Emicrania nelle donne: uno studio spiega da cosa dipende

Uno studio recente sottolinea che gli attacchi di emicrania potrebbero essere il frutto di un brusco calo di estrogeni contemporaneo ad alti livelli di una molecola chiamata CGRP



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Che gli estrogeni, gli ormoni femminili, giochino un ruolo essenziale nell’insorgenza dell’emicrania non è una novità. Ciò che invece non era ancora chiaro è quali altri fattori potessero scatenare gli attacchi, il cui effetto invalidante per la forma cronica è riconosciuto anche dal Servizio Sanitario Nazionale. Ora uno studio ha fatto luce sul “mix” tra ormoni femminili e una molecola specifica, la CGRP.

La ricerca apre la strada non solo a nuove e maggiori conoscenze su una patologia che, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, colpisce il 12% degli adulti in tutto il mondo, con un’incidenza 4 volte maggiore tra le donne rispetto agli uomini. La scoperta potrebbe anche portare alla possibilità di “misurare” in modo oggettivo questo tipo di cefalea, in modo da poter poi prevedere procedure migliori per quanto riguarda, ad esempio, le assenze dal lavoro a cui spesso sono costretti coloro che soffrono di emicrania.


Cosa ha scoperto lo studio: le cause dell’emicrania nelle donne

Condotto dal Charité Universitätsmedizin di Berlino, coordinato da Bianca Raffaelli e pubblicato sulla rivista Neurology, il lavoro mostra come gli attacchi di emicrania siano frutto di un brusco calo di estrogeni contemporaneo ad alti livelli di CGRP: si tratta di un neuropeptide che, quando insorge un attacco di emicrania, viene liberato dalle fibre nervose del nervo trigemino, producendo una vasodilatazione transitoria che dà un dolore per lo più martellante per tutta la durata dell’attacco.

«Non si tratta di una novità assoluta, perché dal primo studio sulla CGRP, pubblicato sulla rivista Nature nel 1982, cioè oltre 40 anni fa, numerose ricerche anche nostre - a partire dal 1985 - mostravano che il CGRP veniva proprio liberato da fibre del nervo trigemino, non solo negli animali da esperimento, ma anche nell’uomo», spiega Pierangelo Geppetti, direttore del Centro Cefalee dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi e docente presso l’Università di Firenze.
Il trigemino, infatti, è il nervo che porta al cervello le informazioni sensoriali e dolorose percepite a livello del cranio e del volto. In alcuni casi il suo malfunzionamento causa la cosiddetta “nevralgia del trigemino”, che può dare dolori brevi ma lancinanti scatenati anche da lievi stimolazioni, come per esempio il toccarsi il volto, radersi, truccarsi, masticare o lavarsi i denti.

«Ora, però, i colleghi hanno fatto un passo in più nella ricerca verificando la presenza di questa molecola nel liquido lacrimale, il che confermerebbe le precedenti intuizioni alle quali eravamo arrivati anche noi negli scorsi anni senza riuscire però ad giungere a una conclusione chiara, come in questo caso», spiega Geppetti.


Verso una “misurazione” dell’emicrania

Per la stessa natura della patologia, il mal di testa non può essere al momento “misurato” oggettivamente, «perché è percepito solo dal soggetto che ne soffre ed è causato da un evento molecolare “invisibile” anche ai più sofisticati mezzi di indagine neuroradiologica, come appunto la liberazione del CGRP dalle piccolissime fibre trigeminali che stanno intorno alle arterie craniche. Ma i risultati dello studio potrebbero portare a questo risultato futuro - conferma Geppetti -. Pur con la dovuta prudenza nel giungere a conclusioni affrettate e pur chiarendo che occorrerà tempo, si può dire che il lavoro dei colleghi è molto interessante, perché prende in considerazione due variabili che possono avere un ruolo determinante nell’insorgenza dell’emicrania, cioè proprio bassi livelli di estrogeni e alti livelli di CGRP».

