Chi ama il cinema forse ricorderà le cause che hanno portato al suicidio, nel 2014, del grande attore Robin Williams, affetto da sintomi che all’inizio i medici attribuirono a una forma di depressione ma che in realtà erano dovuti alla demenza a corpi di Lewy. Ovvero una grave malattia neurodegenerativa dovuta all’anomalo accumulo di una proteina, chiamata sinucleina, nel cervello e, precisamente, nel citoplasma delle cellule neuronali.
La novità? Oggi è possibile stilare una diagnosi precoce dei pazienti affetti da questa patologia grazie alla scoperta tutta italiana di due biomarker: due “spie rivelatrici” in grado di dirci con largo anticipo, rispetto alla comparsa di sintomi marcati, se il soggetto rischia di sviluppare la malattia o ha già contratto una forma iniziale.
Demenza a corpi di Lewy: i sintomi
Di che cosa si tratta? «Poco conosciuta e sottodiagnosticata, la demenza a corpi di Lewy comporta un progressivo e irreversibile deterioramento di tutte le funzioni cognitive», afferma il professor Luigi Ferini Strambi, docente di neurologia dell’Università Vita-Salute dell’Ospedale San Raffaele di Milano.
«I sintomi sono diversi a seconda della fase della malattia e delle manifestazioni cliniche individuali, che possono variare molto da paziente a paziente. Come riferì la moglie di Robin Williams, per esempio, l’attore iniziò a soffrire di tremori alle mani, perdita della memoria, confusione mentale, insonnia e, verso la fine della sua esistenza, anche di allucinazioni visive e uditive e di delirio paranoico. Tutti sintomi che possono essere scambiati con altre patologie, non soltanto neurologiche ma anche psichiatriche, e che possono sovrapporsi a quelli di altre malattie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson o l’Alzheimer.
Non è facile, infatti, discriminare tra l’una e l’altra forma di demenza senile se si è agli esordi della malattia e il paziente riferisce, per esempio, soltanto dei deficit di memoria, comuni a tutt’e tre le patologie. La scoperta di alcuni marcatori specifici della malattia aiuta quindi noi neurologi a porre una diagnosi differenziale, escludendo una forma di demenza piuttosto che un’altra».
Demenza a corpi di Lewy, la scoperta dei ricercatori italiani
Ma in che cosa consiste la scoperta fatta dai ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con un altro prestigioso polo universitario della capitale, quello del Campus Bio-Medico? Lo studio, pubblicato sul Journal of Alzheimer’s disease, consiste nell’aver indivduato due marcatori salivari (sì, basta prelevare con un tamponcino poche gocce di saliva) tipici di questa insidiosa malattia: l’alfa-sinucleina oligomerica e la tau-fosforilata. Ovvero due proteine-chiave nell’eziopatogenesi della demenza a corpi di Lewy, che d’ora in avanti consentiranno di approdare a una diagnosi in tempi brevi.
«L’alfa-sinucleina in eccesso, formante degli aggregati proteici che mandano in tilt i circuiti cerebrali, si riscontra anche nel Morbo di Parkinson. Ma quella “oligomerica” è tipica della demenza a corpi di Lewy e consente già di fare dei preziosi distinguo», commenta il professor Luigi Ferini Strambi.
«Anche la proteina Tau è una “vecchia conoscenza”, responsabile tra le altre cose dell’Alzheimer. Ma la forma “fosforilata” è caratteristica della demenza a corpi di Lewy, ed è importante riuscire a dosarne la concentrazione. Fin qui nulla di nuovo: queste due proteine si studiano da decenni. La novità è che possiamo dosarle nella saliva, tramite un test diagnostico rapido e semplicissimo, per nulla invasivo e perciò candidato a diventare un test di screening per la popolazione anziana con deficit di memoria e cognitivi.
Finora la procedura diagnostica normalmente utilizzata, infatti, prevede la rachicentesi (nota come “puntura lombare”), una tecnica invasiva mirata a prelevare un campione di liquido cefalorachidiano, quel liquor che scorre nel canale midollare della spina dorsale. Si tratta di una pratica medico-chirurgica, poco amata dai pazienti perché può risultare fastidiosa, nonostante l’anestesia locale eseguita nella zona lombare. Il test della saliva, invece, già in uso nella ricerca e nella sperimentazione, si presta a soppiantare la rachicentesi e a diventare un esame di routine nella pratica clinica perché rapido, economico, non invasivo e assolutamente attendibile».
Il futuro delle cure per la demenza a corpi di Lewy
Ma la scoperta firmata dai ricercatori di Roma apre altre prospettive che vanno ben oltre la diagnosi. Per quanto riguarda la terapia, allo stato attuale non esiste una cura risolutiva della demenza a corpi di Lewy.
Purtroppo la malattia progredisce in maniera invalidante, con sintomi sempre più complicati da gestire sia per chi ne soffre sia per i parenti che convivono con l’ammalato. Per rallentarne l’evoluzione vengono prescritti alcuni farmaci usati nel Parkinson e nell’Alzheimer, ma senza terapie specifiche.
«A mio avviso poter contare su una diagnosi precoce, molto “tagliata” sulla demenza a corpi di Lewy, consentirà al paziente di evitare sia esami inutili e macchinosi, sia l’assunzione di farmaci che servono a poco o nulla, prescritti in buona fede quando ci si muove nel vasto campo delle demenze», commenta il professor Luigi Ferini Strambi.
«E anche se allo stato attuale non esiste una vera e propria cura, l’aver centrato il focus della diagnosi aprirà presto nuovi scenari terapeutici, risparmiando ai pazienti del futuro prossimo venturo l’assunzione di pillole che non hanno come bersaglio la temutissima demenza a corpi di Lewy».
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