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Endocardite: cos’è, sintomi, cause, terapia, prevenzione

Silenziosa e spesso sottovalutata, l’endocardite è uno stato infiammatorio che colpisce il rivestimento interno del cuore. Il decorso può essere lento con esordio caratterizzato da sintomi vaghi e sfumati o, al contrario, manifestarsi in modo improvviso e violento

Foto: Getty Images



Quando si parla di malattie cardiache, il pensiero corre subito all'infarto, lasciando spesso in secondo piano patologie meno conosciute ma non per questo meno gravi, come l'endocardite. Si tratta di un’infiammazione che interessa l'endocardio, la sottile membrana che riveste le cavità del cuore e che costituisce anche il tessuto delle valvole cardiache.

Può esordire in modo silenzioso, indolente e progredire lentamente. Se non riconosciuta e trattata tempestivamente ed efficacemente, rischia di portare a complicanze molto gravi, comprese alcune che mettono a rischio la vita del paziente. Pur essendo meno diffusa rispetto ad altre malattie cardiache, la sua mortalità rimane elevata, attestandosi intorno al 30% circa; tuttavia, in alcuni soggetti a rischio e in alcune forme, la mortalità raggiunge il 75%.

Quali sono le cause dell'endocardite

Nella maggior parte dei casi, l’endocardite è dovuta a un’infezione. Si parla infatti di endocardite infettiva, una condizione causata soprattutto da batteri. Questi microrganismi possono penetrare nel circolo sanguigno attraverso ferite cutanee, lesioni gengivali, lesioni del tratto gastro-enterico o dell’apparato genito-urinario, per poi raggiungere il cuore. «Una volta arrivati attraverso il circolo sanguigno, al cuore, i batteri tendono a depositarsi sulla superficie delle valvole cardiache», spiega la dottoressa Gina Biasillo, specialista in malattie cardiovascolari al Poliambulatorio Santagostino di Monza. «Il rischio è maggiore in presenza di valvole danneggiate, malformazioni o altre condizioni predisponenti».

Le lesioni caratteristiche dell’endocardite sono le vegetazioni, ovvero ammassi di piastrine, fibrina, batteri e altre cellule. Oltre a danneggiare direttamente le strutture valvolari, queste lesioni possono frammentarsi e creare degli emboli che possono passare nel circolo sanguigno e raggiungere vari organi e tessuti, provocando limitazione o ostruzione del flusso sanguigno oppure disseminazione in circolo dei batteri.

Esistono anche forme meno comuni di endocardite che non dipendono da batteri, ma da altri microrganismi, come i funghi. Inoltre, vi sono forme non infettive, cioè non causate da agenti microbici, che possono insorgere in presenza di particolari condizioni: uno stato di aumentata coagulabilità del sangue, piccoli traumi conseguenti a procedure mediche o chirurgiche oppure malattie di tipo autoimmune, reumatologico o vasculitico. In questo caso il problema nasce da una disfunzione del sistema immunitario, che innesca una reazione anomala contro l’endocardio. Sul tessuto delle valvole cardiache si depositano fibrina, cellule infiammatorie e piastrine, formando le cosiddette vegetazioni “sterili”, cioè prive di microrganismi.

Sia nelle forme infettive sia in quelle autoimmuni, la conseguenza è la compromissione della normale funzionalità delle valvole cardiache, con un’evoluzione che può essere lenta oppure rapida. «Questo può tradursi nello sviluppo di insufficienza cardiaca, una condizione in cui il cuore non riesce a pompare sangue in maniera adeguata, con conseguente riduzione dell’apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti periferici», avverte l’esperta. «Possono inoltre manifestarsi alterazioni del ritmo cardiaco, cioè della sequenza di impulsi elettrici che coordina le contrazioni delle camere cardiache, oppure episodi di embolia, infezioni diffuse e danni a organi vitali, fino a ischemie o ictus, in caso di frammentazione delle vegetazioni».

