Melanina, il pigmento della salute: cos’è e a cosa serve

Tutti conosciamo la melanina perché regala il tipico colore abbronzato alla nostra pelle esposta al sole. E c’è di più: questo pigmento offre vantaggi che si estendono all’intero organismo



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La tintarella di luna farà anche “bella tra le belle”, come cantava Mina. Ma oggi alla pelle chiara preferiamo una carnagione dorata, mediterranea. A regalarla è la melanina, il pigmento bruno che aumenta quando ci abbronziamo, proteggendoci parzialmente dagli effetti nocivi delle radiazioni solari. Negli ultimi anni, però, la scienza ne ha evidenziato il ruolo in tanti altri processi fisiologici, con conseguenze a livello dell’intero organismo. A parlarcene è la dottoressa Marta Giacomello, ricercatrice presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova. Cerchiamo di capire con lei che cos'è la melanina e a che cosa serve.


Cosa si sa della melanina e cosa ancora deve essere chiarito?

«Al momento conosciamo sia le reazioni chimiche che portano alla sua produzione sia alcuni enzimi, come la tirosinasi, che facilitano questi processi. In compenso, sappiamo poco o nulla di tutto ciò che avviene all’interno delle nostre cellule per controllare, indurre o inibire quelle stesse reazioni».



E questo cosa implica?

«Che probabilmente la melanina è coinvolta in molti più meccanismi biologici di quanti ne conosciamo e immaginiamo. Fino a oggi il suo studio è stato marginale, perché la melanina è sempre stata considerata il “colorante” della pelle. Invece, c’è molto di più».


Per esempio, si dice che renda più efficienti le difese immunitarie. Qual è la relazione?

«Alcuni studi condotti sui topi, a cui sono stati somministrati degli estratti di melanina, hanno dimostrato che questo pigmento è in grado di aumentare la produzione di interleuchina 1 e di interferone gamma, due citochine (proteine) prodotte naturalmente dalle nostre cellule immunitarie in risposta agli agenti infettivi. In futuro, questo potrebbe aprire nuove prospettive di ricerca».


Ma allora chi ha la carnagione molto chiara si ammala di più?

«Dirlo è prematuro e comunque va ricordato che ogni patologia rappresenta l’esito di più elementi scatenanti: predisposizione genetica, stile di vita, fattori ambientali. È difficile pertanto concludere che il solo fatto di avere minori quantità di melanina possa renderci più fragili e suscettibili alle malattie».


Questo vale anche per le persone che soffrono di vitiligine o albinismo, quindi?

«Sì, a oggi non abbiamo gli strumenti per dire che tali individui siano più esposti anche ad altre patologie. L’unica certezza è che la minore quantità di melanina viene correlata a un maggiore danno del sole sulla pelle, perché siamo meno protetti, quindi apre facilmente la strada ai tumori cutanei».


Anche perché non tutti ne abbiamo la stessa quantità…

«Ognuno di noi possiede una personale tonalità, variabile in funzione di qualità, quantità e distribuzione della melanina: queste sono influenzate dalla genetica individuale, ma anche dalla maggiore o minore esposizione ai raggi solari, per cui cambia fra le diverse popolazioni del mondo perché è frutto di un adattamento evolutivo».


Viene prodotta solo a livello cutaneo oppure la troviamo anche in altri organi o tessuti del corpo?

«Sicuramente è presente a livello della retina e del cuoio capelluto, perché determina il colore dei nostri occhi e capelli. Inoltre, sorpresa, c’è anche nel cervello».


Davvero?

«Sì. Chiariamo un concetto: la melanina non è una sola, perché ne esistono diverse tipologie. Le due forme principali sono l’eumelanina, di colore marrone-nero, e la feomelanina, dal tono giallo-rosso: la loro combinazione dà origine alle nostre tinte naturali, quelle di pelle, occhi e capelli. Ma ne esiste anche una terza forma, la neuromelanina, sostanza molto scura che si trova in particolare all’interno di due aree cerebrali, la substantia nigra e il locus coeruleus, entrambe fondamentali nel campo delle patologie neurodegenerative, perché spesso proprio qui troviamo alterazioni molto evidenti».


Quindi esiste un nesso fra un’alterata produzione di melanina e gravi patologie del sistema nervoso centrale, come Alzheimer o Parkinson?

