La dipendenza è sempre più al femminile
Alcol, fumo, farmaci, gioco, sostanze illegali: per anni le dipendenze sono state considerate un fenomeno maschile, ma oggi sempre più donne ne sono coinvolte. Tra vulnerabilità biologiche, traumi ed effetti delle pressioni sociali, il rischio cresce e tocca salute fisica, psicologica e relazionale

Per decenni le dipendenze sono state raccontate al maschile: il “consumatore tipo” era un uomo, associato a comportamenti devianti o clandestini, e questo cliché ha finito per rendere le donne quasi invisibili. Oggi però lo scenario sta cambiando: aumentano i consumi femminili di alcol, cresce l’uso improprio di farmaci e psicofarmaci, si diffondono i comportamenti di gioco. Non è un semplice assestamento statistico, ma un vero cambio di prospettiva.
Le donne, spesso meno intercettate dai servizi e più riluttanti a chiedere aiuto, stanno emergendo con forza in un fenomeno troppo a lungo interpretato solo al maschile. Ne abbiamo parlato con Sarah Vecchio, direttore del Servizio per le Dipendenze (Ser.D.) dell’Asl di Novara e membro del Direttivo nazionale della Società Italiana Patologie da Dipendenza (S.I.Pa.D.).
Dottoressa Vecchio, quali fattori rendono le donne più vulnerabili alle dipendenze?
«Alcuni elementi sono comuni a tutti: genetica, ambiente e caratteristiche di personalità. Nelle donne, però, riscontriamo più spesso una storia segnata da traumi, nell’infanzia come in età adulta. Eventi avversi, esperienze dolorose, violenze fisiche o psicologiche sono molto frequenti nei loro vissuti e possono influire in modo determinante sullo sviluppo di una dipendenza».
Queste differenze si riflettono anche sul modo in cui si arriva a fare uso di sostanze?
«Le motivazioni possono essere simili per tutti, ma le dinamiche non sono le stesse. In generale, gli uomini cercano nelle sostanze lo “sballo”, l’evasione, il piacere. Le donne, invece, vi si avvicinano più spesso per alleviare un disagio: familiare, lavorativo, relazionale o sociale. Per molte diventano un modo per sentirsi meglio o, almeno, per attutire il peso di ciò che fa male».
Ci sono fasi della vita più a rischio?
«Ogni fase può presentare delle criticità. Oggi sappiamo che gli ormoni femminili influenzano lo sviluppo delle dipendenze: il ciclo ormonale incide sul funzionamento cerebrale e rende le donne più vulnerabili al cosiddetto effetto telescopico, cioè una progressione più rapida e severa verso la dipendenza rispetto agli uomini».
È solo questione di ormoni?
«No. C’è anche un fattore legato ai tempi di accesso ai Servizi: in media passano 6-8 anni tra l’inizio del consumo e la richiesta di aiuto, ma le donne arrivano più tardi rispetto agli uomini. E quando il percorso di cura parte così in ritardo, il quadro clinico è quasi sempre più complesso».
E da adulte?
«Con il tempo pesano traumi, violenze, maltrattamenti ed esperienze avverse. Durante la maternità subentrano altri aspetti: post-partum, ansia, depressione, la fatica di conciliare lavoro, figli e vita sociale. Inoltre le donne, più degli uomini, diventano caregiver di genitori anziani o familiari fragili: un carico che aumenta il disagio e, allo stesso tempo, le allontana dai Servizi, perché sentono di non potersi “permettere” di chiedere aiuto o provano vergogna».
Anche da anziane si rischia?
«Sì. In età avanzata ansia e depressione possono favorire l’uso di alcol, psicofarmaci o comportamenti come il gioco».
Quali sono le dipendenze più frequenti tra le donne?
«L’alcol è in costante crescita: i numeri non superano ancora quelli maschili, ma l’aumento tra le donne è più rapido. Sale anche l’uso improprio di farmaci, già dall’adolescenza, dai prodotti per dormire o dimagrire ai regolatori dell’umore. E alcune forme di gioco, come i gratta e vinci, risultano particolarmente attrattive per la popolazione femminile».
E le sostanze illegali?
