A che età si diventa anziani: la risposta di sei specialisti

Ci sono aitanti over sessanta che non sembrano avvertire minimamente le insidie del tempo che passa. Ma è proprio vero? Quando il corpo e la mente entrano nella vecchiaia? Sei specialisti ci danno i loro parametri di valutazione



“Ho capito di essere invecchiato quando, al mio compleanno, tutti gli invitati si sono messi intorno alla torta per scaldarsi le mani”. La frase del comico americano George Burns apre un grande interrogativo: a che età si diventa anziani? L’asticella viene generalmente fissata a 65 anni, quando scatta il diritto di ottenere bonus, agevolazioni, contributi e sconti di vario genere. Queste “colonne d’Ercole” dell’anzianità vengono attribuite al cancelliere tedesco Otto Von Bismarck, che nel 1889 inventò le pensioni di vecchiaia e fu costretto a stabilire dei paletti anagrafici per potervi accedere.

Oggi, però, considerare anziani i 65enni appare davvero anacronistico, visto che molti di loro risultano in forma fisica e mentale come i 45enni di un trentennio fa. Ecco perché, nel 2018, la Società italiana di gerontologia e geriatria aveva proposto di aggiornare il concetto di anzianità, posticipandolo a 75 anni. Ma come la pensano gli esperti? I pareri non sono univoci.


  • Il medico internista: tra 65 e 75 anni

Prof. Claudio Borghi, specialista in Medicina interna

L’esistenza di una linea spartiacque fra giovani e anziani, responsabile del passaggio da una condizione all’altra con un fardello di potenziali malattie, è stata largamente smentita. Oggi sappiamo che l’età rappresenta solamente uno dei tanti fattori su cui viene stabilito il profilo di rischio personale: a grandi linee, esiste un range di anzianità – dai 65 ai 75 anni – in cui ciascuno va collocato in base all’età biologica, ossia alle caratteristiche cognitive, alla capacità di svolgere una vita attiva, alla presenza o meno di patologie concomitanti, alla storia pregressa di altre condizioni cliniche.

A livello interno, ci sono effettivamente degli organi che invecchiano più velocemente (come il rene, che ogni anno “perde” un certo numero di nefroni), mentre altri si mantengono efficienti più a lungo (il fegato, per esempio). Va detto, però, che il progressivo declino dell’organismo va di pari passo con una sua minore richiesta metabolica per cui, alla fine, la funzionalità dei vari organi riesce a coprire le mutevoli esigenze di ogni età. Dunque, se ciò che riusciamo a fare è proporzionale a ciò che ci prefiggiamo di realizzare, saremo giovani per sempre.


  • Il medico dello sport: già dai 35 anni


Dr. Massimo Spattini specialista in Medicina dello sport

“Masters” è un termine usato in ambito sportivo per definire chi ha superato una certa età: per esempio, nell’atletica si utilizza dai 35 anni in su, mentre nel body building scatta dopo i 40. Queste soglie vengono stabilite sulla base di criteri ben precisi: dopo i 35 anni tende a ridursi la VO2max (o massima potenza aerobica), cioè la quantità massima di ossigeno che l’organismo è in grado di captare-trasportare-utilizzare per assicurare resistenza e recupero post esercizio, mentre dai 40 anni inizia a diminuire la massa muscolare e, di conseguenza, la forza.

Ciò significa che il fisico diventa “anziano” molto presto: a rallentare questo decadimento può essere un costante allenamento, in grado sia di prevenire la sarcopenia (povertà di muscolo) sia di influenzare l’espressione dei geni favorenti la longevità. Quali muscoli invecchiano prima? Quelli formati dalle cosiddette fibre bianche, presenti per esempio in bicipiti e tricipiti, mentre le fibre rosse (come nei polpacci) si preservano più a lungo.


  • La psicoterapeuta: dopo la pensione

Dr.ssa Anna Scelzo, psicologa e psicoterapeuta

Dal punto di vista psicologico, iniziamo a percepirci “vecchi” quando sentiamo compromessa la nostra interazione sociale: in altre parole, se pensiamo che il nostro Io sociale non sia più funzionale a costruire progetti o relazioni, ci ripieghiamo su noi stessi e può risentirne anche l’umore. Non a caso, secondo alcune ricerche, andare in pensione aumenta del 60 per cento il rischio di soffrire di almeno un disturbo fisico e del 40 per cento quello di cadere in depressione. Il motivo sta nel fatto che ciascuno di noi ha bisogno di essere riconosciuto in un ruolo: genitore, lavoratore o altro.

