Impianti dentali mal posizionati: perché succede
Se ne fanno milioni l’anno, ma non sempre tutto fila liscio. Secondo dati recenti addirittura quattro su dieci sarebbero mal posizionati. A cui si aggiungono gli errori di manutenzione
Sono passati oltre 60 anni da quando, nel 1961, l’italiano Stefano Tramonte progettò la prima vite in grado di sostituire completamente, una volta inserita chirurgicamente nell’osso, un elemento mancante o “senza speranza” (come dicono i dentisti).
Da allora l'implantologia non solo ha rappresentato la più importante rivoluzione in odontoiatria, ma ne ha fatta di strada, tanto da diventare un trattamento molto richiesto, nonostante i costi.
Solo nel 2024, secondo l’Istituto di ricerche specializzato Key-Stone, nel nostro Paese sono stati realizzati più di 2 milioni di impianti dentali, con una spesa di oltre 2 miliardi di euro (il costo medio per dente oscilla fra i 1000 e i 3200 euro). C’è un “ma”: per la Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) 4 impianti su 10 sono mal posizionati, tanto da ottenere, innanzitutto, un risultato estetico indesiderato. Così, addio effetto nuovo e bello.
Il rischio gengive sottili
Il problema starebbe nella selezione del paziente e negli errori tecnici di chi opera. Il dottor Francesco Cairo, presidente SIdP, durante l’ultimo congresso nazionale ha spiegato che il 60% delle persone ha gengive costituzionalmente sottili: una condizione che le rende più a rischio di retrazione, fino alla scopertura delle radici, se l’impianto viene progettato male, per esempio perché troppo inclinato.
Un rischio che aumenta di 14 volte la probabilità di avere un sorriso “a tutta gengiva”. «Se progetto un ponte devo essere padrone di materie come architettura e ingegneria, ma avere anche conoscenze di geologia», spiega il professor Raffaele Vinci, responsabile dell’Unità dipartimentale di Chirurgia Orale Avanzata e Implantologia presso il dipartimento di Odontoiatria dell’IRCCS San Raffaele di Milano e titolare dell’insegnamento di chirurgia orale e implantologia all’Università Vita-Salute.
«Inoltre, occorre aver acquisito una buona esperienza e manualità sul campo. Si parla tanto di team multidisciplinari per curare bene certe malattie: ecco, l’“implantologo” deve possedere diverse competenze tutte insieme; essere un parodontologo ma anche un bravo protesista, un esperto chirurgo orale ed avere una visione globale dell’apparato masticatorio. Invece a posizionare gli impianti, ormai da anni, ci si sono messi un po’ tutti. Da non dimenticare anche il turismo dentale low cost, mentre questa scienza odontoiatrica rimane una delle discipline più delicate e che richiedono maggiore esperienza».
Denti artificiali, la Ferrari del sorriso
Si parlava di selezione del paziente, come una delle cause di insuccesso dell’implantologia. Un dente artificiale è infatti un po’ la Ferrari del sorriso. Richiede una manutenzione puntuale, accurata, con controlli e un’igiene dentale domiciliare e professionale scrupolosa. Costa prima e costa dopo, anche in termini di impegno personale.
«Se vai dal dentista per sostituire uno o più denti hai una predisposizione e, spesso, anche un atteggiamento nella cura dei denti che ti ha portato a perdere degli elementi, quindi la prima domanda è: sei davvero disposto a impegnarti nell’igiene (molto più profonda e accurata) e sottoporti ai controlli che una Ferrari richiede?», sottolinea Vinci.
«Un dente artificiale non è una cosa di cui ti dimentichi, a parte qualche minuto di spazzolamento dopo i pasti, e l’odontoiatra può essere preparatissimio e bravissimo, ma se poi tu non collabori l’implantologia può portare a complicanze che sono maggiori del mantenimento “in vita” di un dente considerato da sostituire. Però non è sempre colpa solo del paziente: la faciloneria con cui vengono estratti elementi dentari pensando di poterli sostituire con qualcosa di infallibile è una leggerezza che i nostri utenti stanno pagando molto caro».
