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Cibi allergizzanti: reintrodurli poco alla volta è sicuro?

Secondo uno studio recente, reintrodurre gradualmente i cibi che danno allergia potrebbe essere molto pericoloso. Ma c’è chi si erge a difesa di questo metodo usato fino a ora. E qui ci spiega perché

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Mai arachidi in tavola, né latte, uova, grano e compagnia: un’allergia alimentare è per sempre, proprio come i diamanti. A sfatare questo mito è la desensibilizzazione orale per alimenti (Dopa), una moderna terapia che consente di trattare e spesso risolvere le reazioni avverse a un determinato cibo. Peccato però che uno studio internazionale, cui ha preso parte l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, ne abbia recentemente messo in discussione la sicurezza, accusando la desensibilizzazione di aumentare i casi di shock anafilattico, una condizione clinica grave che può addirittura condurre alla morte. Abbiamo indagato per capire meglio.


Si rieduca il sistema immunitario
«Il trattamento ufficialmente riconosciuto per le allergie alimentari consiste essenzialmente nell’escludere dalla propria dieta i cibi che ne sono causa, prestando particolare attenzione a quei prodotti che possono celarne anche minime quantità», commenta la dottoressa Iride Dello Iacono, pediatra allergologa Ospedale Sacro Cuore di Gesù Fatebenefratelli di Benevento.

«Nell’ultimo trentennio, però, si è fatta strada la desensibilizzazione, che si basa sulla somministrazione progressiva e graduale dell’allergene attraverso una procedura che può avvenire unicamente in ambiente protetto, cioè ospedaliero, ma con piccoli incrementi anche a domicilio, sempre sotto stretto controllo medico, nel tentativo di rieducare il sistema immunitario e renderlo tollerante alla sostanza che lo manda in tilt».

Per farlo, il bambino viene sottoposto innanzitutto a un test di provocazione orale, un esame che, oltre ad accertare l’allergia, consente di stabilire la personale soglia di reattività, ovvero la dose minima di allergene che può scatenare una reazione avversa. «A quel punto, sopra i cinque anni di età, può essere proposta la procedura, che va autorizzata dai genitori. Al paziente viene fatta ingerire quotidianamente la sostanza allergizzante, partendo da quantitativi al di sotto della soglia di reattività fino al raggiungimento della dose desiderata». Nei casi più gravi, dove sono sufficienti minime tracce per scatenare uno shock anafilattico, lo scopo è aumentare la soglia di reattività per migliorare la qualità di vita, soprattutto all’interno di particolari contesti sociali (come mense o ristoranti) dove non è sempre possibile avere un pieno controllo degli allergeni. Al contrario, nei bambini che presentano una reattività intermedia, e dunque meno grave, il traguardo è più ambizioso: sconfiggere del tutto l’allergia, consentendo una dieta libera.


I dati che ne dimostrano l’efficacia
In base ai dati emersi da alcune meta-analisi, che hanno combinato i risultati di più studi condotti sulla desensibilizzazione per latte e uovo, la percentuale di successo è pari all’80%. Questo
indipendentemente dalla personale reattività del paziente e dal protocollo di trattamento utilizzato. Di fronte a questi numeri incoraggianti, perché allora uno studio internazionale ha acceso un campanello d’allarme? «Va detto innanzitutto che i risultati fanno riferimento solo alla desensibilizzazione per le arachidi, non così diffusa in Italia, dove si interviene soprattutto per latte, uova e grano. In secondo luogo, i ricercatori si sono chiesti se i bambini trattati con la Dopa avessero più o meno rischio di incorrere in shock anafilattico rispetto a quelli che escludevano le arachidi dalla dieta. La conclusione era ovvia: somministrare un allergene, seppure a basse dosi, comporta certamente un maggiore rischio di effetti collaterali rispetto a non introdurlo nella dieta. Dunque, niente allarmismi», spiega l’esperta.


Bisogna continuare a stimolare il sistema immunitario
In compenso, però, non è chiaro se la desensibilizzazione possa indurre una tolleranza definitiva o se al contrario, sospendendo la somministrazione quotidiana dell’allergene in questione, possano ripresentarsi le reazioni avverse. «Ciò significa che, una volta ottenuto il risultato desiderato, l’alimento deve far parte della propria dieta almeno due o tre volte alla settimana, in modo da continuare a stimolare il sistema immunitario», chiarisce l’esperta. L’importante è praticare la Dopa presso centri allergologici di terzo livello, collocati in strutture pubbliche (quindi in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale) e specializzati nel trattamento delle anafilassi. Qui si possono ricevere tanti consigli personalizzati: per esempio, alcune delle proteine che creano allergia sono termolabili, cioè vengono degradate con il calore, per cui già in epoca precoce potrebbe essere suggerita la somministrazione dell’allergene in preparazioni cotte al forno, come i biscotti. «Se ben tollerate, si potrà intraprendere un percorso guidato per migliorare la qualità di vita dei piccoli pazienti, ampliando le loro scelte a tavola», conclude l’esperta.


Occhio agli esami

La desensibilizzazione orale per alimenti viene proposta ai bambini allergici che abbiano compiuto almeno 5 anni. Al di sotto di quella età è bene sapere che, qualora prick-test ed esami ematici eseguiti per una sospetta allergia, e quindi per la ricerca delle IgEs, risultino positivi, è comunque consigliabile sottoporre annualmente il bambino a un ulteriore test di provocazione orale per verificare se tollera davvero o no il cibo sospetto. Talvolta, infatti, la positività degli esami tradizionali può non corrispondere a un’effettiva allergia ancora “attiva”, e va verificata.

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