Oppioidi

Il termine oppio deriva dal greco òpion (“succo”) che faceva riferimento al denso liquido lattiginoso, di colore giallo-verdastro, estratto dalla capsula di un particolare tipo di papavero, il Papaver somniferum. Tale succo contiene diversi principi attivi, cioè composti chimici che hanno proprietà medicinali: morfina, codeina, tebaina, papaverina, noscapina, narceina e altri ancora. Tali sostanze, essendo […]



Il termine oppio deriva dal greco òpion (“succo”) che faceva riferimento al denso liquido lattiginoso, di colore giallo-verdastro, estratto dalla capsula di un particolare tipo di papavero, il Papaver somniferum. Tale succo contiene diversi principi attivi, cioè composti chimici che hanno proprietà medicinali: morfina, codeina, tebaina, papaverina, noscapina, narceina e altri ancora. Tali sostanze, essendo tutte derivate dall’oppio, si possono anche chiamare oppiacei: alcune di esse (la principale è la morfina) hanno proprietà analgesiche, sono cioè in grado di combattere il dolore, mentre altre (per esempio la papaverina) hanno proprietà spasmolitiche o antispastiche, sono attive cioè contro i dolorosi spasmi della muscolatura liscia dell’intestino. Alcune sostanze dotate di effetti molto simili ai derivati dell’oppio, ma prodotte in laboratorio attraverso un meccanismo di sintesi, sono da taluni chiamate oppiodi, al pari di alcune sostanze naturali presenti nel nostro organismo (enkefaline, endorfine) che hanno identica azione. Non vi è tuttavia accordo tra i farmacologi nell’utilizzo dei due termini: alcuni infatti preferiscono riservare qust’ultimo termine alle sole molecole “naturali” presenti nell’organismo (enkefaline, endorfine), e impiegare invece il termine oppiacei per definire tutte le altre sostanze con effetto simile alla morfina, siano esse prodotte in laboratorio oppure derivate direttamente dalla pianta del papavero. In considerazione dell’ormai consolidata abitudine di utilizzare il termine oppioide, anche nelle lingue internazionali, si impiegherà in questa sede tale termine per indicare tutti i farmaci accomunati dal meccanismo d’azione simile alla morfina.


