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Bronchite asmatica, le nuove terapie

Maledetta primavera? Lo pensano milioni di persone allergiche ai pollini, che possono anche avere difficoltà di respiro. Ecco le ultime terapie

Foto: iStock



Tosse secca o grassa, accompagnata da pizzicore in gola e difficoltà respiratorie che ti impediscono di dormire bene. Stizzosa e insistente, la tosse primaverile è spesso sinonimo di una bronchite asmatica che non dà tregua. È infatti uno dei tanti sintomi della pollinosi, l'allergia ai pollini (soprattutto di graminacee, betulacee e cupressaceae) che vengono trasportati dal vento e che, in questa stagione, danno del filo da torcere a oltre sei milioni di italiani, vittime di allergie respiratorie che si manifestano principalmente con la rinocongiuntivite, ma anche con quella “fame d’aria” scientificamente chiamata dispnea.

Quali sono le cause di questa infiammazione cronica-recidivante ai bronchi e come migliorare la qualità del respiro? Per il nutrito popolo di asmatici, esistono infatti dei nuovi trattamenti che rappresentano il punto di collegamento tra le “vecchie medicine”, come il cortisone e i broncodilatatori, e le più recenti scoperte nel campo dei farmaci immunologici, come gli anticorpi monoclonali che segnano la nascita di una terapia sempre più personalizzata in questa come in altre patologie.


A caccia di pollini

Vi sono persone che sanno di essere allergiche alle graminacee fin dall’infanzia. E altre, invece, che si ritrovano a combattere con più invisibili nemici. Spesso, infatti, la “colpa” della bronchite asmatica non è di un solo polline, ma di un insieme di minuscoli “granellini” appartenenti a diverse piante che, penetrando nei bronchi, scatenano l’infiammazione e, di riflesso, la tosse come risposta fisiologica al tentativo di espellerli.

Le manifestazioni allergiche primaverili, dagli occhi che prudono alla raffica di starnuti acquosi fino all’attacco di asma, possono infatti esprimere una sensibilizzazione multipla ai pollini di più piante e non è sempre facile riuscire a individuarle. Per questo è meglio non fare di testa propria, utilizzando farmaci datati custoditi nell’armadietto del bagno, ma affidarsi sempre a uno specialista, pneumologo o allergologo, per farsi prescrivere gli esami giusti e cercare di adottare le strategie corrette, sia come trattamento sia a titolo di profilassi.

«Innanzitutto è bene prescrivere gli esami del sangue per dosare la quantità di IgE (immunoglobuline E) e di eosinofili (un tipo di globuli bianchi) in circolo, entrambi spia di una reazione di tipo allergico. Se sono elevate, possono essere prescritti test cutanei allergometrici, come il prick test, per cercare di individuare il o i pollini responsabili della risposta infiammatoria.

Oppure si può puntare sui più innovativi test molecolari basati sulle nanotecnologie che, con un prelievo di sangue, consentono di identificare oltre 100 allergeni, compresi tutti quelli respiratori come appunto polline, muffe, acari e pelo di animali, dal gatto al cane, dal criceto al cavallo», spiega il professor Marco Confalonieri, pneumologo e docente di malattie dell’apparato respiratorio all’Università di Trieste.

«Individuare il responsabile della bronchite asmatica, tuttavia, non porta sempre dei vantaggi sul lato pratico. Se la vicinanza a un gatto si può evitare, è praticamente impossibile schivare l’ondata di pollini che imperversa sia in campagna che in città. E poiché lo stimolo irritativo sulle vie aree è continuo, è bene affrontare le reazioni allergiche con tempestività per evitare che le difficoltà respiratorie (dispnea) possano sfociare in una vera e propria crisi asmatica, con broncospasmo e sensazioni di costrizione toracica».


Bronchite asmatica, vecchie e nuove cure

«La premessa è che spetta al medico prescrivere il tipo di terapia inalatoria: prevede l’utilizzo di spray bronchiali che associano il cortisonico a un broncodilatatore, oppure l’uso di polveri inalatorie, molto sottili e pronte a essere inalate con una profonda inspirazione per consentire loro di arrivare e agire a livello dei bronchi. Esistono anche delle nuove formulazioni farmaceutiche che uniscono due tipi di broncodilatatori, con un meccanismo d’azione diverso e complementare, all’azione antinfiammatoria del cortisone», sottolinea il professor Confalonieri.

