Demenze e Alzheimer, gli esercizi per il recupero cognitivo

Uno studio italiano, condotto a Pisa, ha messo a punto un percorso di allenamento per il corpo e la mente. I risultati sono incoraggianti. Ecco il racconto dell’esperto



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Le demenze, Alzheimer incluso, sono sempre più diffuse, complice l’invecchiamento della popolazione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità potrebbero diventare delle vere e proprie emergenze, anche perché a oggi non esistono farmaci efficaci per questo tipo di malattie, legate a un decadimento cognitivo.

Ma alcuni esercizi fisici e un allenamento cognitivo mirato possono non solo ridurne gli effetti: in alcuni casi potrebbero portare addirittura a un recupero. Ad affermarlo sono i ricercatori del Cnr di Pisa, che hanno condotto uno studio innovativo che ha portato a risultati incoraggianti. «Gli stimoli ambientali riescono ad arrestare e talvolta a far regredire il decadimento cognitivo dei pazienti», ha affermato Alessandro Sale, il primo autore della ricerca, condotta con i finanziamenti dalla Fondazione Pisa e svolto in collaborazione con Università di Pisa, Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa (Cnr-Ifc) e Ircss Fondazione Stella Maris.

Lo studio sulle demenze condotto a Pisa

Proprio a Pisa si trova una struttura innovativa che ha permesso di condurre le ricerca a un livello approfondito. «Si tratta di un luogo unico in Italia, una vera e propria palestra della mente, dove abbiamo allestito un’area dedicata per esercitare funzioni quali memoria, logica e attenzione. Questi soggetti hanno svolto cicli di stimolazione cognitiva e motoria, anche attraverso la musicoterapia, in un contesto altamente creativo che potremmo definire di arricchimento ambientale, effettuando sia attività individuali che di gruppo», illustra Nicoletta Berardi, ricercatrice del Cnr-In. Gli esperti italiani, infatti, hanno sviluppato un programma di allenamento, chiamato Train the Brain.

Il percorso è rivolto a persone con danno cognitivo lieve, di età compresa tra i 65 e gli 89 anni. I risultati sono incoraggianti: «Gli effetti benefici perdurano nel tempo e non sembrano condizionati dai fattori generalmente correlati alla demenza, come il genere, l’età e il tasso di scolarità. Inoltre, il miglioramento appare più marcato nelle donne e nei soggetti con minor grado di istruzione, che all’inizio del training presentavano una maggiore compromissione delle funzioni cognitive», sottolinea Sale.

Quale allenamento fisico contro le demenze

Train the Brain «era partito nel 2012 ma, mentre nelle sperimentazioni passate abbiamo analizzato i risultati subito dopo il training, in questa sessione abbiamo deciso di osservarne gli effetti a distanza di sette mesi dall’allenamento», spiega il ricercatore del Cnr.

Il percorso di allenamento fisico prevede tre sessioni alla settimana (lunedì, mercoledì e venerdì), di un’ora ciascuna. «Abbiamo messo a punto percorsi personalizzati perché ciascuno ha caratteristiche specifiche: in questa fascia di età c’è chi potrebbe correre una maratona e chi invece fatica a fare una breve corsetta. Per questo abbiamo scelto come attrezzo il cicloergometro, che permette una taratura personalizzata e modificabile nel tempo quando, man mano che si progredisce, si aumenta anche l’intensità dello sforzo» dice Sale.

«L’allenamento prevede anche esercizi a corpo libero, con movimenti degli arti superiori e inferiori da eseguire in piedi per migliorare l’equilibrio; un’altra parte, invece, si svolge su materassini e punta allo stretching. Infine, usiamo anche i nastri elastici che permettono anch’essi di modulare lo sforzo, possono essere di varie misure e aiutano la coordinazione motoria, mentre i palloni sono usati per farli rimbalzare camminando per la palestra, quindi unendo la coordinazione al movimento».

Gli esercizi utili per la mente

Al percorso di allenamento in palestra segue poi la parte di esercizio cognitivo, che però in questo caso si basa soprattutto su un’attività di gruppo.

«Abbiamo creato un contesto ricreativo sociale, delle vere e proprie classi come quelle del liceo, ma composte da “ragazzi di 80 anni” che dopo 7 mesi giocano, scherzano tra loro e non vogliono abbandonare il programma», spiega l’esperto del Cnr.

Uno degli obiettivi degli esperti, infatti, è creare un ambiente che, oltre a proporre i classici esercizi di enigmistica e memorizzazione, stimoli anche la fluidità verbale, che possibilmente possa migliorare nell’arco dei mesi. Per questo, proprio con cadenza mensile, il pacchetto di esercizi proposti viene modificato, aumentando progressivamente il grado di difficoltà. «Se, per esempio, inizialmente si chiede al paziente di ricordare a memoria una lista di 30 parole contenute nelle canzoni della sua infanzia, successivamente lo si esorterà a ricordarne 50». 

La novità: musicoterapia e cineforum

Il protocollo, però, non comprende solo queste due fasi, ma si arricchisce con la stimolazione attraverso la musicoterapia e il cineforum. «Periodicamente proponiamo la visione di un film tutti insieme, dopo la quale lo si commenta, ripercorrendone le tappe principali e chiedendo cosa ci si ricorda della trama, dei personaggi, ecc., in modo da proseguire l’attività cognitiva in modo piacevole e ricreativo», sottolinea Sale.

Inoltre, una volta alla settimana un musicoterapeuta interviene proponendo la sua musica dal vivo e chiedendo poi agli anziani di suonare a loro volta uno strumento semplice, come un tamburello o le maracas. «Anche in questo caso è importante che l’attività sia condotta in gruppo, in questo modo da stimolare molteplici funzioni cognitive contemporaneamente: l’ascolto, l’esecuzione, il movimento, la coordinazione... La mente risulta molto impegnata con evidenti benefici».

Le donne recuperano meglio le funzioni cognitive: perché?

I risultati migliori nel recupero delle funzioni cognitive, emersi dallo studio, sono stati ottenuti nel campione di donne. Perché? «I motivi sono essenzialmente due: il primo è più generale. Chi ha un livello di scolarizzazione inferiore ha anche un deficit cognitivo più marcato, quindi durante il percorso ha un margine di recupero maggiore rispetto a chi magari ha disturbi cognitivi inferiori. Da questo punto di vista in genere le donne che accedono al percorso risultano un po’ più compromesse».

Secondo alcuni studi questo si spiegherebbe con il calo e le variazioni ormonali che intervengono con la menopausa, e che porterebbero a una minore “protezione” dai segni dell’invecchiamento (anche cognitivo) che si registra nella popolazione femminile in terza età. «L’aspetto positivo, però, è che le donne sono in genere più propense a farsi coinvolgere in attività come quelle proposte nel protocollo e questo le porta ad ottenere maggiori benefici. Rispetto agli uomini hanno mediamente meno vergogna o reticenza nell’accettare il percorso e quindi ottengono un recupero cognitivo maggiore», conclude l’esperto.

luglio 2023


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