Storia

La storia travagliata dei derivati dell’oppio, e del loro uso in medicina, rende ragione dei falsi miti che impregnano tuttora la cultura moderna riguardo a questi farmaci. L’utilizzo dei derivati del Papaver sonniferum risale probabilmente alla preistoria, dal momento che sono state ritrovate capsule di tale fiore in reperti databili a 30.000 anni fa. Dati certi sull’impiego dell’oppio si ricavano poi dai Sumeri, i cui medici 5000 anni fa chiamavano il papavero Hul (gioia) e Gil (pianta), quindi “pianta della gioia”; furono i Sumeri a diffondere l’uso del papavero da oppio presso altri popoli, come gli Assiro-Babilonesi e gli Egiziani, e proprio in Egitto, in un antico papiro (Il libro ermetico dei medicamenti), si ritrova la prescrizione dell’oppio come sedativo. Nell’antica Grecia l’oppio trovò accaniti oppositori. Eristrato, medico a Ceo 500 anni prima di Cristo, scrisse che «l’utilizzo dell’oppio dovrebbe essere completamente abbandonato perché rende dipendenti»; Diagora di Melo, filosofo del 300 a.C., arrivò a dire che «è meglio soffrire di dolori che diventare dipendenti dall’oppio». D’altra parte il grande Ippocrate consigliava l’oppio contro numerosi mali e Asclepio di Bitinia (129-40 a.C.), il padre della teoria atomistica (intuì infatti che la materia è composta da atomi), non lesinava ai suoi pazienti sofferenti il diacodio, sciroppo a base di papavero da lui preparato. Nell’antica Roma, Galeno teneva così tanto all’oppio da affermare che «sine opio medicina claudicat» (senza l’oppio la medicina zoppica); diffuse inoltre tra i medici di Roma la teriaca, un farmaco contenente una discreta quantità di oppio inventato da Andromaco, medico personale di Nerone. Tale farmaco venne perfezionato nel tempo e utilizzato fino all’alto Medioevo e alla nascita delle prime università. San Benedetto da Norcia, nel 500, scrive nelle Regole che l’oppio è «infirmorum cura ante omnia et super omnia» e i suoi monaci amanuensi riportano le prime ricette per l’anestesia in preparazione di interventi chirurgici a base di oppio (Ypnoticum adiutorium). L’oppio diventa così il composto più presente nei rimedi contro il dolore e, in seguito, il suo uso viene ufficialmente approvato e consigliato prima dalla Scuola salernitana, successivamente dalle università. Si deve a un alchimista svizzero un po’ stravagante dei primi del cinquecento, Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, che si faceva chiamare Paracelso (per chiarire a tutti che lui era più grande del grande medico Celso), l’invenzione della tintura di oppio o laudano. Questo farmaco venne perfezionato nel 1619 dal reverendo Thomas Sydenham, considerato l’Ippocrate inglese, il quale stabilì l’esatta percentuale di oppio che doveva essere presente nella tintura (10%), rimedio che risultò in effetti molto efficace contro ogni tipo di dolore. Nel Ricettario sanese redatto dai frati camaldolesi in Siena nel 1777 si trova comunque la raccomandazione che tale tintura «non si ponga in opera senza l’approvazione di prudente medico e sempre con gran circospezione». Nel 1836 venne pubblicato Enchiricon, trattato di medicina del medico personale del Re di Prussia, Christopher Wilhelm Hufeland, che attribuì l’appellativo di “veri e propri eroi” a tre rimedi, il salasso, i farmaci emetici e l’oppio: di quest’ultimo affermò che «di tutti i rimedi nessuno, più di questo, riesce a ridurre in modo così efficace o far sparire, come per incanto, per un certo periodo di tempo, dolore e paura!». Nel 1805, intanto, un giovane garzone della farmacia Klein di Paderborn in Germania, Friedrich Wilhelm Adam Serturner, era riuscito con pochissimi mezzi e tanta curiosità a cristallizzare dall’oppio una sostanza dieci volte più potente, che per il suo effetto soporifero chiamò Morphium in onore di Morpheus (la divinità greca del sonno). Nel corso dello stesso secolo furono scoperte la codeina (Robiquet, 1832) e la papaverina (Merck, 1848). A tutt’oggi la morfina è il farmaco oppioide di riferimento per la sua maneggevolezza, la scarsità degli effetti collaterali, la facilità con cui è possibile dosarla e il suo basso costo. Alla morfina seguì la produzione di sostanze di sintesi morfino-correlate, gli oppioidi, e fu il primo caso in cui da un prodotto principale si produsse una cascata di prodotti correlati.

Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, prima degli inizi del Novecento, la vendita di oppioidi era assolutamente libera e l’uso quasi domestico. Morfina e laudano erano presenti in preparazioni vendute al pubblico come rimedio per tosse, raffreddore, diarrea e mal di denti; esisteva addirittura uno sciroppo, chiamato rimedio di Mrs. Winslow, venduto comunemente dal 1830 al 1910 per i disturbi di dentizione nei bambini, nonostante avesse un contenuto tale di morfina da mandare in overdose circa la metà dei soggetti che l’avessero assunto senza esserne assuefatti. L’utilizzo iniziò a cambiare quando, nel timore di un abuso sociale e individuale di morfina, venne introdotta una regolamentazione più rigorosa (1914), ma si deve comunque arrivare fino al 1953 per assistere a un riscatto della morfina: un anestesista italo-americano, John Bonica, dell’ospedale militare di Madigam a Washington, scrisse che i narcotici e in particolare la morfina, quando usati precocemente, non avevano rivali come analgesici nelle patologie inoperabili. Da tale affermazione si sviluppò un dibattito internazionale che portò, nel 1973, al primo meeting internazionale sul dolore, in cui si sancì che il sollievo dal dolore da cancro era un diritto fondamentale di ogni malato. Nel 1986, l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicò Cancer Pain Relief , le prime “linee guida” per il controllo del dolore da cancro, in cui si dava indicazione all’utilizzo di farmaci oppioidi secondo principi tuttora validi: assunzione regolare di oppioidi, a orari fissi, con possibilità di dosi al bisogno, utilizzando prioritariamente le vie di somministrazione più semplici come quella orale.


