Silybum marianum
Pianta della famiglia delle Asteraceae, comunemente nota come cardo mariano. La droga è costituita dalle sommità fiorite e dai semi. I componenti principali sono flavonolignani (1,5-3%), noti come silimarina, complesso costituito principalmente da quattro isomeri: silibina, isosilibina, silicristina e silidianina. Sono stati identificati altri flavonolignali: 2,3-deidrosilibina e 2,3-deidrosilicristina. Sono presenti inoltre importanti quantità di lipidi, prevalentemente polinsaturi (20-30%), e discrete quantità di b-sitosterolo, proteine, zuccheri semplici e complessi, flavonoidi.
La droga è presente nelle monografie OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). La Farmacopea Ufficiale Italiana X indica per l’estratto secco nebulizzato un titolo in silimarina in misura non inferiore all’1%.
Studi farmacologici sperimentali hanno dimostrato che silimarina e silibina hanno effetto antiossidante in vitro, reagendo con i radicali liberi a livello di fibroblasti e piastrine umane, microsomi e mitocondri epatici di ratto. Queste sostanze inibiscono la perossidazione dei radicali liberi in preparazioni di microsomi e mitocondri di globuli rossi umani, stabilizzandone anche la membrana cellulare, probabilmente per inibizione dell’AMP-ciclico fosfodiesterasi che comporta un aumento dei livelli dell’AMP-ciclico. Silimarina e silibina inibiscono il danno causato sugli epatociti (cellule del parenchima epatico) da paracetamolo, amitriptilina, tetracloruro di carbonio, etanolo ecc. Nel fegato di maiale la silibina riduce il danno ischemico delle cellule non parenchimali e ne migliora la funzionalità post-ischemica. La silibina stimola la biosintesi macromolecolare in vitro e in vivo, aumenta la sintesi dell’RNA ribosomiale, attivando l’RNA polimerasi DNA-dipendente. L’aumento della sintesi di RNA ribosomiale nel fegato stimola la formazione dei ribosomi maturi e la sintesi proteica. La protezione da danno da tetracloruro di carbonio è stata attribuita alla sua attività antiossidante e alla stabilizzazione della membrana degli epatociti. La somministrazione intraperitoneale di silimarina e silibina si è dimostrata in grado di inibire marcatamente il danno epatico da paracetamolo, Amanita phalloides e altri agenti tossici. La somministrazione intragastrica di silimarina è in grado di ridurre l’edema indotto dai carragenani sulla zampa del ratto e inoltre la sua applicazione topica riduce l’infiammazione causata dallo xilene nell’orecchio del topo, con un’attività simile a quella dell’indometacina.
Uno studio clinico controllato con placebo, in cui i pazienti sono stati trattati con silimarina per un periodo superiore ai 4 anni, ha dimostrato una mortalità significativamente ridotta nel gruppo trattato rispetto al gruppo placebo. Quattro studi clinici controllati in doppio cieco hanno confermato l’efficacia della droga nel trattamento di patologie croniche del fegato indotte dall’abuso di alcol. Dopo 6 mesi di trattamento si è infatti osservata una netta riduzione dei livelli sierici di bilirubina, degli enzimi epatici ecc., e un incremento dell’attività della glutatione-perossidasi. Un altro studio in doppio cieco con placebo ha permesso di osservare, dopo 13 mesi, un netto miglioramento del quadro istopatologico nel gruppo trattato con la droga rispetto a quello trattato con placebo. L’efficacia della droga nel trattamento dell’epatite virale acuta sembra essere stata confermata da alcuni studi clinici controllati. Uno studio multicentrico ha confermato che l’infusione endovenosa di silibina (20 mg/kg/die per 1-2 giorni) in combinazione con le altre terapie standard può contribuire a ridurre in maniera importante la mortalità per avvelenamento da Amanita phalloides.
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