Il segreto, dunque, sta nel continuare a coltivare qualche funzione. Per esempio, quando sentiamo esaurito il nostro ruolo di genitori (perché i figli sono indipendenti) oppure terminiamo la nostra vita lavorativa (e andiamo in pensione), possiamo cercare una nuova dimensione relazionale nel volontariato, che non pone limiti contrattuali o anagrafici. A quel punto, l’età avanzata non rappresenta più un elemento negativo, ma un patrimonio di saggezza da sfruttare al servizio degli altri.


  • Il medico estetico: dai 25-30 anni


Dr. Gian Paolo Baruzzi, medico estetico

La pelle inizia a invecchiare già dai 25-30 anni, ma con differenze individuali che dipendono dalla genetica, dalle abitudini di vita, dall’esposizione solare, dai livelli di stress e dalla cura che dedichiamo al nostro aspetto esteriore. È quello il momento giusto per agire sulla prevenzione, evitando che negli anni successivi insorgano i classici segni di senescenza cutanea: secchezza, perdita di volume, assottigliamento, rugosità, macchie. Man mano che la pelle cambia la sua struttura, è necessario variare anche i prodotti cosmetici che, da idratanti, devono diventare sempre più nutrienti.

Per renderli più efficaci, possono risultare utili la biorivitalizzazione, i peeling che stimolano la rigenerazione cutanea o il PRP (Plasma Ricco di Piastrine), un metodo rigenerativo che fornisce alla pelle sostanze nutritive, idrata e previene l’invecchiamento. Detto ciò, è fisiologico che dopo i 50 anni la cute diventi comunque più anziana: a quel punto, si può ricorrere a botulino, filler di profondità o fili tensori a effetto lifting, concentrandosi non solo sul viso, ma anche su collo, décolleté e mani.


  • L'immunologo: dai 65 anni


Prof. Mario Clerici, immunologo

Il sistema immunitario raggiunge il suo picco di maturazione intorno ai 15-20 anni e poi inizia a "perdere colpi" nel corso del tempo: la velocità di declino dipende principalmente da due fattori. Il primo è rappresentato dalla cosiddetta "infiammazione cronica di basso grado”, un processo cronico, silente e asintomatico che, quando eccessivo, ha importanti ripercussioni sull’intero organismo, fra cui un invecchiamento accelerato. Il secondo fattore coinvolto è la proteina Klotho, che sembra promuovere la salute del corpo e prolungare la durata della vita, ma il cui livello diminuisce con l’età.

Facendo due conti: se i livelli di infiammazione sistemica sono bassi e quelli di Klotho sono alti, si invecchia meno velocemente e si invecchia meglio. Come possiamo scoprirlo? Non ci sono test rivelatori, ma se ci ammaliamo spesso, se la mente è offuscata e se siamo sempre stanchi è probabile che anche le nostre difese non siano troppo agguerrite. È anche vero, però, che dopo i 65 anni gli anticorpi diventano comunque meno efficienti, per cui è ancora più utile sottoporsi a tutte le vaccinazioni consigliate, come anti influenzale, anti pneumococco e anti Herpes Zoster.


  • La dietista: dai 60 anni

Dr.ssa Serena Castronovo, dietista

Secondo i Larn, cioè i Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana che forniscono la base scientifica su cui si fondano le raccomandazioni nutrizionali, l'alimentazione deve cambiare a partire dai 60 anni e poi, nuovamente, dopo i 75. Il motivo sta nel fatto che la digestione rallenta nel corso del tempo, c'è una graduale tendenza alla disidratazione (dovuta alla ridotta percezione del senso della sete) e aumenta progressivamente il senso di sazietà che comporta una diminuzione dell’appetito, a causa di alterazioni sensoriali, comparsa di problemi masticatori e modificazioni che coinvolgono l'apparato gastrointestinale.

Spesso, il risultato è una malnutrizione che può sfociare nella sarcopenia, una perdita di massa e forza muscolare che favorisce il facile affaticamento e apre la strada a un repentino declino fisico e psichico. Peraltro, dopo i 60 anni, cresce il numero di soggetti con pluripatologie, come il diabete o la sindrome metabolica, che influenzano a loro volta il quadro nutrizionale.
Senza contare i farmaci assunti per trattare le varie condizioni: fra gli effetti collaterali ci sono nausea, stipsi o altri disturbi che possono ulteriormente “guastare” l’appetito.


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