Meccanismo d’azione

Solo nel 1973, con la scoperta e l’identificazione delle strutture cellulari complesse dette recettori, si venne a conoscenza del meccanismo d’azione dei farmaci oppioidi. Due anni più tardi vennero scoperte alcune sostanze dell’organismo che hanno azione simile alla morfina: si trattava di molecole formate da più aminoacidi (peptidi) e prodotte dalle cellule nervose, che avevano efficacia antalgica. Hughes e Kosterliz chiamarono queste sostanze enkefaline, perché furono isolate per la prima volta da tessuto cerebrale. Oggi si conoscono quattro principali tipi di recettori per gli oppioidi, indicati come m (mu), k, d (delta) e s (sigma): di questi, i primi tre sono i più noti e importanti e vengono ulteriormente classificati nei sottotipi m1 e m2, k1, k2 e k3, d1 e d2. I farmaci oppioidi più comunemente usati nella pratica clinica si legano selettivamente ai recettori m: il loro sito d’azione principale, ma non unico, si trova nel midollo spinale. Il legame tra oppioide e recettore impedisce la trasmissione dell’impulso doloroso dal midollo spinale all’encefalo (talamo e corteccia cerebrale) realizzando così un’efficace analgesia. Alcuni farmaci oppioidi (morfina, metadone, fentanyl, ossicodone, idromorfone, bruprenordina) aumentano il loro effetto all’aumentare della dose: per essi quindi non esiste una dose massima, come per tutti gli altri farmaci, ma piuttosto una dose appropriata, da intendersi come la dose minima efficace in grado di controllare il dolore del paziente con minimi effetti collaterali.


Quando si usano gli oppioidi

La principale indicazione, ma non l’unica, dei farmaci oppioidi è il trattamento e controllo del dolore. Nel 1986 sono state pubblicate dall’OMS le linee guida, con l’obiettivo di fornire a ciascun Paese membro uno strumento efficace e facilmente applicabile da tutti gli operatori, anche non specialisti, per il controllo del dolore da cancro; dieci anni dopo (1996) è stata pubblicata la seconda edizione del metodo, basato sulle esperienze raccolte da oltre 30.000 malati testati per verificarne la validità. L’OMS ha messo in rilievo come la scelta terapeutica per controllare il dolore con farmaci analgesici debba essere guidata dall’intensità del dolore: lo strumento proposto per misurare tale valore è una “scala” a tre gradini, che prevede l’utilizzo di farmaci non-oppiodi per il dolore lieve, farmaci oppioidi meno potenti per il dolore lieve-moderato e farmaci oppioidi potenti per il dolore grave.

L’International Narcotic Control Board, organismo indipendente che tiene sotto controllo l’utilizzo dei farmaci oppioidi nei Paesi membri, ha dimostrato nel 1997 che grazie all’utilizzo di questo semplice strumento è aumentata la tendenza al consumo di morfina, e che questo dato va considerato un significativo indice di una più elevata sensibilità dei sistemi sanitari dei paesi membri al problema del dolore.


