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Dolore toracico: le cause, quando preoccuparsi

Il dolore al petto è un sintomo tanto comune quanto complesso. Dietro la sua comparsa possono nascondersi cause banali o condizioni potenzialmente gravi, alcune perfino letali. Il problema non è sempre il cuore, ma quest’organo è il primo per il quale si teme



Il dolore toracico è uno dei motivi più frequenti per cui le persone cercano assistenza medica, ma anche uno dei più difficili da decifrare.

Dietro una fitta improvvisa, una morsa al petto o una semplice sensazione di fastidio, possono celarsi le cause più disparate: da banali contratture muscolari o disturbi digestivi fino a condizioni gravi e potenzialmente letali, come l’infarto miocardico acuto.

«Non sempre è il cuore a parlare, ma è quasi sempre lui a essere chiamato in causa, perché nessun altro organo è in grado di suscitare lo stesso timore», commenta il dottor Felice Perrino, cardiologo presso il Piccole Figlie Hospital di Parma. «Questo è ciò che rende il dolore toracico tanto affascinante quanto complesso: la sua diagnosi richiede attenzione, esperienza e la capacità di ascoltare il sintomo nel suo contesto clinico e umano».

Quando c’entra il cuore

Nella sua forma più classica, il dolore toracico di origine cardiaca si manifesta come una sensazione di oppressione al centro del petto. «I pazienti lo descrivono spesso come un peso schiacciante, una morsa o una stretta che può irradiarsi al braccio sinistro, alla mandibola o alla regione epigastrica», spiega il dottor Perrino. È questo il tipo di dolore che, nell’immaginario collettivo e nella pratica clinica, viene più frequentemente associato all’infarto o all’angina pectoris.

Nel caso dell’infarto miocardico, pazienti che fino a quel momento non avevano mai manifestato sintomi possono presentarsi in ambulatorio o al pronto soccorso con un dolore acuto, senza preavviso. In altri casi, il corpo lancia segnali nei giorni precedenti – dolori sfumati, affaticamento, ridotta tolleranza allo sforzo – che, se colti per tempo, potrebbero fare la differenza. «Una corretta interpretazione dei segnali può salvare la vita e spesso l’elemento cruciale è proprio la tempestività della valutazione», aggiunge l’esperto.

Tuttavia, anche forme di dolore toracico apparentemente atipiche possono nascondere un’origine cardiologica. Il dolore toracico, infatti, è un sintomo e non una diagnosi: la sua interpretazione richiede uno sguardo ampio, capace di andare oltre gli stereotipi clinici e valutare ogni singolo caso nel contesto della storia personale e dei fattori di rischio del paziente.

Il dolore toracico atipico

Quando il dolore al petto si manifesta in modo trafittivo, urente, pungente o localizzato e non assume le caratteristiche della classica oppressione retrosternale, viene definito atipico. Sebbene questa etichetta suggerisca qualcosa di meno preoccupante, non può escludere con certezza un’origine cardiaca. Nella pratica clinica, infatti, questi dolori “diversi” rappresentano una sfida diagnostica: richiedono un’attenta analisi per distinguere le numerose possibili cause sottostanti.

«Il dolore toracico atipico può avere origini molto diverse tra loro, spesso lontane dal cuore ma non per questo trascurabili», tiene a precisare il dottor Perrino. «Una delle cause più comuni è di tipo muscoloscheletrico: stiramenti, contratture o infiammazioni della parete toracica, legati a movimenti bruschi, posture scorrette o traumi, possono provocare un dolore acuto, localizzato e spesso riproducibile alla palpazione».

Altre volte il sintomo può essere espressione di un’infiammazione di strutture interne come il pericardio o la pleura, nel contesto di infezioni virali, autoimmuni o post-operatorie. «Non di rado, infine, il dolore trae origine dal tratto gastroesofageo», aggiunge l’esperto. «Il reflusso acido è in grado di mimare un dolore retrosternale simile a quello cardiaco, soprattutto se compare dopo i pasti o in posizione supina».

Il peso della sfera psicologica

Tra le tante cause possibili di dolore toracico, la componente psicologica è spesso la più sottovalutata. Disturbi d’ansia, attacchi di panico, stress cronico e depressione possono manifestarsi in forma somatica e il petto diventa spesso il teatro in cui si esprime il disagio emotivo. In questi casi, il dolore è reale, tangibile, ma non trova una spiegazione organica: nasce nella mente e si riflette nel corpo, in un intreccio complesso.