Nelle forme severe di asma, invece, quando la terapia inalatoria a un dosaggio massimale non produce i risultati sperati, si usava fino a pochi anni fa un cortisonico per via orale, da assumere in modo continuativo, a volte per pochi giorni altre per mesi. Il rischio, però, è che a lungo andare si sviluppino i noti effetti collaterali delle terapie cortisoniche prolungate come disturbi gastrici, ipertensione arteriosa, aumento di peso, ritenzione idrica e, non ultimo, osteoporosi.

Per ovviare a questi problemi, negli ultimi anni ha preso piede la terapia biologica, che consente di ridurre sensibilmente o, in alcuni casi, di eliminare del tutto il cortisone. Ciò grazie agli anticorpi monoclonali, antinfiammatori che agiscono in modo specifico su alcuni bersagli molecolari come, per esempio, l’IL-5 o IL-13 che sono delle interleuchine.

«Abbiamo a disposizione diversi anticorpi monoclonali (dupilumab, mepolizumab, benralizumab e altri ancora) che sono prescritti solo in caso di asma bronchiale severa con significativo aumento degli eosinofili nel sangue (la cosiddetta asma eosinofila), mentre altri sono indicati anche nel trattamento delle forme non spiccatamente eosinofile», spiega l’esperto.

«Mi riferisco al tezepelumab, un anticorpo monoclonale che inibisce selettivamente l’azione della TSLP, il mediatore chimico dell’infiammazione liberato dai bronchi all’inizio della cascata infiammatoria tipica di chi soffre di asma. L’uso di questi innovativi farmaci, che vanno somministrati per via iniettiva una volta al mese o ogni due mesi, è ormai consolidato e i risultati sono ottimi, purché sia stata fatta una selezione iniziale dei pazienti candidati alla terapia biologica. Il loro uso, infatti, è destinato solo ai casi di asma severa poco responsiva alle terapie abituali e/o richiedente un uso cronico del cortisone, tale da indurre lo specialista a pensare ad altre soluzioni. Parliamo, quindi, del 10% di tutti i soggetti asmatici per i quali i nuovi farmaci hanno segnato una vera e propria svolta».


Curare l'asma alle terme

Se per te la primavera è veramente “maledetta” come nella canzone della Goggi, puoi chiedere al tuo medico di base di prescriverti un ciclo di cure inalatorie con acqua termale, suddivise in 12 inalazioni a getto di vapore e 12 aerosol termali. Il tutto a carico del SSN, purché il medico scriva come indicazione “rinite allergica” oppure “bronchite asmatiforme” o “spastica”. Per tua fortuna l’Italia, da Nord a Sud, è ricca di stazioni termali che erogano questo tipo di cure in convenzione.

«Tra le acque più efficaci c’è quella termale di Merano, una delle più studiate a livello clinico-universitario », premette il dottor Salvatore Lo Consulo, direttore sanitario delle Terme di Merano. «Nel 2018 uno studio condotto dal Dipartimento di Allergologia dell’Università di Siena, in collaborazione con l’ospedale di Merano, ha trattato 33 pazienti affetti da rinite allergica con 24 inalazioni di acqua termale (12 getti di vapore e 12 aerosol) e ha confrontato i risultati ottenuti, in termini di riduzione degli indici infiammatori, con altri 33 pazienti che nello stesso periodo avevano assunto cortisone nasale. A sorpresa, i risultati erano sovrapponibili.

Se l’acqua termale di Merano, essendo leggermente radioattiva e fluorata, agisce come potente antinfiammatorio delle alte vie aeree si deduce che i benefici si diffondano anche alle basse via aeree, come bronchi e polmoni. Del resto, già nel 2017 un’importante revisione di vent’anni di lavori svolti sulle acque termali ricche di gas radon, aveva dimostrato che esse favoriscono la broncodilatazione in chi soffre di asma, attenuando il senso di costrizione al petto».



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