«Nel complesso i consumi restano stabili, ma tra le ragazze si osserva un aumento dell’uso per via iniettiva e un interesse crescente verso gli stimolanti. È cambiato anche l’approccio all’eroina: oggi si inizia prevalentemente fumandola, una modalità percepita come meno “estrema” che può rendere più facile l’avvicinamento a una sostanza estremamente pericolosa».
Ma cosa succede nel cervello di chi cade in una dipendenza?
«Il cuore è il cosiddetto nucleo della ricompensa, un insieme di aree cerebrali che regola piacere e motivazioni. Sostanze o comportamenti lo modificano, fino a rendere quell’azione il principale modo per sentirsi “bene” o per attenuare il disagio».
Quali sono le principali conseguenze sul corpo femminile?
«Alcune sostanze incidono direttamente su salute fisica, capacità riproduttiva, gravidanza e genitorialità. Alcol e fumo, anche a dosi moderate, rappresentano fattori di rischio modificabili per alcune patologie oncologiche, in particolare tumore al seno e ai polmoni. Le donne sono inoltre più vulnerabili a esperienze di vittimizzazione, sfruttamento e prostituzione, spesso legate al reperimento della sostanza, con ulteriori rischi come malattie infettive o gravidanze indesiderate».
E sul piano psicologico?
«Le dipendenze possono generare ansia, depressione e un diffuso disagio mentale, con ricadute anche sulle relazioni familiari e sociali. Spesso si intrecciano pure con disturbi del comportamento alimentare».
Esistono percorsi di cura pensati appositamente per le donne?
«Stiamo ancora imparando a tradurre le differenze tra consumatrici e consumatori in percorsi pratici, ma alcune linee guida sono già chiare. La priorità è creare contesti sicuri, dove le donne possano confrontarsi sui propri bisogni e sentirsi protette, con uno spazio che riconosca e rispetti il loro vissuto, soprattutto in presenza di traumi pregressi».
Cambiano anche i farmaci prescritti?
«Più che altro, il metabolismo femminile è diverso: a parità di dose, le concentrazioni e la distribuzione nel corpo possono influenzare la risposta ai farmaci, compresi quelli specifici per le dipendenze, come gli agonisti per gli oppiacei. Non esiste però un trattamento “miracoloso” che sia efficace per tutti: la dipendenza è complessa e richiede interventi personalizzati, adattati alle caratteristiche di ciascuna persona».
A chi si può chiedere aiuto?
«Il sistema italiano è capillare: ci sono circa 600 Servizi per le Dipendenze (Ser.D.) distribuiti su tutto il territorio, gratuiti e accessibili senza impegnativa medica. È fondamentale non affrontare il problema da soli, ma parlarne con qualcuno di competente – medico di base, psicologo scolastico o insegnante – per costruire una rete di supporto che possa, se necessario, indirizzare ai servizi specialistici. Oppure ci si può rivolgere direttamente ai Ser.D. che possono fornire consulenze e aiuto non solo ai consumatori stessi, ma anche alle famiglie».
Si può fare qualcosa per prevenire le dipendenze in rosa?
«La prevenzione deve riconoscere le specificità delle donne. Un aspetto chiave è il ruolo del partner: molte giovani iniziano a usare sostanze perché lo fa la persona con cui stanno. Per questo è fondamentale rafforzare l’autodeterminazione e la capacità di riconoscere le relazioni rischiose. Anche comportamenti comuni, come fumare per sentirsi adeguate o “allineate”, rientrano in questo meccanismo. Prevenire significa offrire alle donne strumenti per scegliere in modo libero e consapevole. È da lì che passa la vera protezione».
I numeri delle dipendenze nelle donne
Secondo lo studio ESPAD Italia 2024 (European School Survey Project on Alcohol and other Drugs – Italy), le ragazze tra 15 e 19 anni mostrano un aumento marcato dei consumi: fumano più dei coetanei (51% contro 44%), “svapano” di più e, dal 2022, bevono e si ubriacano più dei ragazzi, spesso già a 14 anni o meno. Crescono rapidamente anche gioco d’azzardo e uso di psicofarmaci, con il 16,3% che li assume per dormire, dimagrire o migliorare umore e attenzione. In generale, i comportamenti a rischio sono ora più diffusi tra le ragazze che tra i ragazzi.
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