Storia vera. La tennista Giulia Bassini: «La mia infinita sfida alla sordità»

Grazie a due impianti cocleari Giulia Bassini sta scalando la classifica del tennis nazionale. Ma per scelta gioca anche in quello “silenzioso”



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Gioco, partita, incontro. Nell’affrontare la sordità che l’ha colpita dalla nascita, la diciottenne tennista Giulia Bassini può dire di aver vinto in due set secchi: un primo impianto cocleare all’età di 18 mesi, un altro a 8 anni per riacquistare l’udito a 360°.

«Di quando ero piccolina non ricordo ovviamente nulla, se non il fatto che parlavo poco e nemmeno benissimo, con gli esercizi di logopedia che si sono protratti fino ai 5 anni. Ma le sensazioni provate quando ho iniziato a sentirci alla perfezione sono indimenticabili: mi è sembrato di rinascere una seconda volta, di stare finalmente del tutto nel mondo che mi circondava, anche se non ho mai avuto problemi di integrazione».

Merito anche e soprattutto dello sport, che i genitori di Giulia hanno considerato da subito una leva su cui puntare per non farla sentire “diversa” dagli altri.


Anche più stabile

«All’inizio facevo nuoto, che in fondo era paritario perché stavamo tutti con la testa sott’acqua», prosegue con ironia la nostra protagonista.

«Ma poi la piscina mi ha causato un’otite che ha richiesto un lungo ricovero in ospedale per salvare l’udito, perché l’infiammazione aveva colpito proprio l’unico orecchio impiantato. Sono quindi passata al tennis, che mi attirava anche perché in spiaggia già mi divertivo a giocare ai racchettoni con mio fratello di 12 anni più grande, e si è rivelata subito un’ottima scelta. Quando poi ho messo il secondo impianto, si sono anche risolti i problemi di labirintite che ogni tanto mi facevano perdere l’equilibrio, a dire il vero più nella vita quotidiana che in campo. E poi finalmente avvertivo bene il suono del colpo dell’avversario in ogni posizione: “sentire”, oltre che vedere, la pallina in arrivo è fondamentale per un tennista per preparare al meglio la risposta».


Perfezionista anche nello studio

Con i vantaggi del secondo impianto, e la conseguente aumentata sicurezza, per Giulia hanno iniziato anche ad arrivare i risultati e la decisione di iscriversi alla Federazione per giocare i tornei ufficiali e iniziare a scalare le categorie della classifica nazionale.

È appena approdata in terza, con l’obiettivo di salire ancora, grazie a una ferrea routine settimanale che nei pomeriggi feriali prevede tre allenamenti con la racchetta e due sedute di preparazione atletica, più le quotidiane ore di studio - soprattutto serali - per far fronte agli impegni scolastici e arrivare con profitto all’imminente diploma («dopo il quale spero di superare il test per iscrivermi a Economia e finanza alla Bocconi di Milano»).


Due sport diversi

226386In tutto questo, quando già sollevava qualche trofeo da adolescente, c’è stata un’altra particolarissima sfida che Giulia si è andata a cercare: riaprire la partita con il suo handicap proprio sul campo da tennis, entrando a far parte della Fssi (Federazione sport sordi Italia) e partecipando nel 2017 ai Deaflympics (i Giochi olimpici per non udenti) di Samsun, in Turchia.

«Malgrado il mio percorso di autonomia individuale e conseguente integrazione, non ho mai smesso di sentirmi parte di quel mondo», spiega. «Dal punto di vista sportivo non è facile, perché il regolamento prevede giustamente di giocare senza impianto, affinché siano tutti alla pari. “Tornare indietro” è sempre complicato: mi ritrovo ancora più sola con me stessa, senza sentire applausi né incoraggiamenti, e il colpo d’occhio diventa fondamentale.

Quando so di avere un impegno nel tennis per sordi, inizio allora ad allenarmi senza impianto per non ritrovarmi del tutto spaesata. Per il resto è invece un’esperienza unica: per comunicare con gli altri atleti ho imparato il linguaggio dei segni, e con alcuni di loro (per esempio con le ragazze del volley che ho conosciuto ai Deaflympics) ho instaurato rapporti importanti, caratterizzati da un forte senso di unità malgrado viviamo la nostra condizione in maniera diversa».

E proprio perché si sente parte di una squadra, Giulia chiude la sua testimonianza con un appello: «A Samsun eravamo solo due tennisti, ma in seguito il gruppo si è ampliato e ora siamo otto ragazzi in tutto, di cui alcuni davvero bravi. Peccato che non ci siano i fondi per l’attività della Nazionale: ci fosse qualche sponsor interessato tra i vostri lettori...».



Un ausilio ancora poco sfruttato

Giulia è anche una testimonial della Cochlear Family, dal nome dell’azienda leader nel settore degli impianti cocleari: «Mi capita di essere invitata a incontri in cui racconto la mia esperienza. E anche ai Deaflympics sono stata tempestata di domande dagli altri atleti, anche perché eravamo solo in due dell’intera spedizione italiana con l’impianto».

In effetti queste protesi sono ancora sfruttate molto meno del possibile. «Verificate le condizioni con specifici esami, con un semplice intervento di massimo un’ora si fissa nell’osso dietro all’orecchio una vite con un pilastro sotto pelle o un magnete, al quale aderisce una protesi esterna che riceve i suoni e attraverso lo stesso osso li trasmette direttamente alla coclea», spiega il dottor Daniele Frezza, direttore dell’Uosd Chirurgia dell’orecchio dell’Ospedale di Treviso.

Dopo di che tocca al logopedista: «Diversi ragazzi e adulti hanno paura di affrontare questo cambiamento», riprende Giulia, «ma posso assicurare che, per quanto faticoso all’inizio, è solo in meglio».



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Articolo pubblicato sul n. 6 di Starbene in edicola dal 21 gennaio 2020


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