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Alzheimer, approvato un nuovo farmaco che rallenta la malattia

Si chiama donanemab e agisce sull’evoluzione del disturbo. Si somministra una volta al mese con la sorveglianza dei medici

iStock



di Chicca Belloni


La Commissione europea ha approvato l’immissione in commercio del donanemab, un farmaco destinato al trattamento della malattia di Alzheimer nelle sue fasi iniziali, già autorizzato dalla FDA negli Stati Uniti. Si tratta di una notizia molto positiva: gli studi clinici hanno infatti dimostrato che la molecola è in grado di rallentare la progressione della malattia.

«Al San Raffaele lo utilizziamo da febbraio scorso: una volta che un ente regolatorio internazionale ne approva l’uso, è possibile somministrare un farmaco anche prima del via libera definitivo dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Considerata la gravità della patologia e la sua naturale tendenza a peggiorare nel tempo, riteniamo che i pazienti non possano permettersi di attendere», spiega il professor Massimo Filippi, direttore dell’Unità di Neurologia, del Servizio di Neurofisiologia e dell’Unità di Neuroriabilitazione, e professore ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele.


Che tipo di farmaco è

«Il donanemab è un anticorpo monoclonale progettato per favorire la rimozione delle placche di beta-amiloide, una delle due proteine patologiche che si accumulano nel cervello delle persone con malattia di Alzheimer. È una forma di immunoterapia che ha dato risultati incoraggianti negli studi clinici: in molti casi si è osservata una rimozione quasi completa delle placche amiloidi», dice l'esperto.

«È importante chiarire che questo farmaco non cura la malattia, ma ne rallenta l’evoluzione di circa il 30%. In altri termini, se il decorso naturale procede a una “velocità” di 100, con il trattamento la progressione si riduce a 70. Ciò implica una manifestazione più tardiva dei sintomi».


Alzheimer, i primi segnali da non sottovalutare

I pazienti che traggono il maggior beneficio dal donanemab sono quelli nelle fasi molto iniziali dell’Alzheimer.

Ma quali sono i campanelli d’allarme che dovrebbero spingere a consultare un neurologo?

Deficit di memoria: dimenticanze frequenti o episodi di confusione inspiegabile possono rappresentare un primo segnale.

Difficoltà nelle attività quotidiane: preparare un pasto e scordare di servirlo o non ricordare di averlo fatto, è un sintomo potenzialmente rilevante.

Problemi di linguaggio: non si tratta del classico “avere una parola sulla punta della lingua”, ma di dimenticare termini comuni o sostituirli con parole inappropriate.

Disorientamento spazio-temporale: perdere la strada di casa, non riconoscere un luogo noto o non ricordare come ci si è arrivati.

Alterazioni del giudizio: vestirsi in modo incongruo, come indossare un accappatoio per uscire o sovrapporre più capi in una giornata calda.

Difficoltà di pensiero astratto: problemi nel riconoscere numeri o nell’eseguire calcoli elementari.

Problemi nella collocazione degli oggetti: riporre oggetti in luoghi insoliti – un ferro da stiro nel congelatore, un orologio nello zucchero – e dimenticare di averlo fatto.

Variazioni di umore o comportamento: cambiamenti repentini e immotivati possono rappresentare un ulteriore segnale.


Come si somministra il farmaco e quali gli effetti collaterali  

Il farmaco viene somministrato una volta al mese tramite infusione endovenosa. Come tutte le terapie, presenta possibili effetti collaterali. «Il più noto è rappresentato dalle ARIA, amyloid-related imaging abnormalities, alterazioni rilevabili alla risonanza magnetica, tipicamente edemi o microemorragie cerebrali».

Per questo motivo il farmaco presenta alcune controindicazioni: non è indicato per pazienti in terapia anticoagulante o con specifiche patologie vascolari. Inoltre, è necessario monitorare attentamente chi lo assume, effettuando risonanze magnetiche nei primi mesi di trattamento per individuare tempestivamente eventuali alterazioni.


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