Acufeni, quei fischi nelle orecchie: cause, diagnosi, cure

L’acufene è un suono “fantasma” percepito sotto forma di ronzii, sibili, fruscii, squilli o pulsazioni. Nella maggior parte dei casi è legato a una perdita uditiva, ma per venirne a capo serve un approccio multidisciplinare



Sicuramente ti è capitato. Qualcuno ti ha chiesto di pronunciare un numero, ha iniziato a contare sulle dita per trovare la lettera corrispondente e poi ha pensato ai nomi di amici e parenti con quell’iniziale per capire chi stesse parlando di lui, facendogli fischiare un orecchio. Questa credenza dimostra che le orecchie ronzano un po’ a tutti, per motivi diversi, ma in alcuni casi il fastidio diventa così persistente da compromettere la qualità di vita.

«Si parla di acufeni quando i rumori percepiti sono “fantasma”, cioè non esistono nel mondo esterno», spiega Roberto Teggi, otoneurologo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Normalmente si tratta di suoni come ronzii, fischi, sibili, fruscii, squilli o pulsazioni simili al battito cardiaco, che possono avere diversa intensità e cambiare da persona a persona».

Di solito il disturbo è bilaterale e insorge in entrambe le orecchie, ma non mancano i casi che interessano un solo lato.


Acufeni, è l'udito che fa le bizze

Alla base del sintomo c’è quasi sempre una perdita uditiva, anche temporanea, che può avere svariate cause: dalle patologie dell’orecchio (come le otiti) ai traumi cranici e acustici, dai tumori benigni del nervo acustico (neurinomi) all’uso di farmaci tossici per l’orecchio, dall’accumulo di cerume al normale processo di invecchiamento.

«Le prime vie acustiche sono costituite da neuroni, la cui attività elettrica è determinata dai suoni percepiti dall’orecchio», spiega Teggi. «Un calo uditivo su alcune frequenze determina un cambiamento di questa attività elettrica, percepita come un rumore prima non esistente».

Immaginiamo di essere a casa con il televisore acceso. Fuori sta suonando la sirena di un antifurto. Se abbassiamo il volume della tv, riusciamo a sentire l’allarme per strada; se lo alziamo, invece, non lo percepiamo più. Le nostre orecchie funzionano più o meno allo stesso modo: quando si “abbassa” il volume del mondo circostante, perché sentiamo meno bene, finiamo per avvertire dei suoni (in questo caso interni) che altrimenti ignoreremmo.

«Possiamo sperimentarlo all’uscita da una discoteca o dopo un concerto, dove siamo stati esposti a una musica molto elevata: per qualche ora è normale presentare una riduzione temporanea dell’udito e, come conseguenza, sentiamo proprio un fischio», descrive Teggi. «Il problema nasce se quel rumore non regredisce e persiste per settimane o addirittura mesi, rendendo difficile concentrarsi o perfino dormire».


Acufeni, gli esami da fare per la diagnosi

Trattandosi di una percezione individuale, impossibile da misurare o quantificare con registrazioni fisiche oggettive, come si accerta la presenza di acufeni? «In aiuto viene l’esame audiometrico, un test assolutamente indolore e di breve durata che consiste nel percepire dei suoni a vari toni e intensità, trasmessi da una cuffia all’interno di una cabina insonorizzata, per verificare come vengono avvertiti», descrive Teggi.

«Per il trattamento dell’acufene è anche indispensabile stabilire che impatto ha sulla persona. Allo scopo si chiede al paziente di compilare il Tinnitus Handicap Inventory, un questionario composto da 25 domande che serve a valutare gli effetti psicologici e l’impatto che l’acufene ha sulla vita quotidiana».

Per esempio, la rende infelice? Crea problemi di confusione mentale? Impedisce di svolgere attività sociali come andare al cinema o a cena? Provoca uno stato ansioso? Peggiora nei momenti in cui ci si sente maggiormente stressati? Il punteggio finale varia da 0 a 100: più alto è il risultato, maggiore sarà l’impatto psicologico negativo sul soggetto.

«Esiste poi un esame, detto acufenometria, che utilizza lo stesso sistema dell’esame audiometrico per inviare suoni al paziente, in modo che possa confrontarli con il suo acufene e individuare la frequenza più simile», spiega Teggi.


Acufeni, quando c’entrano bocca e postura

Se invece vengono escluse le cause otorinolaringoiatriche, si può ipotizzare che la comparsa o l’aggravamento degli acufeni possono dipendere dalla postura, specie a livello cervicale.

«Teniamo presente che noi percepiamo i suoni nello spazio grazie a informazioni che provengono da vari distretti corporei, fra cui testa e collo», interviene Federica Bressi, professore ordinario di Medicina fisica e riabilitativa presso la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.

