Per una donna con tumore al seno metastatico, la vita quotidiana è segnata da una continua ricerca di equilibrio tra cure, controlli e la necessità di mantenere una qualità di vita dignitosa. «Le terapie disponibili negli ultimi anni hanno offerto risultati importanti, ma spesso ancora non risolutivi», racconta la dottoressa Barbara Tagliaferri, oncologa all'IRCCS Maugeri di Pavia. «Dopo mesi o anni di apparente stabilità o remissione, la malattia può trovare il modo di aggirare il trattamento, riprendendo la sua corsa. Quando accade, i medici devono ridisegnare il percorso di cura».
In questo scenario complesso, ogni nuova possibilità diventa preziosa. E oggi, anche in Italia, entra in scena elacestrant, un farmaco orale che offre una nuova chance alle pazienti in progressione alla prima linea di trattamento e che presentano una mutazione particolare, quella del gene ESR1. Non si tratta di una rivoluzione, ma di un passo avanti concreto, che arricchisce l’armamentario terapeutico a disposizione.
Cos’è elacestrant
Elacestrant appartiene a una classe di farmaci chiamati SERD, acronimo che indica i degradatori selettivi dei recettori degli estrogeni.
«Queste molecole hanno il compito di colpire un bersaglio ben preciso: il recettore degli estrogeni, una sorta di “antenna” presente sulla superficie di molte cellule del tumore al seno», spiega la dottoressa Tagliaferri. «Questo recettore permette alle cellule tumorali di legarsi agli ormoni femminili e di usarli come carburante per crescere. Elacestrant si lega a questo recettore e lo distrugge, impedendo così al tumore di sfruttare gli estrogeni per proliferare. In questo modo, le cellule malate diventano più deboli e meno capaci di diffondersi».
Per chi è indicato elacestrant
Quando una donna riceve la diagnosi di tumore al seno metastatico ormono-sensibile ed HER2 negativo, la prima strategia terapeutica prevede un trattamento combinato. «In genere viene utilizzato un farmaco ormonale, come gli inibitori dell’aromatasi o il fulvestrant, insieme a un CDK4-6 inibitore, farmaco biologico capace di bloccare le cicline, proteine fondamentali per la crescita delle cellule», descrive l’esperta. «Questo approccio rappresenta lo standard di cura iniziale e, nella maggior parte dei casi, riesce a tenere sotto controllo la malattia per un periodo anche piuttosto lungo, fino a diversi anni. Con il tempo, però, la malattia trova il modo di adattarsi e sviluppa meccanismi di resistenza che rendono le terapie meno efficaci».
È in quel momento che entra in gioco elacestrant. Il farmaco è indicato nelle donne che, dopo aver seguito il trattamento di prima linea, vanno incontro a una progressione della malattia. È necessario però che il meccanismo di resistenza sia correlato alla presenza di una mutazione genetica ben precisa. Elacestrant funziona nei casi in cui il tumore sviluppa una mutazione del gene ESR1, responsabile della produzione del recettore degli estrogeni.
«Quando questo gene muta, le cellule tumorali diventano più “furbe” e imparano a resistere alle terapie ormonali tradizionali», riferisce l’esperta. «Elacestrant riesce ad aggirare questa resistenza, offrendo alle pazienti una nuova possibilità di trattamento».
Cosa dicono gli studi
L’efficacia di elacestrant è stata dimostrata nello studio clinico internazionale di fase 3 Emerald, che ha coinvolto quasi 500 pazienti con tumore al seno avanzato o metastatico, già trattate con almeno una terapia ormonale, comprendente gli inibitori di ciclina. I risultati hanno mostrato che il farmaco riesce a rallentare in modo significativo la progressione della malattia, con un beneficio maggiore nelle donne che avevano risposto bene e a lungo alle terapie precedenti con inibitori di ciclina. In altre parole, più la prima cura aveva funzionato, più elacestrant si è dimostrato capace di prolungarne gli effetti.
Nel complesso, il farmaco ha ridotto il rischio di progressione della malattia di circa il 45% rispetto alle terapie ormonali standard, offrendo così un tempo prezioso in cui la malattia rimane sotto controllo.
Per stabilire se una paziente può beneficiare di questo trattamento è necessario un esame specifico: la biopsia liquida. Si tratta di un semplice prelievo di sangue, analizzato con una tecnologia avanzata chiamata Next Generation Sequencing (NGS), che permette di rilevare la presenza della mutazione ESR1. Solo chi presenta questa mutazione può trarre reale vantaggio dal farmaco, perché proprio da essa dipende la resistenza alle terapie ormonali tradizionali.
«Come tutte le terapie contro il tumore al seno metastatico, anche elacestrant può andare incontro a nuove resistenze con il tempo, rendendo necessario il ricorso a farmaci diversi», tiene a precisare la dottoressa Tagliaferri. «Ogni storia clinica è diversa e le cure devono essere scelte in modo personalizzato, tenendo conto di vari fattori. L’arrivo di elacestrant rappresenta una buona notizia, perché amplia le possibilità a disposizione di medici e pazienti, ma va inserito nel contesto corretto: quello di una ricerca che avanza passo dopo passo, offrendo nuove armi per tenere sotto controllo una malattia complessa come il tumore al seno metastatico».
Come si assume elacestrant
Uno dei punti di forza di elacestrant è la sua modalità di somministrazione: si assume per bocca, sotto forma di compressa, senza bisogno di infusioni o procedure invasive. Questo lo rende particolarmente comodo e “maneggevole” sia per le pazienti che per i medici, perché permette di integrare la terapia nella vita quotidiana in modo meno pesante rispetto ad altre cure oncologiche.
È già disponibile in Italia, viene rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale ed è utilizzato secondo le indicazioni approvate. «Inoltre, sono in corso studi clinici per valutare se possa essere efficace anche in fasi più precoci della malattia, ad esempio nelle donne operate che devono prevenire il rischio di recidiva», annuncia la dottoressa Tagliaferri.
Per quanto riguarda la tollerabilità, elacestrant si è dimostrato ben accettato dalle pazienti. Gli effetti collaterali più frequenti sono simili a quelli di altre terapie ormonali, come dolori articolari o rigidità, nausea e astenia, ma tendono a essere contenuti e gestibili. Non viene combinato ad altri farmaci in questa fase: si tratta infatti di una monoterapia, pensata per agire da sola nei casi in cui il tumore ha sviluppato resistenza ad altri trattamenti.
Una malattia da gestire
Il tumore al seno metastatico è oggi considerato una malattia cronica: non esiste una cura definitiva, ma esistono strumenti che permettono di gestirla nel tempo. I trattamenti vengono scelti di volta in volta e si susseguono secondo le necessità, intervenendo quando insorgono nuovi meccanismi di resistenza. In questo senso, l’obiettivo della medicina moderna è cronicizzare la malattia, consentendo alle pazienti di avere una qualità di vita accettabile e di continuare le proprie attività quotidiane, pur convivendo con il tumore.
«Il valore reale di elacestrant risiede nel contesto più ampio della ricerca oncologica, che negli ultimi anni ha messo a disposizione delle pazienti un numero crescente di farmaci a target molecolare e anticorpi coniugati che si affiancano alle già numerose terapie ormonali e chemioterapie», conclude l’oncologa. «Ogni nuova terapia non sostituisce le precedenti, ma si aggiunge a un armamentario terapeutico sempre più ricco, aumentando le possibilità di controllare la malattia e migliorare la qualità di vita. La ricerca continua a fare passi in avanti e ogni nuova opzione terapeutica è un contributo prezioso per il futuro della cura del tumore al seno metastatico».
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