Effetti collaterali

Come per tutti i farmaci, anche per gli oppioidi vi è un rovescio della medaglia rappresentato dagli effetti collaterali: i recettori infatti possono provocare, in determinate condizioni, effetti non desiderati oltre all’analgesia. In particolare, i recettori m, per la loro distribuzione prevalente nel sistema nervoso centrale, possono dare depressione respiratoria, euforia, dipendenza, prurito, nausea, riduzione della motilità intestinale, ritenzione urinaria, bradicardia; i recettori k sono responsabili di miosi (contrazione della pupilla) e sedazione; i recettori d, presenti soprattutto nell’amigdala (una struttura dell’encefalo), sono invece probabilmente responsabili di alterazioni emotive connesse con l’affettività. In sintesi, quindi, gli effetti collaterali dei farmaci oppioidi si manifestano sempre, anche se con intensità molto diversa in ragione del tipo di oppioide e del tipo di soggetto; non tutte le persone infatti avvertono gli stessi effetti collaterali con eguale intensità. Il più comune effetto collaterale, ma anche il più innocuo e ben controllabile, è la stipsi: in effetti la costipazione intestinale si manifesta così costantemente in chi assume oppioidi che è diventata buona prassi somministrare insieme al farmaco oppioide anche un lassativo, in dosi che vanno verificate da soggetto a soggetto. Ogni medico quindi prescrive con l’oppioide un farmaco lassativo, che di norma riesce a controllare perfettamente l’effetto collaterale. Meno comune della stipsi, ma presente in un buon numero di pazienti, è la nausea, che raramente è molto intensa e in pochi casi si associa a vomito. Anche per questo effetto indesiderato la somministrazione preventiva di antiemetici (farmaci contro il vomito e la nausea) riesce a impedirne l’insorgenza. Un effetto in genere poco gradito ai pazienti, spesso motivo di preoccupazione e allarme, è quello sedativo: può infatti manifestarsi sonnolenza durante le prime somministrazioni e, raramente, si può arrivare a uno stato di letargia; più spesso il soggetto si sente con la “testa confusa” o prova un senso di instabilità e vertigine.Va ribadito, in ogni caso, che tali effetti collaterali in genere sono molto ben controllabili da farmaci specifici e, soprattutto, che sono temporanei. La loro scomparsa dipende dal tipo di effetto, dal soggetto in cui si manifesta, dal tipo di farmaco oppioide somministrato ed è legata all’instaurarsi del fenomeno della tolleranza: bastano di norma pochi giorni per la scomparsa di nausea, vertigini, sedazione, mentre per la stipsi sono necessari molti mesi, e questa è la ragione per cui la somministrazione del lassativo va proseguita per molto tempo. Un effetto collaterale molto temuto, perché legato a conseguenze gravi, è quello depressivo che ogni oppioide esercita sul centro del respiro a livello cerebrale. In alcuni casi, molto rari e tipicamente legati alla somministrazione di dosi molto elevate di un oppioide, il centro del respiro può infatti venire inibito, per cui il soggetto va incontro a una mancanza del respiro che può avere come conseguenza anche la morte, se non si interviene prontamente con l’antidoto specifico. Per lungo tempo la possibilità che questo effetto si manifestasse ha spaventato i medici a tal punto da condizionare la prescrizione dei farmaci oppioidi, riservandoli ai soli casi disperati (moribondi, dolore grave da cancro ecc.). Oggi però le conoscenze in merito a questi farmaci fanno ritenere che l’effetto sul centro del respiro, ancorché possibile, sia di fatto assolutamente raro e prevedibile. I pazienti che assumono oppioidi infatti dispongono di un antidoto naturale che li preserva dalla depressione respiratoria: il dolore! In altre parole, nessun paziente con dolore forte che assume oppioidi alle dosi consigliate dal medico può andare in depressione respiratoria. Tale effetto può manifestarsi al contrario in chi assume oppioidi per altri scopi: la morte per overdose dei soggetti tossicodipendenti è legata proprio all’assunzione di alte dosi di eroina, in assenza assoluta di dolore.


Controindicazioni

A prescindere dagli effetti collaterali, vi sono soggetti che è bene non assumano oppioidi. Le controindicazioni possono essere assolute, e quindi far ritenere sempre dannosa la somministrazione, oppure relative, ovvero tali da rendere possibile la somministrazione di oppioidi sotto assoluta e stretta sorveglianza medica. Una controindicazione assoluta è per esempio l’ipersensibilità verso i farmaci oppioidi, e in questo senso è bene iniziare la somministrazione dei farmaci a basse dosi, in modo da saggiare la sensibilità individuale. Eccetto l’utilizzo durante le cure palliative nelle fasi terminali della vita, gli oppioidi sono controindicati anche in presenza di depressione respiratoria, occlusione intestinale, asma bronchiale e broncopatia cronica. Non sono consigliati in gravidanza e durante l’allattamento, nei soggetti che assumono farmaci antidepressivi con un meccanismo d’azione che inibisce le monoaminossidasi e nei soggetti alcolisti. Per quanto riguarda invece le controindicazioni relative, queste sono rappresentate dalla presenza di malattie del fegato e del ritmo cardiaco, di traumi cranici o di stati in cui si sospetta un addome chirurgico (cioè in cui la diagnosi non è ancora nota e può comportare l’intervento chirurgico d’urgenza).


