Ci sono condizioni fisiologiche in cui il cuore accelera, come in seguito a un’emozione intensa, una situazione di stress o un’attività fisica impegnativa. In questi casi, l’aumento della frequenza cardiaca è una risposta naturale, regolata dal rilascio di adrenalina, che prepara l’organismo a reagire rapidamente.
Tuttavia, esiste una rara malattia genetica in cui questa reazione fisiologica può diventare pericolosa. Si tratta della Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica, indicata internazionalmente con l’acronimo CPVT, una patologia aritmogena ereditaria che si manifesta tipicamente in età pediatrica o adolescenziale, spesso in soggetti apparentemente sani.
Oggi si apre una nuova prospettiva terapeutica: una terapia genica sperimentale che, per la prima volta, mira a intervenire direttamente sulla causa molecolare della malattia.
Che cos’è la Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica
Per comprendere la CPVT, è utile capire come funziona un cuore sano. «In condizioni normali, ogni battito cardiaco ha origine negli atri, le camere superiori del cuore, grazie a un segnale elettrico che si propaga lungo un percorso ben definito fino ai ventricoli, le camere del cuore poste al di sotto degli atri», spiega la professoressa Silvia G. Priori, direttrice dell’Unità di Cardiologia Molecolare dell’IRCCS Maugeri Pavia. «Questo sistema ordinato garantisce che il cuore si contragga in modo efficace, permettendo al sangue di circolare correttamente in tutto l’organismo».
Nel caso della Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica, questo meccanismo viene disturbato. «In particolari situazioni di stress fisico o emotivo, alcuni segnali elettrici anomali, chiamati extrasistoli, possono iniziare direttamente dai ventricoli, interrompendo la normale sequenza di attivazione elettrica del cuore», specifica l’esperta. «Questo provoca una forma di aritmia, chiamata tachicardia ventricolare, caratterizzata da un ritmo cardiaco molto rapido e irregolare».
In alcuni casi, questa condizione può degenerare ulteriormente in fibrillazione ventricolare, una condizione in cui il cuore batte molto rapidamente e perde completamente la sua capacità di contrarsi in modo coordinato. «Quando questo accade, il cuore non riesce più a pompare il sangue in quantità adeguata agli organi, la pressione arteriosa crolla e il paziente può perdere coscienza», avverte la professoressa Priori. «Senza un intervento tempestivo con un defibrillatore, il rischio di morte è alto. Per questo la CPVT è considerata una patologia particolarmente pericolosa, capace di causare arresto cardiaco improvviso anche in persone giovani, apparentemente in buona salute».
Quali sono i sintomi della CPVT
Uno degli aspetti che rende la CPVT particolarmente insidiosa è la possibilità che gravi aritmie si manifestino improvvisamente durante il rilascio di adrenalina, in concomitanza con attività fisica o stress emotivi. «L’aritmia si attiva in risposta a situazioni di stress fisico o emotivo, ovvero in quei momenti dove l’organismo rilascia adrenalina, una sostanza appartenente alla famiglia delle catecolamine, fondamentale per attivare la cosiddetta “risposta di allerta” dell’organismo», descrive la professoressa Priori.
Negli individui sani, l’adrenalina favorisce l’aumento della frequenza cardiaca per permettere di sopportare uno sforzo o affrontare una situazione critica. Nei pazienti affetti da CPVT, invece, questa stessa risposta diventa un fattore pro-aritmico, in cui l’adrenalina innesca un’attività elettrica anomala nel cuore che può sfociare in gravi aritmie ventricolari.
«I primi sintomi della malattia tendono a emergere in età pediatrica o adolescenziale, spesso in modo drammatico ma poco specifico», tiene a precisare l’esperta.
Non è raro che un bambino svenga durante un gioco movimentato o che un adolescente perda coscienza dopo un episodio emotivamente intenso, come una lite o un forte spavento. Talvolta, un giovane adulto può collassare durante un allenamento. Episodi di questo tipo vengono facilmente attribuiti a cali di pressione, ansia o affaticamento e raramente conducono a una diagnosi immediata. «Eppure, possono essere i primi segnali di una patologia genetica cardiaca ad alto rischio, che richiede attenzione e approfondimenti mirati», avverte l’esperta.
Quali sono le cause della CPVT
La CPVT è una patologia di origine genetica. Nella maggior parte dei casi, è causata da mutazioni nel gene del recettore rianodinico di tipo 2 (RyR2), una proteina essenziale nella regolazione del rilascio di calcio all’interno delle cellule del muscolo cardiaco.
Il calcio è una molecola chiave per l’attività del cuore: ogni contrazione del muscolo cardiaco inizia proprio con un preciso rilascio di calcio all’interno della cellula. In un cuore sano, questo rilascio è strettamente controllato. «Ma quando il recettore RyR2 è alterato da una mutazione, il sistema si sbilancia», semplifica la professoressa Priori. «Il recettore diventa instabile e tende a lasciar fuoriuscire troppo calcio, anche quando non dovrebbe. Questo eccesso di calcio può perturbare l’equilibrio elettrico del cuore e favorire la comparsa di aritmie ventricolari potenzialmente fatali».
A regolare questo meccanismo c’è una seconda proteina, chiamata calsequestrina, che ha il compito di “immagazzinare” il calcio nel reticolo sarcoplasmatico, una sorta di serbatoio interno delle cellule muscolari. La calsequestrina aiuta a trattenere il calcio in modo ordinato, evitando che venga rilasciato in maniera improvvisa.