«I pazienti che presentano dolore toracico di origine psicogena riferiscono spesso sintomi associati come fame d'aria, sudorazione fredda, palpitazioni, nodo alla gola o una profonda sensazione di pericolo imminente», elenca l’esperto. «Non di rado si tratta di persone sottoposte a un forte carico emotivo: burnout professionale, lutti non elaborati, stati depressivi latenti, responsabilità familiari pesanti o storie personali segnate da fragilità psicologica». In questi casi, l’obiettivo non dovrebbe essere semplicemente quello di escludere una patologia cardiaca, ma riconoscere la radice del malessere e indirizzare il paziente verso un percorso di supporto adeguato.

Come si indaga il dolore toracico

La varietà e l’ambiguità delle possibili presentazioni rendono impossibile affidarsi unicamente alla descrizione soggettiva del dolore toracico. È per questo che un’anamnesi dettagliata, guidata da domande precise, e una valutazione clinica scrupolosa sono strumenti imprescindibili. Solo attraverso l’ascolto attivo del paziente e un esame obiettivo mirato è possibile orientare correttamente il sospetto diagnostico e decidere con giudizio se e quali indagini strumentali siano necessarie.

La storia raccontata dal paziente è spesso l’indizio più importante. «Interrogare con attenzione, capire le caratteristiche del dolore, il contesto in cui insorge, la durata, l’eventuale correlazione con lo sforzo, l’ansia o l’assunzione di cibo è fondamentale per costruire una prima ipotesi», assicura il dottor Perrino. «A ciò si aggiunge la valutazione del profilo di rischio cardiovascolare del paziente: età, sesso, familiarità, pressione arteriosa, diabete, colesterolo, abitudine al fumo di sigaretta e presenza di stress psico-fisico. Più i fattori di rischio si accumulano, più è probabile che il dolore toracico abbia una matrice cardiaca».

La visita cardiologica e l’elettrocardiogramma sono sempre il punto di partenza, ma non sono strumenti definitivi. L’elettrocardiogramma andrebbe idealmente eseguito in presenza di dolore per cogliere eventuali alterazioni ischemiche, ma spesso è normale a riposo. In base al sospetto clinico, il cardiologo può decidere di proseguire con esami funzionali (come l’ecocardiografia da sforzo o la scintigrafia) oppure anatomici (come la TAC coronarica). Detto ciò, esagerare con gli esami può essere dannoso, perché aumenta il rischio di falsi positivi e alimenta l’ansia, soprattutto nei pazienti a basso rischio.

Capacità funzionale: un indicatore prezioso

Un elemento spesso sottovalutato, ma di enorme valore clinico, è la capacità funzionale. La riduzione della tolleranza allo sforzo – come la comparsa di affanno nel salire le scale, nell’affrontare una camminata sostenuta o nello svolgere attività quotidiane che in passato non causavano fatica – rappresenta un indizio importante, talvolta più significativo dello stesso dolore toracico.

«Questi cambiamenti, se di nuova insorgenza e non spiegabili da altri fattori, possono essere la prima manifestazione di una malattia coronarica, anche in assenza dei sintomi classici», avverte il cardiologo. In particolare, nei pazienti diabetici, l’infarto può presentarsi in forma silente, senza il dolore tipico, ma con quelli che vengono definiti equivalenti anginosi: dispnea da sforzo, stanchezza insolita, sudorazione fredda o ridotta resistenza fisica.

Saper cogliere questi segnali, anche se sfumati, può fare la differenza nella diagnosi precoce di una condizione potenzialmente grave. Per questo motivo, la valutazione della capacità funzionale non dovrebbe mai essere sottovalutata: è un elemento clinico prezioso, semplice da indagare e spesso decisivo nel guidare il sospetto diagnostico.

«Interpretare correttamente un dolore toracico significa leggere il linguaggio del corpo, ma anche quello della vita del paziente», conclude il dottor Perrino. «Significa non fermarsi all’esclusione dell’infarto, ma domandarsi perché quel dolore è comparso proprio in quel momento, in quella persona, con quella storia». Solo così la medicina conserva la sua dimensione più autentica: quella di un ascolto profondo, che trasforma anche il sintomo più comune in un’occasione per prendersi davvero cura di sé.


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