Interazioni

Gli oppioidi potenziano l’azione dell’alcol, dei farmaci noti come tranquillanti e sonniferi, degli anestetici e in genere di ogni farmaco che produca sedazione: l’utilizzo contemporaneo di tali preparati deve pertanto essere attuato sotto stretto controllo medico, con grande prudenza e a dosaggi ridotti. Per la morfina, inoltre, particolare attenzione deve essere posta nell’associare farmaci come la ranitidina e la ciprofloxacina.


Tipi di farmaci oppioidi

I medici hanno a disposizione un’ampia gamma di farmaci per la terapia del dolore, ognuno classificabile in base alla sua potenza analgesica, che di norma è comparata con quella della morfina (il farmaco capostipite); altre classificazioni si basano sull’azione dei diversi oppioidi sui recettori prima menzionati. Inoltre, ciascun oppioide possiede determinate caratteristiche, per cui può risultare più indicato per trattare specifici tipi di dolore. Di seguito vengono riportati i farmaci oppioidi che sono commercializzati in Italia, classificati in ragione della loro potenza analgesica. Le più recenti indicazioni dell’OMS (Ginevra 1996) prescrivono per il dolore lieve-moderato codeina e tramadolo (da soli o in associazione con il paracetamolo), mentre per il dolore moderato-grave viene suggerita la somministrazione di morfina, metadone, ossicodone, idromorfone, fentanyl e brupenorfina.

Codeina (metil-morfina) È un alcaloide dell’oppio con potenza pari a circa un decimo della morfina; gran parte dell’analgesia dunque è da attribuire alla formazione di morfina e congeneri. Sono presenti in commercio prodotti che contengono in compresse codeina e paracetamolo.

Tramadolo È un farmaco sintetico dotato anche di un meccanismo d’azione suppletivo legato alla serotonina. Rispetto alla morfina, nella formulazione orale, la sua potenza è di circa un quinto. Sono presenti in commercio sia fiale sia formulazioni orali.

Morfina Principale alcaloide naturale estratto dall’oppio, ricavato dal Papaver somniferum, dotato di potente attività sul recettore mu. La via di somministrazione preferibile è quella orale e conta su due possibili formulazioni: a rilascio breve o rapido (sciroppo, gocce o flaconcini monodose) e a rilascio lento o controllato (compresse o capsule).

Fentanyl Oppioide semisintetico con potenza analgesica da 75 a 100 volte superiore alla morfina. È utilizzato in anestesia in formulazione fiale, mentre per il controllo del dolore è presente in formulazione transdermica (cerotto). Il cerotto contiene nella sua matrice il farmaco e lo rilascia in maniera costante in ragione della sua superficie.

Ossicodone Oppioide sintetico derivato dalla tebaina, di potenza analgesica circa doppia rispetto alla morfina. Esistono due formulazioni di ossicodone, a rilascio immediato e a rilascio controllato a vario dosaggio.

Idromorfone Oppioide con proprietà simili alla morfina, ma 5 volte più potente. È disponibile in una speciale formulazione orale che rilascia il prodotto in 24 ore.

Buprenorfina Derivato semisintetico della tebaina, con azione sui recettori d e m. È presente in commercio in due formulazioni: compresse sublinguali per il dolore acuto e formulazione transdermica per il dolore cronico; in quest’ultima la bruprenorfina è circa 70 volte più potente della morfina.

Metadone Oppioide di sintesi con azione simile a quella della morfina ma proprietà differenti in quanto, rispetto alla morfina, penetra più rapidamente nel sistema nervoso centrale. La morfina e il metadone dimostrano approssimativamente la stessa potenza analgesica dopo singola somministrazione, mentre nel trattamento cronico, per ottenere uno stesso grado di analgesia, il metadone può essere somministrato a una dose più bassa e con un più lungo intervallo tra le dosi rispetto alla morfina. È presente in commercio in sciroppo. [P.L.A.]