Nella CPVT, l’interazione tra la calsequestrina e il recettore rianodinico è compromessa. Il sistema di controllo mediato dalla calsequestrina diventa inefficace e il calcio si riversa nella cellula in modo caotico, attivando circuiti elettrici pro-aritmici all’interno del cuore.
È questo squilibrio ionico che rende la CPVT così pericolosa: le aritmie non nascono da un difetto strutturale del cuore, ma da una disfunzione biochimica che agisce in modo invisibile, silenzioso, ma profondamente destabilizzante.
Come si diagnostica la CPVT
Una delle principali difficoltà nella gestione della CPVT riguarda la diagnosi. «L’elettrocardiogramma a riposo risulta spesso normale, senza alcun segnale evidente che possa far sospettare una patologia cardiaca», racconta la professoressa Priori. «Questo rende la malattia particolarmente insidiosa, perché i sintomi possono manifestarsi solo in situazioni specifiche».
Un importante indizio diagnostico emerge dall’anamnesi: gli episodi di svenimento o le palpitazioni si verificano esclusivamente in corrispondenza di stress fisico o emotivo intenso. Un quadro clinico che orienta verso la possibile presenza di CPVT.
Il test diagnostico più affidabile è quello da sforzo, eseguito in ambiente controllato, dove il paziente viene sottoposto a esercizio fisico progressivo. In questa situazione, è possibile osservare direttamente la comparsa delle aritmie tipiche della CPVT, che si manifestano proprio in condizioni di aumento della stimolazione adrenergica.
Una volta sospettata la diagnosi clinica, si procede con l’analisi genetica per individuare eventuali mutazioni nel gene RyR2 o in altri geni associati alla malattia. La conferma della mutazione genetica permette una diagnosi definitiva, fondamentale non solo per avviare tempestivamente la terapia, ma anche per effettuare uno screening mirato tra i familiari, identificando precocemente i soggetti a rischio e prevenendo potenziali eventi cardiaci gravi.
Come si cura la CPVT
Fino a oggi, il trattamento della Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica si è basato principalmente su una terapia farmacologica volta a controllare i sintomi e ridurre il rischio di eventi aritmici potenzialmente letali. La strategia terapeutica più comune prevede l’uso dei beta-bloccanti, farmaci che bloccano gli effetti dell’adrenalina e delle catecolamine sul cuore, diminuendo così la stimolazione adrenergica che può scatenare le aritmie. Questi farmaci sono fondamentali per ridurre la frequenza e la gravità degli episodi aritmici, ma non risolvono il difetto genetico alla base della malattia.
In alcuni casi, viene associata la flecainide, un antiaritmico che agisce bloccando i canali del sodio nelle cellule cardiache, contribuendo a stabilizzare l’attività elettrica del cuore e a prevenire le aritmie ventricolari.
«Nonostante questi trattamenti, la terapia resta sostanzialmente sintomatica: riduce la probabilità di crisi aritmiche, ma non elimina il rischio in modo definitivo», aggiunge l’esperta. «Per questo motivo, alcuni pazienti continuano a manifestare episodi di tachicardia ventricolare polimorfa, nonostante la terapia farmacologica ottimale».
Qual è la novità in arrivo
La vera svolta nel trattamento della CPVT deriva dall’innovazione rappresentata dalla terapia genica, una strategia terapeutica che agisce direttamente sul difetto molecolare responsabile della malattia, piuttosto che limitarsi a controllarne i sintomi. Dopo oltre un decennio di studi approfonditi, il laboratorio di Cardiologia Molecolare dell’IRCCS Maugeri di Pavia, sotto la guida della professoressa Priori, ha messo a punto un approccio terapeutico capace di aumentare l’espressione della proteina calsequestrina nelle cellule cardiache.
«Questa nuova terapia, denominata SGT-501 utilizza un vettore virale modificato e reso completamente sicuro, progettato per veicolare il gene codificante la calsequestrina direttamente all’interno delle cellule del muscolo cardiaco», spiega la professoressa Priori. «L’inoculazione avviene per via intramuscolare, in modo simile a un vaccino tradizionale. Una volta all’interno delle cellule cardiache, il vettore rilascia il materiale genetico che induce la produzione endogena della proteina calsequestrina, fondamentale per mantenere l’omeostasi del calcio intracellulare».
Ripristinando i livelli fisiologici di calsequestrina, SGT-501 contribuisce a stabilizzare il rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico, prevenendo così il rilascio incontrollato che genera le aritmie tipiche della CPVT. In questo modo, la terapia genica interviene alla radice della patologia, con un potenziale impatto rivoluzionario sulla sua gestione.
Il recente riconoscimento della Food and Drug Administration (FDA) ha rappresentato un passo cruciale per questo progetto: la richiesta di avvio della sperimentazione clinica sull’uomo è stata approvata e SGT-501 ha ottenuto la designazione di farmaco orfano e di terapia per malattie pediatriche rare. Questo status permette di beneficiare di procedure accelerate per lo sviluppo clinico, note come “fast track”, che favoriscono l’avanzamento più rapido verso l’approvazione e la disponibilità terapeutica.
Il primo studio clinico di fase 1 è programmato negli Stati Uniti entro la fine del 2025, grazie alla collaborazione tra l’IRCCS Maugeri e la biotech americana Solid Biosciences, specializzata nello sviluppo di terapie geniche innovative. «I risultati preclinici ottenuti su modelli animali sono molto promettenti: le aritmie sono state completamente soppresse», conclude l’esperta. «Se i trial clinici sull’uomo confermeranno la sicurezza e l’efficacia della terapia, la CPVT potrebbe finalmente avere una cura risolutiva. Un traguardo straordinario, considerando che fino a pochi anni fa l’unica speranza era contenere il rischio».
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