essere riconosciuto anche da un occhio inesperto, se compare in una zona del corpo facilmente ispezionabile. Appare, infatti, come un neo il cui identikit è contrassegnato dalle prime lettere dell’alfabeto. A come aspetto, cioè una forma irregolare, a carta geografica, leggermente rilevata. B come bordi, che sono frastagliati. C come colore, che non è mai uniforme ma screziato con sfumature o puntini interni più scuri, dal grigio al marrone scuro, al nero. Infine D come dimensioni, che tendono ad aumentare rapidamente, essendo la lesione molto vascolarizzata.
Fondamentale, comunque, prenotare dal dermatologo, almeno una volta all’anno, una mappatura dei nei, per esaminare bene tutto il corpo, comprese le zone che non si riesce a controllare da soli (come la schiena).
LE TERAPIE DI ULTIMA GENERAZIONE
Per comprendere i passi da gigante che sono stati compiuti sul fronte delle terapie, occorre sapere che fino a qualche anno fa la percentuale di sopravvivenza del melanoma, a distanza di due anni dalla sua comparsa, era del 2%. Una percentuale sensibilmente aumentata grazie all’avvento dell’immunoterapia oncologica, che oggi è considerata il quarto pilastro nel trattamento dei tumori, insieme alla chirurgia, alla radioterapia e alla chemioterapia.
«Merito dell’avvento degli anticorpi monoclonali messi a punto dalla ricerca farmaceutica e in particolare dei cosiddetti checkpoint inhibitors che hanno un meccanismo d’azione ben preciso», spiega il professor Ascierto. «Per proliferare indisturbate, infatti, le cellule tumorali riescono a “ingannare” e dribblare i linfociti T, le sentinelle specializzate del nostro sistema immunitario.
Questa forma di evasione avviene attraverso dei punti di controllo (i checkpoint, appunto), diventati bersaglio degli anticorpi monoclonali. Nel 2011 è stato introdotto ipilimumab che ha migliorato la risposta antitumorale del sistema immunitario. Così, si è riusciti a prolungare la sopravvivenza a lungo termine: il 20% dei pazienti trattati con questo nuovo farmaco sopravvivono oltre i 5 anni. Viene somministrato per via endovenosa ogni tre settimane, fino a regressione della malattia».
IL FARMACO APPENA APPROVATO
Nel luglio scorso, è arrivato in Europa un nuovo anticorpo monoclonale: pembrolizumab. È diretto contro un altro checkpoint ribattezzato PD-L1 e viene somministrato per via endovenosa solo 4 volte, ogni 3 settimane, perché il sistema immunitario, risvegliato alla sua missione, conserva la “memoria biologica” delle azioni compiute.
«Non abbiamo ancora cifre ufficiali sulla sua efficacia, in termini di sopravvivenza a lungo termine», conclude Ascierto. «Ma le proiezioni parlano di una sopravvivenza a 5 anni del 40%. Va precisato che lo scopo di queste innovative terapie immunoterapiche non è tanto quello di arrivare alla completa guarigione, ma a una cronicizzazione della malattia (come per i malati di Aids, per intenderci) garantendo una buona qualità di vita a tutti».
LE REGOLE D'ORO DELLA FOTOPROTEZIONE
Un luogo comune da sfatare è che il melanoma colpisca solo chi ha la carnagione chiara. In realtà viene chiamata “la malattia dei colletti bianchi” (alludendo agli impiegati) perché interessa tutti coloro che si sottopongono a overdosi di ultravioletti per abbronzarsi nel più breve tempo possibile. «Nelle persone affette da melanoma sono state infatti riscontrate delle mutazioni genetiche, molto probabilmente non presenti dalla nascita ma fotoindotte», spiega professor Giuseppe Monfrecola, docente di dermatologia all’Università Federico II di Napoli.
«Occorre quindi prendere il sole “a dosi omeopatiche” e con una corretta protezione, utilizzando creme solari SPF 50+ e tenendo presente che il filtro scritto in grande si riferisce solo agli UVB. Bisogna quindi controllare sulla confezione
che il solare prescelto abbia un’adeguata protezione anche contro gli UVA, che non dev’essere inferiore al 50% di quella UVB».