Quali sono i fattori di rischio dell'endocardite

Alcune condizioni possono aumentare il rischio di endocardite e predisporre il paziente a sviluppare questo tipo di patologia. Alcuni fattori di rischio sono più strettamente legati alle caratteristiche delle strutture cardiache o a precedenti patologie cardiache del paziente. «È il caso delle cardiopatie congenite o di alcune valvulopatie, ovvero difetti congeniti o acquisiti delle valvole cardiache che rendono più facile il depositarsi dei batteri e l’innesco di processi infettivi e infiammatori», racconta la dottoressa Biasillo. «Anche la presenza di una protesi valvolare impiantata chirurgicamente o di dispositivi come cateteri, pacemaker o defibrillatori aumenta il rischio di infezioni a livello dell’endocardio. Inoltre, le persone che hanno già avuto un episodio di endocardite in passato sono considerate a rischio più elevato di recidiva».

Esistono anche condizioni che non riguardano direttamente il cuore, ma che rendono l’organismo più vulnerabile alle infezioni e, di conseguenza, aumentano il rischio di endocardite. Le situazioni di immunodeficienza sono tra le più rilevanti: ne sono un esempio i pazienti con HIV, quelli affetti da patologie oncologiche o sottoposti a chemioterapia, i portatori di cateteri venosi per infusioni, le persone in dialisi, chi soffre di diabete mal controllato o chi è costretto a lunghi ricoveri ospedalieri. «Un’altra categoria particolarmente fragile è rappresentata dai tossicodipendenti, soprattutto da coloro che si iniettano sostanze per via endovenosa: in questi casi, l’iniezione diretta nel circolo sanguigno costituisce una via privilegiata per l’ingresso dei germi», sottolinea la dottoressa Biasillo.

Se da un lato esistono fattori che predispongono allo sviluppo dell’endocardite, dall’altro la prevenzione gioca un ruolo fondamentale. Un aspetto prioritario è la cura dell’igiene orale: lavarsi i denti più volte al giorno ed effettuare regolarmente controlli e sedute di igiene professionale ogni sei mesi. La bocca, infatti, rappresenta una delle principali vie di ingresso dei batteri nel circolo sanguigno. Anche l’attenzione alle ferite cutanee è essenziale: una corretta gestione e disinfezione può impedire ai microrganismi di penetrare nell’organismo e, nei soggetti più fragili, di raggiungere il cuore.

Un altro aspetto cruciale della prevenzione riguarda l’uso corretto degli antibiotici, che non devono mai essere assunti senza prescrizione medica. L’abuso o l’impiego inappropriato di questi farmaci favorisce lo sviluppo di resistenze da parte dei microrganismi, con il rischio di ridurre l’efficacia delle terapie e di rendere più complesse e difficili da trattare molte infezioni.

Un ruolo importante è anche la gestione ottimale delle malattie croniche, come il diabete o i disturbi del sistema immunitario, che possono aumentare la vulnerabilità alle infezioni. Per i pazienti considerati ad alto rischio di endocardite, che devono sottoporsi a procedure mediche o chirurgiche con maggiore probabilità di causare batteriemie (cioè il passaggio di batteri nel sangue), è prevista la profilassi antibiotica preventiva. Le modalità e le indicazioni per questa pratica sono chiaramente stabilite nelle linee guida elaborate dalle società scientifiche internazionali.

Quali sono i sintomi dell'endocardite

L’endocardite non si presenta sempre nello stesso modo: può comparire in forma acuta, con un esordio improvviso e violento, oppure in forma subacuta, più subdola e lenta. «Nella forma acuta i sintomi si manifestano rapidamente: febbre alta con puntate, spossatezza marcata e difficoltà respiratoria legata al fatto che il cuore non riesce più a pompare il sangue in maniera efficace», descrive la dottoressa Biasillo. «Nella forma subacuta, invece, la malattia evolve in un arco di tempo più lungo e si accompagna a disturbi meno evidenti, a volte sfumati e aspecifici e più facilmente sottovalutati, come febbricola intermittente, sensazione di accelerazione del battito cardiaco, sensazione persistente e indolente di stanchezza, perdita di peso non altrimenti spiegabile, dolori muscolari e/o articolari».

Il problema è che questi sintomi, soprattutto nelle fasi iniziali, possono essere confusi con altre patologie più comuni e meno gravi, come una semplice influenza o un’infezione respiratoria. Questo rende la diagnosi difficile e può comportare un ritardo nel riconoscimento della malattia e nell’impostazione di un corretto e tempestivo trattamento.