«Certo le variabili che entrano in gioco sono molte, perché in questo caso si tratta di uno studio clinico in vivo – prosegue il clinico –. La relazione tra l’emicrania e la fluttuazione degli estrogeni, che si verifica nelle donne con un calo di estrogeni in concomitanza con il ciclo mestruale, è sicuramente un aspetto importante. Va detto, però, che nelle donne emicraniche le variazioni non sono così sostanziali: esiste necessariamente anche una componente genetica perché questi eventi “quasi normali” provochino nelle donne suscettibili quell’attacco di emicrania quando sono vicine al ciclo mestruale, più lungo, forte e difficile da trattare».

«Certamente il risultato dello studio recente dei colleghi può aprire la strada a una futura “misurazione” del mal di testa, arrivando a standard come quelli utilizzati per altre malattie come la glicemia o il colesterolo, che ci dicono quando vengono superati i valori ritenuti normali - prosegue l'esperto -. Ad oggi, infatti, dobbiamo limitarci al racconto del paziente: gli esami che il soggetto effettua che generalmente non mostrano anomalie, infatti, sono utili per escludere altre patologie, ma non per fare la diagnosi di emicrania e della sua gravità. Il che alle volte può rendere arduo “misurare” in maniera oggettiva la severità della malattia, il grado di invalidità che essa comporta, con ricadute importanti e difficili nei rapporti con il datore di lavoro. Insomma, lo studio rappresenta un buon inizio».

Come si cura l’emicrania

«In Europa e in Italia attualmente sono disponibili tre anticorpi monoclonali approvati per la profilassi dell’emicrania: prevedono una somministrazione sottocutanea una volta al mese per evitare l’insorgenza di emicrania. Ne è in arrivo un quarto che invece sarà somministrato per via endovenosa con lo stesso scopo – spiega l’esperto -. A questi si deve aggiungere una prima piccola molecola, quindi un farmaco sotto forma di compressa, da usare per il trattamento sintomatico, cioè per bloccare i sintomi dell’attacco ai primi segnali. Ma in questo caso mancano ancora la definizione delle modalità di prescrizione e del prezzo», conclude il professore.

Quando è davvero emicrania?

Al momento le linee guida e il consenso tra esperti definiscono due forme di emicrania: «Quella episodica fino a 14 giorni al mese, e quella cronica con 15 o più giorni con presenza di dolore emicranico. Inoltre, per emicrania episodica a bassa frequenza si intende quella che è presente 7 giorni al mese, mentre con attacchi tra gli 8 e i 14 giorni al mese, l’emicrania viene denominata ad alta frequenza. Queste definizioni non sono solo numeri - chiarisce Geppetti - ma hanno un grande impatto sulla qualità della vita dei pazienti e sui trattamenti che possono essere prescritti. Infatti, il paziente deve avere 8 o più attacchi al mese di emicrania e deve aver precedentemente provato almeno tre terapie classiche, che siano risultate inefficaci o non tollerate». Perché sia riconosciuta come emicrania cronica, infatti, occorre tentare più di una cura e per poter aver accesso agli anticorpi monoclonali devono essere state provate almeno tre terapie "tradizionali", senza che queste siano risultate risolutive. I monoclonali, infatti, per costo e disponibilità non possono essere offerti a tutti coloro che soffrono di emicrania.

Esistono, poi, anche alcuni ostacoli di natura burocratica. «Va detto che questa prescrizione non può essere iniziata rapidamente nel soggetto che soffre di emicrania né è semplice per il medico, poiché va eseguita sul sito dell’Aifa, l’Agenzia italiana del Farmaco, e richiede un monitoraggio periodico, oltre a una procedura burocratico-amministrativa impegnativa. In concreto – prosegue il direttore del Centro Cefalee di Careggi – significa che il paziente va visto o sentito 7 volte in un anno. Chi può permettersi di avere il tempo e le condizioni per farlo? Di fatto solo centri per le cefalee molto attrezzati che possono contare su collaboratori come assegnisti o corsisti, quindi quelli universitari e poco più. Probabilmente questo è anche il motivo per cui il budget inizialmente messo a disposizione il primo anno in cui questi farmaci potevano essere prescritti non è stato neppure del tutto esaurito. Ma non perché i pazienti non vogliano essere curati o i medici non vogliano trattarli con farmaci efficaci e sicuri, ma perché lo specialista che opera sul territorio non ha le risorse organizzative per farsi carico di una procedura complessa», spiega l’esperto della SISC, la Società italiana per lo studio delle cefalee.


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