Quando la malattia diventa un’opportunità

La conduttrice televisiva Nadia Toffa ha suscitato una “rissa” mediatica per avere dichiarato di vivere il tumore che l’ha colpita anche come un’opportunità. E non è la sola capace di rielaborare le malattie per riuscire a convivere con il dolore e le paure di ogni giorno. Ecco tre storie emblematiche



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Nadia Toffa

ANSA/MATTEO BAZZI


"Il cancro è un dono”. Una frase che, come un fulmine a ciel sereno, ha squarciato il cielo di Internet e ha creato polemiche a non finire. A pronunciarla, in un post sui social dove presentava il suo libro Fiorire d’inverno (Mondadori, 18 euro) è stata Nadia Toffa.

L’inviata de Le Iene, sommersa da critiche e insulti, ha poi corretto il tiro. «Non sono stata chiara», ha spiegato. «Il cancro è una sfiga che si combatte con la chemioterapia. Ma ho cercato di trasformare questo accidente in un’opportunità per riuscire a conviverci».

La conduttrice televisiva, 39 anni, confessa nel libro paure e dubbi, giornate buie e la riscoperta della sua parte più umana e debole. Proprio la fragilità le ha permesso di ascoltarsi e di provare a trovare qualcosa di costruttivo in un’esperienza devastante. Perché, lo scrive lei stessa, “certo che preferisco il sole, ma quando ci sei in mezzo scopri che anche la neve ha la sua bellezza”.

È questo il punto: la malattia può diventare un’occasione? «Certo», commenta Amalia Prunotto, psicologa e psicoterapeuta, esperta in medicina psicosomatica.

«Attenzione, però: bisogna prima concedersi la possibilità di sprofondare, di sentire la paura e l’impotenza che, se negati, dopo tornano inevitabilmente a galla. Poi si può proseguire e vedere in questo modo la capacità di resilienza che è in noi: è quasi un istinto che ci spinge a lottare e lo si può rafforzare trovando un motivo per combattere, come la propria famiglia. A quel punto si inizia a reagire e si comprende che la vita è una linea retta con un inizio e una fine e proprio perché la fine è certa e la si è quasi toccata con mano non si può perdere tempo, ma bisogna trasformarsi, migliorarsi.

Non è, comunque, un percorso semplice e uguale per tutti». Alcuni ci sono riusciti, come riportano queste tre testimonianze.


HA DATO UNA SVOLTA ALLA MIA VITA Carla Piccoli, 56 anni, di Roma

«All’inizio ho riso per quei dolori lancinanti a mani e piedi: avevo appena compiuto 50 anni e con Paolo, il mio compagno, ci prendevamo in giro per l’età che avanzava. Alla fine, visto che il disturbo non passava, ho deciso di andare in ospedale e quando il medico ha pronunciato le parole “artrite reumatoide” mi sono sentita svenire. Conoscevo la malattia: ne aveva sofferto una parente e l’avevo vista spegnersi lentamente su una sedie a rotelle. Anch’io mi sono spenta, chiusa in camera. Non volevo vedere nessuno, credevo che quella fosse una condanna senza scampo. Poi un giorno, dopo l’ennesima discussione con Paolo, mi sono detta che non avevo energie per un rapporto sterile, che andava avanti per abitudine, e gli ho detto addio. Sarà brutto da dire, eppure non ho pianto una lacrima, anzi mi sono sentita leggera. Questo è stato il primo passo. Poi mi sono presa un’aspettativa dal lavoro di segretaria. L’ho fatto per curarmi e anche per guardarmi intorno visto che quell’impiego non mi dava più nessuna soddisfazione. Un’amica stava lasciando il suo negozio di antiquariato perché si trasferiva e ho provato a valutare questa possibilità. Ci ho pensato 3 mesi, ogni sera studiavo i pro e i contro. E mi sono buttata. Oggi sono qui: tengo sotto controllo l’artrite e mi affanno in negozio. Non è facile, ma per la prima volta mi sento protagonista».


MI HA FATTO SCATTARE L'ALTRUISMO Giovanni Cupidi, 39 anni, di Palermo

«La cause della mia malattia sono ancora sconosciute. Avrei potuto diventare matto per questo scherzo del destino, ma ho investito la rabbia in qualcosa di buono. A 13 anni mi sono ritrovato tetraplegico, all’improvviso: una fitta alla scapola mi ha tolto il respiro, un’ischemia ha lesionato il midollo spinale e mi ha paralizzato dal collo in giù. Per 24 mesi sono quasi rimasto imprigionato in un limbo: a lungo ricoverato e fagocitato dalla fisioterapia, non comprendevo cosa stesse accadendo, non riuscivo a vedere un futuro. Poi, la mia famiglia mi ha spronato a cambiare. Lo studio è stato un trampolino: ha dato dei binari, uno schema alle giornate che così avevano un obbiettivo, come il compito in classe e poi l’esame da superare. Non solo: tornare a scuola e poi iscrivermi all'Università mi ha fatto crescere e migliorare, mi ha insegnato a confrontarmi con gli altri. Mi sono laureato e ho preso anche il dottorato in statistica applicata. Questo percorso mi ha dato maggiore consapevolezza nelle mie capacità e ha fatto scattare la voglia di aiutare gli altri. Sono diventato vicepresidente di Insieme per l’autismo onlus e portavoce del comitato Siamo handicappati no cretini. Mi spendo in prima persona per aiutare le persone con disabilità a ottenere i loro diritti, dall’assistenza domiciliare al lavoro. Ogni piccola vittoria riscatta qualsiasi dolore».


MI HA TRASMESSO GRINTA E LUCIDITÀ Ilaria Tonetto, 39 anni, di Treviso

«Quando ho scoperto di avere un melanoma al terzo stadio, ero mamma di una bimba di 4 anni e in attesa della seconda. È stato un calvario: la rimozione del neo, poi il cesareo programmato e la nascita della piccola a sole 30 settimane per poter affrontare le cure e un altro intervento per togliere i linfonodi... Ora sto bene, faccio i controlli e quando i medici mi dicono che procede tutto liscio mi sento una specie di combattente che ha vinto una battaglia. Guardandomi indietro, capisco di essere cambiata, sono un’altra. Prima di tutto, ho scoperto di avere una forza che non credevo di possedere e che mi ha permesso di affrontare tutto con grinta e lucidità. Da allora, se mi trovo di fronte ai piccoli grandi scogli quotidiani mi ripeto che se ce l’ho fatta contro la malattia, posso ottenere molto e questo mi regala una spinta infinita. Sono più calma e paziente: certo, se qualcosa non va mi arrabbio e sbuffo ma poi riesco a ridimensionare. Ho imparato a investire di più sui rapporti umani, anche al lavoro (mi occupo di comunicazione). Quando ero malata le attenzioni di clienti e colleghi mi hanno fatto un gran bene e da allora ho riscoperto che vedere gli altri come persone, con i loro bisogni e sentimenti, rende tutto più vero, mi fa sentire serena e gratificata. Infine, ho ritrovato la fede: non sono mai stata praticante ma durante la malattia e le cure ho capito che la spiritualità dà un senso ed è una dimensione che voglio vivere in famiglia, con le mie figlie».


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Articolo pubblicato sul n. 43 di Starbene in edicola dal 9/10/2018



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