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Sale, i consigli per ridurlo

Scopri che cosa portare in tavola per non superare i 5 grammi al giorno. Reni e stomaco ti ringrazieranno

© J. Pfeiffer/Corbis



di Francesca Soccorsi

Nonostante da anni gli esperti ci raccomandino di consumare meno sale, nella nostra dieta ne introduciamo ancora troppo. Secondo l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) non dovremmo superare i 5 grammi al giorno, compreso quello presente negli alimenti. Invece, in Italia raggiungiamo un introito addirittura doppio e, in certe regioni (Basilicata, Calabria e Sicilia), arriviamo a 12 grammi. Non solo: un importante studio italiano, l’Olivetti heart Study, ha permesso di osservare che persino le persone in cura per la pressione alta riducono l’uso del sale soltanto in minima percentuale. Eppure basterebbe seguire le indicazioni dell’OMS per avere 100.000 casi in meno di infarti e ictus all’anno. «Ma l’eccesso di sale non aumenta solo il rischio cardiovascolare», avverte Enrica Mari, nutrizionista e gastroenterologa all’ospedale San Raffaele di Milano.

«Compromette anche la funzionalità dei reni, che vengono sovraccaricati, aumentando la possibilità che si formino calcoli. Inoltre, il sodio favorisce l’eliminazione del calcio con le urine, indebolendo le ossa e favorendo la comparsa dell’osteoporosi. Attenzione anche per chi soffre di gastrite: il sale stimola la mucosa dello stomaco e fa aumentare la produzione di acidi». Infine, lo sappiamo tutte, non è certo amico della linea, perché peggiora la ritenzione idrica e l’odiata cellulite. Insomma, è proprio il caso di “tagliarlo”. Ecco le strategie per riuscirci.


I TRUCCHI IN CUCINA
Il 10% del sale che consumi è naturalmente presente negli alimenti, il 54% proviene da preparazioni industriali (o artigianali) e il restante 36% lo aggiungi tu quando cucini. Già quest’ultima percentuale ti fa capire che puoi contribuire molto a limitarne l’introito giornaliero. Ti sembra una mission impossible? Ricorda che l’attrazione verso il gusto salato, a differenza di quella per il dolce, non è innata, ma acquisita. È quindi una questione di abitudini: già dopo 10-15 giorni a basso regime di sale il palato si adegua, perché le papille gustative sono molto adattabili.

Comincia con piccoli passi: preferisci i cibi freschi anziché pronti e, di questi ultimi, privilegia quelli che hanno un contenuto di sale inferiore a 0,4 grammi per etto. Elimina il dado e altri tipi di insaporitori. Se senti l’esigenza di dare più gusto a un piatto, prova a usare erbe e spezie. Ricorda: il succo di limone e l’aceto permettono di dimezzare l’aggiunta di sale perché agiscono come esaltatori di sapidità. E se proprio vuoi aggiungere un pizzico di sale, fallo sempre a fuoco spento: se lo metti quando il cibo sta cuocendo, si formano dei cristalli più difficili da smaltire e che trattengono acqua.

Dopo una settimana circa passa a un’azione più strong: non portare più la saliera a tavola, cambia tipo di pane, preferendo per esempio quello toscano, riduci al minimo il consumo di salumi (una volta alla settimana), tieniti alla larga da piatti pronti e conserve in scatola.

Chiediti sempre quale alternativa hai. Quando fai la spesa o mangi fuori casa, puoi allenarti a scegliere i cibi che contengono meno sale. «Se invece di un panino con il salame o il prosciutto crudo ne preferisci uno con pomodoro e mozzarella, risparmi circa 2,5 grammi di sale», spiega Barbara Borzaga, nutrizionista. «Se scegli legumi freschi anziché in scatola, ne tagli un grammo. Occhio anche ai formaggi: tra un etto di crescenza e uno di provolone c’è un grammo e mezzo di differenza». Qualche altro consiglio? Sì al tonno “basso in sale”: ne contiene solo 0,25 grammi per etto contro 1,6 grammi di quello normale. Se non riesci a eliminare il sale a crudo, usa il gomasio: è una miscela di semi di sesamo (ricco di minerali e acidi grassi Omega 3) e sale marino integrale, in proporzione di 7 a 1. Insaporisce molto, ma contiene parecchio meno sodio. Ami la spolverizzata di formaggio grana sulla pasta? In alternativa prova il lievito alimentare in scaglie (lo trovi nei negozi veg), ottimo sui primi piatti e sulle verdure.


OCCHIO ALL'ETICHETTA
A partire dal dicembre scorso, secondo una nuova regolamentazione europea, sulle etichette degli alimenti è diventato obbligatorio indicare la dicitura “sale” anziché sodio. Ma, al di là di questo cambiamento, è sempre importare controllare le liste degli ingredienti e imparare a confrontarle tra loro: spesso esistono grandi differenze per quanto riguarda il contenuto di sale fra prodotti della stessa categoria o comunque simili. È importante anche ragionare in termini di porzione e non solo di quantità per 100 g o 100 ml. Molte volte, considerando quanto pesa una porzione, il contenuto di sale raddoppia. Esistono infine delle diciture sul ridotto apporto di sale che compaiono in etichetta. Ecco il loro significato: “a basso contenuto” se il prodotto contiene non più di 0,30 g di sale per 100 g o 100 ml; “a bassissimo contenuto” se ne ha non più di 0,10 g; “senza sale” quando ne è privo (non più di 0,01 g).


PUNTA SULL'INTEGRALE
Molti esperti di alimentazione raccomandano l’utilizzo del sale iodato. «È comprensibile per certe fasce di popolazione, per esempio per chi abita in montagna, che rischia una carenza di iodio, ma deve essere il medico a suggerirne l’impiego, caso per caso», osserva Mari. «Invece è utile usare il sale marino integrale, perché contiene minerali (tra cui potassio e magnesio) e oligoelementi che sono assenti nel sale raffinato».


Articolo pubblicato sul n° 20 di Starbene, in edicola dal 5 maggio 2015