«Patologie del rachide cervicale o posture scorrette possono alterare questo processo: a quel punto, la corteccia uditiva riceve informazioni anomale e il cervello può iniziare a registrare dei rumori in assenza di un’effettiva fonte sonora, memorizzandoli». Lo stesso può accadere in caso di problematiche legate alla bocca: «Il cranio è composto da una parte fissa, che forma la testa, e una mobile, che è la mandibola», evidenzia Mario R. Cappellin, professore a contratto di Ergonomia e Discipline Odontoiatriche all’Università di Modena e Reggio Emilia.

«Quest’ultima è ancorata al cranio grazie a una serie di muscoli che le consentono il movimento su una “cerniera”, l’articolazione temporomandibolare, che si innesta proprio sotto l’orecchio, leggermente più avanti». All’interno di questa articolazione c’è un disco morbido in fibrocartilagine, simile al menisco del ginocchio, che evita il contatto diretto tra le ossa della mandibola e del cranio.

«Se le due arcate dentarie non chiudono bene a causa di una malocclusione, dovuta a una particolare conformazione ossea o alla mancanza di denti, il disco “sguscia” in avanti e i due capi ossei si toccano con forza. Basti pensare che un morso può registrare una pressione pari a 300 kg su un centimetro quadrato, quindi l’impatto è notevole. Immaginiamo cosa accade se il paziente presenta bruxismo notturno e digrigna ripetutamente i denti». Questa forte pressione finisce inevitabilmente per scaricarsi anche sull’orecchio interno e, di conseguenza, può creare gli acufeni.


Acufeni, bisogna curare la causa

Trattandosi di un sintomo, non di una patologia, per risolvere il problema degli acufeni occorre intervenire sulla causa sottostante. «Questo significa curare eventuali malattie o condizioni dell’orecchio, se trattabili, oppure ricorrere a protesi acustiche per ripristinare la normale capacità uditiva», illustra il dottor Teggi.

Al contrario, se il deficit uditivo non fosse confermato, l’otorino potrebbe consigliare una visita fisiatrica oppure odontoiatrica per studiare il tratto cervicale o l’articolazione temporo-mandibolare, in modo da individuare eventuali anomalie e correre ai ripari.

In ogni caso, se il risultato è insoddisfacente o qualora non sia possibile agire sulle cause che generano l’acufene, si può ricorrere a metodiche che “distraggono” il cervello, attenuando la percezione cosciente del sintomo e favorendo una migliore tollerabilità del disturbo.

È il caso della terapia cognitivo-comportamentale, un tipo di psicoterapia che insegna strategie per gestire lo stress associato al disturbo uditivo, oppure della Tinnitus Retraining Therapy (TRT): «Quest ultima consiste in un modello riabilitativo che, grazie a piccoli generatori di rumore indossabili dietro le orecchie, simili alle normali protesi acustiche, cerca di abituare il paziente agli acufeni, insegegnandogli a considerarli stimoli neutri», specifica il dottor Teggi.

«In sostanza, questi erogatori diffondono un leggero rumore bianco, analogo a una cascata, per mantenere distratto il cervello e impedirgli di concentrarsi troppo sull'acufene».

Nell’arco di 3-4 mesi, l'80% delle persone osserva una diminuzione del disturbo, fino a quando gli erogatori non vengono eliminati del tutto perché gli acufeni risultano innocui.


Quando è colpa dell'otosclerosi

Gli acufeni possono rappresentare uno dei primi sintomi di otosclerosi, una malattia dell’orecchio che colpisce principalmente la staffa, l’osso più piccolo del corpo umano, che permette la comunicazione tra l’orecchio medio e quello interno.

A causa di una crescita anomala di tessuto osseo, la staffa si irrigidisce, non lavora correttamente e determina una progressiva e sempre più grave perdita dell’udito. Indagare gli acufeni può condurre a una diagnosi precoce, fondamentale per avviare trattamenti appropriati in una fase iniziale della malattia, prevenirne la progressione e mantenere una buona qualità di vita, riducendo l’isolamento sociale.


Il rumore del silenzio

Nel 1953, due ricercatori americani (Morris Heller e Moe Bergman) hanno chiesto a 80 giovani con un buon udito e senza acufeni di sostare per cinque minuti in una stanza insonorizzata. All’uscita, oltre il 90% dei partecipanti ha riferito di aver sentito rumori vari come fruscii, fischi e sibili.

Questo esperimento ha suggerito loro l’ipotesi che l’orecchio interno di tutti gli esseri viventi produca un suono come condizione di normalità. È il “rumore del silenzio”, che a volte possiamo avvertire prima di addormentarci in un luogo particolarmente isolato.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Leggi anche

Vertigini e acufeni? Cos'è la Malattia di Ménière: sintomi, diagnosi, terapia

Acufeni, quali sono le 6 cause più comuni del ronzio alle orecchie

Acufeni, 3 consigli di psicoterapia per affrontarli

Acufeni, le cure: perché la terapia del suono è la più efficace