«Oggi sappiamo che nella malattia di Parkinson vengono persi alcuni tipi di neuroni, molti dei quali si trovano proprio nella substantia nigra. Ai giusti livelli, la neuromelanina potrebbe proteggere da questa degenerazione grazie alle sue proprietà antiossidanti, perché agisce da “scavenger”, cioè da spazzino molecolare che ripulisce dai radicali liberi. Ciò significa che una carenza di questo pigmento potrebbe rendere il cervello più suscettibile all’accumulo dirifiuti cellulari” potenzialmente neurotossici».


Dunque, la neuromelanina contribuisce alla salute cerebrale…

«Sì, almeno in condizioni normali. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono che quando i neuroni muoiono a causa della malattia di Parkinson o altre patologie la neuromelanina stimola la microglia (una tipologia di cellule che si occupano della difesa immunitaria del sistema nervoso centrale) a rilasciare sostanze tossiche che innescano un processo infiammatorio. Questo determinerebbe la degenerazione e la morte di altri neuroni, contribuendo alla progressione della malattia. Ecco perché la messa a punto di inibitori della neuromelanina, in grado di bloccare l’attivazione della microglia, potrebbe rappresentare un nuovo obiettivo terapeutico contro la malattia di Parkinson».


La neuromelanina, quella buona e protettiva, non viene stimolata dai raggi solari come quella cutanea, vero? Nel senso che esporci al sole è inutile in questa direzione?

«Non lo sappiamo. I meccanismi di produzione della neuromelanina sono ancora poco chiari, anche se pare ci siano degli enzimi in comune con le altre forme cutanee».


Ci sono altri effetti della melanina a livello di salute generale?

«Già nel 1993, il ricercatore svedese Bengt Larsson aveva mostrato la sua particolare capacità di “catturare” sostanze chimiche come ammine, metalli e idrocarburi policiclici aromatici, presenti in farmaci o alimenti, rilasciandole poi lentamente in concentrazioni non tossiche. Altri studi, invece, hanno messo in evidenza i benefici della melanina sia sulla salute epatica sia su quella gastrica, dove sembra proteggere dalle ulcere indotte da alcol, stress o antinfiammatori. E poi c’è chi ipotizza un potere antitumorale, una forte azione antinfiammatoria e addirittura un effetto ipoglicemizzante».


Certi medicinali causano la formazione di macchie dopo l’esposizione solare. Come agiscono sulla produzione di melanina?

«Alcuni farmaci, detti fotosensibilizzanti, “legano” la melanina, cioè la sequestrano e di conseguenza rendono certi tessuti del corpo più sensibili alla luce. È il caso, per esempio, di antinfiammatori molto comuni, come ketoprofene e naprossene, ma anche di antibiotici, tipo tetracicline e sulfamidici. Altri medicinali invece intervengono direttamente nei processi di produzione della melanina, amplificandoli oppure diminuendoli. È quello che avviene con la pillola anticoncezionale, in grado talvolta di provocare melasma, una condizione cutanea caratterizzata dalla presenza di chiazze scure sulla pelle del viso e dovuta proprio a un accumulo di melanina: è molto frequente nelle giovani donne e sembra dipendere da un innalzamento degli estrogeni nel sangue».


Esiste un modo per incrementare i livelli di melanina a nostro favore?

«Ci sono diversi integratori naturali a base di sostanze coinvolte nella sintesi della melanina, come la tirosina, arricchiti di vitamine, amminoacidi e sali minerali. Ma la tirosina si può assumere anche con la dieta, perché ne sono ricchi alimenti come latticini, carne, pesce, uova, frutta secca, legumi, avena e grano. Inoltre, ovviamente, con l’arrivo della bella stagione, trascorriamo del tempo all’aria aperta ed esponiamoci al sole, sempre con la dovuta protezione».



UNA MOLECOLA SOSIA DELLA MELANINA PER TINGERE I CAPELLI

Le tinte per capelli potrebbero diventare presto più soft grazie a una molecola “sosia” della melanina, che resiste per 18 lavaggi. La promessa, pubblicata sulla rivista ACS Central Science, si deve all’americana Northwestern University, dove i ricercatori hanno elaborato colorazioni dall’aspetto naturale e in grado di depositarsi solo sulla superficie dei capelli, invece che penetrare nella cuticola


UN TIPO DI MELANINA POTREBBE ESSERE USATO NEL PACEMAKER

La scienza sta valutando la possibilità di sfruttare un tipo di melanina (l’eumelanina) come materiale conduttivo nei circuiti impiantabili del futuro, vedi i pacemaker. I ricercatori vogliono sbloccarne il potenziale per creare una nuova generazione di dispositivi, ancora più avanzata.



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Articolo pubblicato sul n. 5 di Starbene in edicola e nella app dal 13 aprile 2021

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