Come si arriva alla diagnosi

Nel corso di una visita medica o durante una valutazione specialistica, alcuni segnali possono orientare il medico verso il sospetto di endocardite. Un segno che può emergere nel corso dell’esame clinico del paziente è il soffio cardiaco di nuova comparsa, ovvero un rumore anomalo generato dal passaggio del sangue attraverso la valvola danneggiata. Con il fonendoscopio, il medico può percepire questi suoni caratteristici e iniziare a sospettare la presenza della malattia.

«La visita clinica non si limita all’ascolto del cuore», tiene a precisare la dottoressa Biasillo. «Lo specialista osserva la cute, controlla i polmoni e l’addome, rileva la saturazione di ossigeno. L’esame clinico, inoltre, è preceduto o accompagnato dalla raccolta accurata di informazioni circa sintomi e disturbi che il paziente presenta, la loro modalità di insorgenza, il loro decorso. Inoltre, vengono raccolte informazioni circa le problematiche di salute in corso o precedentemente sperimentate dal paziente, sulla terapia da lui assunta, nonché informazioni sulle sue abitudini di vita. È raccogliendo in maniera sistematica e attenta questi indizi che viene posto il sospetto clinico di endocardite, che deve poi essere confermato da esami strumentali e di laboratorio, in accordo e seguendo le indicazioni elaborate dalle società scientifiche internazionali».

Il primo esame di riferimento per la diagnosi di endocardite è l’ecocardiografia, un’ecografia del cuore. Attraverso una sonda appoggiata sul torace, gli ultrasuoni generano immagini che consentono di valutare il funzionamento delle valvole cardiache, individuare eventuali vegetazioni e analizzare le dimensioni delle cavità e la funzionalità complessiva del cuore.

«Quando l’ecocardiografia di primo livello non evidenzia chiaramente le alterazioni, ma il sospetto clinico di endocardite resta elevato, oppure in altre situazioni definite dalle linee guida, si ricorre all’ecocardiografia transesofagea»», spiega l’esperta. «In questo caso la sonda viene introdotta attraverso la bocca fino all’esofago, in modo simile a una gastroscopia. Da quella posizione, molto vicina al cuore, è possibile ottenere immagini più nitide delle valvole e rilevare con maggiore precisione la presenza di vegetazioni».

Oltre agli esami strumentali, è fondamentale il contributo degli esami del sangue. L’esame colturale del sangue prevede il prelievo di campioni ematici in diversi momenti e permette, in molti casi, di individuare i microrganismi responsabili dell’infezione, orientando di conseguenza la scelta della terapia antibiotica più efficace e mirata a debellare l’infezione. La tempestività e la precisione della diagnosi è cruciale: ogni giorno che passa senza intervento aumenta il rischio di danni irreversibili al cuore e il rischio di complicanze estese agli organi vitali.

Come si cura l'endocardite

Una volta posta la diagnosi, il passo successivo è la terapia. Nel caso delle forme infettive, il trattamento si basa essenzialmente sulla terapia antibiotica, possibilmente mirata a eradicare il germe responsabile dell’infezione. Quando gli esami del sangue identificano il batterio coinvolto, si somministra l’antibiotico più efficace, in grado di ridurre significativamente la carica batterica. In alcuni casi, però, il germe non viene individuato: in queste situazioni, si ricorre a una terapia antibiotica ad ampio spettro, scelta sulla base di dati clinici ed esami complementari, in grado di agire contro diversi tipi di batteri.

La terapia antibiotica risulta efficace nella maggior parte dei casi, ma l’eradicazione dei microrganismi richiede tempi prolungati. Il trattamento può durare 6-o8 settimane, con somministrazioni spesso endovenose, e in molti casi è necessario un ricovero ospedaliero, soprattutto nelle fasi iniziali, per monitorare e gestire l’andamento clinico della malattia. In alcune situazioni può rendersi necessario un intervento chirurgico, volto a rimuovere i focolai di infezione o a ripristinare la corretta funzionalità delle valvole cardiache.

«Se la malattia si complica con una sepsi, cioè con il passaggio massiccio dei microrganismi nel sangue e il coinvolgimento di altri organi e apparati, allora può diventare necessario il supporto della terapia intensiva, fino alla ventilazione assistita e al supporto della circolazione e della funzione cardiaca, con la collaborazione del rianimatore», riferisce la dottoressa Biasillo.


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