Il caso Robbie Williams e i nuovi farmaci per obesità e diabete
Dopo le dichiarazioni del cantante britannico, le nuove terapie GLP-1 RA stanno suscitando preoccupazioni per i possibili effetti sulla vista. In realtà, le evidenze disponibili mostrano che gli eventi gravi sono rarissimi e che, se utilizzate correttamente sotto controllo medico, queste terapie sono sicure ed efficaci

Pochi giorni fa, un terremoto mediatico ha scosso il mondo dello spettacolo: il celebre cantante britannico Robbie Williams ha dichiarato al quotidiano The Sun di aver sviluppato problemi alla vista dopo l’assunzione di un farmaco dimagrante. Le sue parole hanno incendiato i social tra incredulità, preoccupazione e un’ondata di interrogativi, trasformando una vicenda personale in un caso di portata internazionale.
Secondo il suo racconto, l’artista aveva iniziato il trattamento a base di tirzepatide per smaltire gli 11 chili accumulati negli ultimi anni, nella speranza di ritrovare equilibrio e benessere. Ma accanto ai risultati attesi sarebbero comparsi alcuni disturbi oculari: difficoltà a riconoscere i volti, momenti di visione offuscata, una percezione meno nitida degli oggetti circostanti. Segnali sottili ma sempre più insistenti, impossibili da ignorare. Questo significa che la vista delle persone in cura con i farmaci per l’obesità è davvero a rischio?
Farmaci per dimagrire: nessun allarmismo
Gli esperti sottolineano che al momento non esiste alcuna prova scientifica di un nesso causale tra tirzepatide – o altri farmaci analoghi usati per obesità e diabete – e un danno diretto alla vista. «Alcune ricerche hanno sollevato ipotesi preliminari, ma nessuna di queste ha raggiunto un grado di conferma tale da destare preoccupazione nelle autorità sanitarie europee o statunitensi», spiega Luca Busetto, professore ordinario di Nutrizione presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e vice presidente dell’European Association for the Study of Obesity.
Nel caso dei pazienti diabetici, alcuni dati scientifici hanno sollevato degli interrogativi, ma senza fornire prove definitive. Un ampio studio osservazionale, pubblicato su JAMA Ophthalmology e condotto su circa 140 mila persone, ha suggerito per esempio che chi assumeva per più di sei mesi un analogo del recettore del GLP-1 (GLP-1 RA), come tirzepatide o semaglutide, mostrava una probabilità maggiore di sviluppare alterazioni retiniche. In particolare, i ricercatori hanno osservato un aumento della degenerazione maculare neovascolare legata all’età.
Gli autori dello studio ipotizzano che questo fenomeno potrebbe essere collegato alla rapida riduzione della glicemia indotta dai farmaci GLP-1 RA. Un calo veloce dei livelli di zucchero nel sangue potrebbe rappresentare uno stress per la retina, rendendo i tessuti più vulnerabili a episodi di ridotta ossigenazione e favorendo così la formazione anomala di nuovi vasi sanguigni.
«Si tratta però di osservazioni preliminari, che non permettono di trarre conclusioni definitive», precisa Busetto. «Il dato non è stato confermato da altri studi e non è considerato sufficiente per stabilire un legame causale. Anche per questo motivo le autorità regolatorie europee e statunitensi non hanno ritenuto necessario emettere segnalazioni o avvisi specifici».
Un altro studio, pubblicato circa un anno fa, ha evidenziato che le persone con diabete trattate con semaglutide potrebbero presentare un rischio leggermente maggiore di sviluppare una forma estremamente rara di neuropatia ottica, nota come neuropatia ottica ischemica anteriore non arteritica (NAION). Si tratta di una neuropatia monoculare, che interessa cioè un solo occhio e negli Stati Uniti colpisce meno di una persona su 10.000 ogni anno, potendo compromettere seriamente la vista. Anche in questo caso, tuttavia, gli esperti sottolineano che si tratta solo di un’associazione osservata e non di una prova di causalità diretta.
Lo studio che dice l’opposto
Al contrario, uno studio pubblicato ad agosto 2025 su Communications Medicine sembra ridimensionare le preoccupazioni. I ricercatori hanno confrontato le nuove terapie anti-diabete e anti-obesità (tirzepatide, semaglutide) con le terapie tradizionali – fentermina/topiramato, naltrexone/bupropione e fentermina – analizzando oltre 2 milioni di cartelle cliniche di pazienti.
I risultati mostrano che chi assumeva i nuovi analoghi del recettore GLP-1 presentava in realtà meno problemi agli occhi, inclusi disturbi comuni come cataratta e secchezza oculare. In particolare, tra gli utilizzatori di tirzepatide il rischio di sviluppare cataratta risultava circa dimezzato rispetto a chi faceva uso dei farmaci più datati. Secondo gli autori dello studio, queste terapie innovative non solo agiscono efficacemente sul peso e sul controllo della glicemia, ma potrebbero offrire anche benefici per la salute degli occhi, contribuendo a ridurre alcune complicanze oculari associate all’obesità.
Tutti i farmaci hanno effetti avversi
In attesa di ulteriori conferme o smentite, il messaggio è chiaro: «Ogni farmaco va utilizzato solo quando ci sono indicazioni precise e sempre sotto controllo medico», tiene a sottolineare Busetto. «Anche medicinali di uso comune, come gli antipiretici, possono avere effetti avversi gravi: la differenza la fa il modo in cui vengono prescritti e monitorati. Un medico competente è in grado di individuare eventuali reazioni indesiderate e intervenire tempestivamente, riducendo i rischi e adottando le misure necessarie».
Gli analoghi del recettore GLP-1 servono a trattare patologie specifiche e vanno impiegati all’interno del percorso terapeutico indicato. «Quando vengono utilizzati correttamente, seguendo le indicazioni del medico e con un monitoraggio adeguato, gli eventuali effetti collaterali possono essere identificati e gestiti, garantendo sicurezza ed efficacia», assicura l’esperto. «Il messaggio da ricordare è semplice: i farmaci sono strumenti preziosi, ma vanno sempre usati con consapevolezza, nelle giuste condizioni e sotto controllo specialistico».
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