Nicotina, il vero nemico degli impianti dentali
Tra le cose che fanno la differenza fra un impianto di lunga e felice vita e uno destinato a complicanze fino al rigetto (quindi tutto da rifare) c’è la nicotina.
«Che venga dalla sigaretta classica o dal cosiddetto “svapo” non importa», spiega l’esperto. «C’è un effetto diretto fra questa sostanza e la vasocostrizione. Posso fumare tanto o poco, ma nel momento in cui lo faccio determino una riduzione di apporto nutritivo ai tessuti, soprattutto nelle sue regioni periferiche, e ciò mette in crisi i processi di guarigione e mantenimento intorno a un impianto. È il problema di fondo: il classico fumatore, dopo anni di nicotina riporta comunque un danno irreversibile sulla vascolarizzazione periferica. E questo è un monito per il paziente, ma anche per gli operatori, che non devono essere permissivi in questo campo».
Un avvertimento che vale soprattutto per le donne, sempre più consumatrici di sigarette, che sommano questo elemento di alto rischio per l’implantologia con le fluttuazioni ormonali che le contraddistingue.
«L’osteoporosi, invece non è una controindicazione assoluta all’implantologia, ma chi assume farmaci per controllarla come ad esempio i bifosfonati, deve avvertire il dentista prima di qualsiasi operazione (anche un’estrazione) perché, per esempio, possono modificare la capacità dell’osso di guarire dopo un trauma. Insomma, diventano pazienti più fragili».
Dalla Tac alla chirurgia guidata dall’IA
Le tecnologie, “vecchie” e nuove, possono aiutare l’odontoiatra ad abbattere i rischi di un impianto riuscito male. Come la CBCT, che fornisce immagini ad alta definizione di denti, ossa, articolazioni, come anche la densità e composizione dell’osso stesso.
L’intelligenza artificiale, poi, comparando i dati degli esami radiografici con le immagini ottenute utilizzando scanner facciali ed intraorali può suggerire la posizione ottimale dell’impianto, simulando virtualmente il suo inserimento all’interno della bocca; è possibile persino costruire guide personalizzate, stampabili in 3D, per guidare il manipolo implantare durante l’inserimento, riducendo così il margine d’errore e velocizzando l’intervento. È la cosiddetta “chirurgia guidata” con cui si realizza una mascherina in resina da fissare in bocca in grado di dirigere con la massima precisione le operazioni del chirurgo in termini di direzione, profondità e angolazione.
«Può essere fatta su pazienti selezionati e da operatori davvero esperti, non è una scorciatoia che si impara in corsi di qualche mese», replica Vinci. «Tutta questa tecnologia un giorno farà davvero la differenza ma oggi l’IA non è in grado di disegnare con precisione il percorso del nervo mandibolare, cosa che un occhio umano esperto, guardando panoramiche e TC, è in grado di fare. Io preferisco parlare di intelligenza aumentata più che artificiale, cioè tecnologie digitali al servizio dell’intelletto umano, al fine di ottenere cure più efficaci. Il Robot Da Vinci, che elimina la prostata con precisione, è molto utile, ma chi lo guida, dalla progettazione terapeutica all’intervento, è il chirurgo».
Impianto dentale, quando manca l'osso
Ricostruire e aumentare l’osso quando questo è insufficiente per recepire un impianto dentale è possibile, ma anche in questi casi ci sono dei limiti. Una delle tecniche prevede un innesto osseo (prelevato dallo stesso paziente o realizzato con materiali sintetici) nella zona da trattare.
«Si tratta di procedure molto sofisticate, soprattutto nei settori posteriori della bocca», spiega il professor Raffaele Vinci. «I tessuti nativi, quelli cioè che residuano dopo la perdita degli elementi dentari, hanno una stabilità di risultati a medio e lungo termine maggiori rispetto a quelli rigenerati. Pertanto la ricostruzione di una parte di segmento scheletrico è una “scommessa” che deve essere limitata ai casi dove non c’è altra possibilità. In generale è importante ricordare che l’implantologia è l’ultima soluzione: prima bisogna cercare di “conservare” il più possibile anche il dente che ci sembra, spesso troppo facilmente, sacrificabile».
Fai la tua domanda ai nostri esperti