Dolore all’inguine: quali sono le cause più comuni e le soluzioni

È un disturbo comune che può colpire chiunque, sportivi o sedentari. Le cause spaziano da lesioni muscolari e tendinee a problemi articolari e squilibri posturali: una diagnosi accurata richiede valutazioni cliniche ed esami mirati per identificare l’origine del dolore e avviare il trattamento più appropriato



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Il dolore all’inguine è una condizione molto frequente, che può interessare persone di qualsiasi età e con livelli diversi di attività fisica. L’area inguinale, tutt’altro che semplice, rappresenta un crocevia anatomico in cui si intrecciano muscoli, articolazioni, tendini, nervi e linfonodi.

«Questa complessità spiega perché le cause possono essere numerose e perché una valutazione sommaria rischia di non essere sufficiente», osserva il dottor Fabio Cappabianca, coordinatore del reparto di Fisioterapia del Piccole Figlie Hospital di Parma. «Solo una diagnosi accurata permette di comprendere davvero la natura del disturbo e di impostare il percorso terapeutico più appropriato e sicuro».

Dal punto di vista anatomico, l’inguine coincide con la piega di flessione tra coscia e addome, ma non rappresenta una regione uniforme. Si possono distinguere due aree principali: quella inguino-addominale, appartenente alla parete addominale anteriore, e quella inguino-femorale, situata nella parte più alta e interna della coscia, in prossimità dell’anca. «La sede del dolore può offrire indicazioni preziose sulle strutture coinvolte», spiega l’esperto. «Un fastidio localizzato verso l’addome è spesso legato a muscoli o tendini, mentre un dolore che si irradia all’anca può segnalare problemi articolari. Ma non esistono schemi rigidi: solo una valutazione personalizzata consente di risalire con certezza alla causa».


Quali sono le cause del dolore all'inguine

Tra le cause più frequenti di dolore all’inguine ci sono le tendinopatie e la debolezza dei muscoli adduttori, ossia quei muscoli situati nella parte interna della coscia che permettono di avvicinare la gamba al corpo.

Negli sportivi questi muscoli sono particolarmente esposti a sovraccarichi e processi infiammatori. «Un esempio tipico è la pubalgia, termine con cui si indica la sindrome retto-adduttoria», chiarisce il dottor Cappabianca. Questo disturbo è comune negli sport che richiedono scatti, cambi di direzione e sforzi intensi, come calcio, rugby, tennis o corsa. «Non è raro vedere un atleta interrompere bruscamente la corsa, portarsi la mano all’inguine e, a seguito di una valutazione accurata, ricevere una diagnosi di lesione muscolare o tendinopatia», aggiunge l’esperto.

Negli sportivi gli adduttori sono spesso esposti a stress eccessivi, che possono determinare un sovraccarico funzionale. Nella sindrome retto-adduttoria la componente principale è di tipo infiammatorio: i tendini degli adduttori si irritano a causa di uno squilibrio con la muscolatura addominale, provocando dolore e riduzione della mobilità.

Un’altra possibile causa di dolore inguinale è di origine articolare, come accade nella sindrome da conflitto femoro-acetabolare. «In questa condizione la testa del femore non scorre correttamente all’interno dell’acetabolo, generando irritazione articolare e un dolore che può irradiarsi fino all’inguine», spiega l’esperto. «Si tratta spesso di una conformazione congenita che rimane silente finché l’articolazione non viene sottoposta a carichi ripetuti, ad esempio con l’attività sportiva o lavori che richiedono frequenti posizioni accovacciate. In assenza di sintomi, infatti, non vengono effettuati controlli specifici e la problematica resta nascosta fino al sovraccarico dell’anca».

Esistono poi cause più profonde, legate al cosiddetto dolore riferito. Disfunzioni della colonna lombare possono coinvolgere i nervi che innervano la regione inguinale, provocando fastidio o dolore. Anche la sedentarietà può giocare un ruolo importante. «Una persona poco allenata, con adduttori deboli, può sviluppare dolore inguinale persino dopo uno sforzo modesto, come una camminata più lunga del solito o un’escursione improvvisata», osserva il dottor Cappabianca. «In questi casi non si tratta di una vera lesione, ma della difficoltà dei muscoli a sostenere carichi non abituali».

Un’altra causa spesso sottovalutata riguarda gli squilibri posturali. Piede piatto, ginocchio valgo o varo costringono il corpo a compensare durante la deambulazione, con il rischio di sovraccaricare la muscolatura della coscia, in particolare gli adduttori.

Un discorso analogo vale per l’eterometria degli arti inferiori, ovvero quando una gamba è più corta dell’altra. In questo caso gli adduttori lavorano in maniera asimmetrica: uno si affatica più dell’altro, accumulando tensioni che nel tempo possono trasformarsi in dolore inguinale. «Si tratta quindi di un sovraccarico legato a posture alterate e mantenute quotidianamente per ore, che logorano progressivamente muscoli e tendini», sottolinea l’esperto.

Accanto alle problematiche di tipo biomeccanico e posturale, esistono anche cause di dolore inguinale meno legate alla fisioterapia ma altrettanto rilevanti. In alcune situazioni, infatti, il dolore non ha origine meccanica: non peggiora con il movimento né con specifici test clinici. In questi casi può trattarsi di un dolore riferito da organi interni, in particolare dell’apparato genitale o urogenitale. Per questo motivo, quando non emerge una chiara relazione con sovraccarichi muscolari o articolari, è essenziale rivolgersi al medico per escludere possibili cause viscerali e arrivare a una diagnosi corretta e tempestiva.


