Una persona che soffre di diabete ha la giornata scandita, come le lancette che si spostano sul quadrante dell’orologio, dalla misurazione della glicemia, cioè dalla concentrazione di glucosio nel sangue.
La sua è una lotta contro i livelli troppo alti di zucchero nell’organismo, che sono poi la principale caratteristica sia del diabete di tipo 1, malattia autoimmune che distrugge le cellule del pancreas che producono insulina, sia del tipo 2, dove quest’ultima viene prodotta ma l’organismo non riesce più a utilizzarla bene.
Risultato? Cinquecentomila persone, in Italia, ogni giorno devono iniettarsi più volte questo ormone per metabolizzare carboidrati e altre sostanze “dolci”, altrimenti stanno male. Quindi, ogni volta che fanno un pasto, fosse anche un banale spuntino, devono calcolare quanta insulina usare in relazione alla quantità di zuccheri che il singolo alimento apporterà all’organismo. Inoltre, dovranno più volte al giorno misurare la glicemia pungendosi un dito, sempre per evitare sbalzi pericolosi di questo valore, soprattutto prima e dopo i pasti.
Diabete, non ci si può distrarre
«In un anno una persona con diabete può arrivare a fare dalle 1500 alle 1800 iniezioni di insulina e quindi, fra terapia e misurazioni, non può certo distrarsi, tenendo conto che nel diabete di tipo 1 gli esordi della malattia sono spesso precoci, anche nell’infanzia oppure nell’adolescenza», spiega Dario Pitocco, professore associato di endocrinologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOSD di diabetologia della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma.
«Dunque, un buon controllo della glicemia e “saper far di conto” con gli zuccheri e la dose del medicinale diventa fondamentale per evitare complicanze, ma anche per la propria qualità di vita».
Diabete, variabile e imprevedibile
Per decenni le persone con diabete hanno quindi dovuto fare calcoli, misurazioni, pungersi, ricordarsi di fare l’insulina, a tutte le età, più volte al giorno, tutti i giorni. Poi sono arrivati i telefonini, le app adattate alla medicina che parlano con il paziente (e spesso anche con il suo dottore) in tempo reale: ed è stata ed è, oggi, la rivoluzione tecnologica che può fare la differenza.
«Perché non è solo una questione di calcoli e di comodità nella gestione della malattia in modo più o meno automatico: la glicemia è un parametro altamente variabile e imprevedibile», sottolinea il professor Pitocco.
«Succede, per esempio, che mangiando lo stesso tipo di alimento, il cui impatto in carboidrati ormai conosciamo a memoria, in un certo momento della giornata e secondo le nostre condizioni dia variazioni di glicemia inaspettate. Oscillazioni anche molto forti che di certo non fanno bene, verso l’alto (iperglicemia: e allora può arrivare la sete estrema, il bisogno di fare spesso pipì, la stanchezza) o verso il basso (ipoglicemia, e allora c’è tremore, sudorazione, la mancanza di forza) e che, negli anni, portano anche a gravi complicanze. Ricordiamo che il diabete rimane la prima causa di cecità e aumenta il rischio di ictus e infarto. Sbalzi glicemici, questi, che non avvengono solo quando mangiamo, ma che possono accadere anche di notte, mentre dormiamo».
Con i sensori si gesticono dosi e cura
Ecco perché oggi gli specialisti che si occupano di diabete alla visita valutano anche se la tecnologia (e di che tipo) può aiutare a mantenere una terapia ottimale e la misurazione della glicemia corretta e costante.
«Ci sono sensori adesivi capaci di misurare molto spesso questo parametro e trasmetterne i dati al telefonino, calcolare la dose di insulina in base al tipo di pasto, annotare la storia della malattia (andamento, cronologia, dosaggi), persino “parlare” col medico curante che può accedere ai dati da remoto in ogni momento e avvertire il paziente se qualcosa non va (anche di notte). Se collegati a una penna autoiniettiva intelligente o a un microinfusore (un catetere o un cerotto sul corpo che iniettano il farmaco secondo gli “ordini” del sensore, quindi la terapia è totalmente automatizzata) sono in grado di gestirne le dosi e i pasti al meglio, e con essi la cura», spiega l’esperto.
«Sfatiamo poi il falso mito che queste tecnologie non siano adatte agli anziani. È un pregiudizio, perché ormai i nostri “over” usano il telefonino per tutto, per pagare le bollette o prenotare le visite, e sanno farlo benissimo anche per tenere sott’occhio la loro glicemia e l’insulina».
Diabete, a cena senza pensieri
Francesco ha 27 anni, ma ha scoperto di avere il diabete di tipo 1 a 17. «Me ne sono accorto perché ho perso 15 chili in circa un mese, avevo sempre sete e passavo il tempo a tiro di toilette», racconta. «Questa scoperta non mi ha sconfortato, sono un tipo pragmatico: ne ho preso atto e ho iniziato a gestire la situazione al meglio, grazie all’aiuto dei medici e anche della tecnologia. Da un anno infatti indosso un sensore che monitora ogni 5 minuti la glicemia e che mi fa tutti i calcoli sul rapporto cibo-unità di insulina da iniettare senza sbagliare, il tutto verificato periodicamente a distanza anche dal mio curante».
Francesco ha un cerotto applicato dietro al braccio che comunica con la app dedicata del suo cellulare.
«È abbastanza sottile e non ho problemi a fare la doccia e nuotare: funziona sempre, anche di notte. Il mio è collegato alla penna che uso per iniettare l’insulina e, in pratica, misura anche la quantità del bolo, l’orario, ogni parametro che serve. Quindi niente più stress (e crisi di iper o ipoglicemia) per me».
Cosa dicono le ragazze quando notano il cerotto? «Sono curiose, io spiego senza problemi. Qualche volta scherzo, ricordando che il diabete non è contagioso. E che si può fare una vita assolutamente normale. Anche a cena con loro al ristorante».
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