Dolore inguinale, come si arriva alla diagnosi

La diagnosi del dolore inguinale è spesso un percorso di esclusione. Si parte in genere dalle cause più comuni, di natura muscolare o meccanica, che rientrano nell’ambito fisioterapico. Non è però un disturbo che si chiarisce nell’arco di poche ore: servono tempo, osservazione ed esami mirati. In questo caso, l’anamnesi gioca un ruolo fondamentale. L’ascolto del paziente fornisce notizie importanti circa la localizzazione del dolore e la manifestazione clinica.

Il primo passo, se il dolore persiste, è rivolgersi a uno specialista. La visita clinica, attraverso manovre specifiche, consente di orientare il sospetto diagnostico. Se il problema è muscolare, ad esempio, il paziente viene invitato a compiere un movimento di adduzione delle gambe: la comparsa di dolore indica un’alterazione della funzione degli adduttori. «I muscoli devono contrarsi e allungarsi», ricorda il dottor Cappabianca. «Se il dolore emerge durante la contrazione e si ripresenta in gesti simili della vita quotidiana, l’attenzione si concentra sulla componente muscolare».

Quando invece la sintomatologia ha caratteristiche meccaniche, il focus si sposta sull’articolazione. Nella sindrome da conflitto femoro-acetabolare, ad esempio, un test utile è la flessione con intrarotazione dell’anca, che consiste nel piegare la gamba portando il ginocchio verso il petto e, contemporaneamente, ruotarla all’interno (cioè facendo puntare il ginocchio verso la spalla opposta). Se questa manovra scatena dolore inguinale, il problema è più probabilmente articolare.

Gli esami strumentali vengono scelti in base all’esito della visita. «Nel sospetto muscolare, si parte spesso da un’ecografia e, se necessario, si ricorre alla risonanza magnetica, che permette di valutare i tessuti molli e rilevare eventuali infiammazioni o edemi», indica il dottor Cappabianca. «Se invece si sospetta un’origine articolare, l’esame più indicato è la radiografia, purché eseguita con proiezioni specifiche: una semplice immagine antero-posteriore del bacino, infatti, può non essere sufficiente a mostrare le alterazioni tipiche del conflitto».


Come si cura il dolore all'inguine

Un dolore inguinale isolato e occasionale non deve destare immediata preoccupazione. Tuttavia, se il fastidio persiste per più giorni, tende a peggiorare o limita le normali attività quotidiane, è opportuno farsi valutare.

Il trattamento può essere di natura conservativa o, in alcuni casi, chirurgica. «Intervenire tempestivamente spesso permette di affrontare il problema con strategie conservative, come la terapia farmacologica, la fisioterapia e trattamenti strumentali», dice l’esperto, «evitando così fenomeni degenerativi dell’articolazione nel lungo periodo, come l’artrosi, che potrebbero richiedere interventi più invasivi, dall’artroscopia fino a una protesi d’anca nei casi più gravi».

La parte conservativa ha come obiettivi principali ridurre il dolore, migliorare la funzionalità dei tessuti coinvolti e prevenire recidive. Il fisioterapista valuta attentamente il paziente per ristabilire l’equilibrio muscolare e articolare, intervenendo sia sui muscoli sia sulle articolazioni interessate. Se il problema riguarda i muscoli, l’obiettivo è renderli più elastici; se coinvolge l’articolazione, si lavora per migliorarne la mobilità.

«In parallelo, vengono proposti esercizi di rinforzo e di stretching mirati a potenziare gli adduttori, i glutei e gli stabilizzatori del bacino, perché spesso il dolore inguinale è legato a deficit muscolari o alterazioni posturali che vanno corretti», rimarca il dottor Cappabianca. La valutazione non si limita dunque alla zona del dolore, ma considera tutto il corpo e la postura, individuando eventuali squilibri che possono influire sulla comparsa dei sintomi.

Il trattamento può includere tecniche manuali, come mobilizzazioni articolari o manipolazioni dei tessuti molli, eseguite durante le sedute, insieme agli esercizi attivi che il paziente svolge con il fisioterapista e, successivamente, a domicilio. In questo modo si lavora simultaneamente sul dolore, sulla funzionalità e sulla prevenzione, offrendo un percorso completo che mira a migliorare la qualità della vita e a ridurre il rischio di nuove problematiche.

Nei casi più complessi, in cui il risultato non arriva immediatamente con la sola tecnica manuale, è possibile ricorrere alla terapia fisica. Strumenti come gli ultrasuoni possono ridurre l’infiammazione e accelerare il processo di guarigione, supportando il lavoro sul riequilibrio posturale e sulla dinamica del movimento. Spesso, infatti, il dolore non è legato a un trauma diretto, ma a lesioni muscolari o squilibri posturali che influenzano il modo in cui il paziente cammina e si muove quotidianamente. L’intervento del fisioterapista non si limita dunque a trattare il sintomo, ma mira anche a prevenire il rischio di recidive, insegnando al paziente i movimenti corretti e le attenzioni necessarie per vivere senza peggiorare la condizione.

«Molti pazienti tendono a ignorare un dolore lieve, continuando a muoversi come sempre», conclude l’esperto. «È fondamentale invece sviluppare consapevolezza: se il dolore iniziale non viene gestito correttamente, può peggiorare nel tempo e diventare invalidante». Ascoltare il proprio corpo rimane quindi fondamentale: cogliere i primi segnali permette di intervenire tempestivamente, evitando che il problema peggiori e garantendo un percorso di recupero più efficace.


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