Il tumore della mammella rappresenta ancora oggi il tumore più frequente fra le donne: si stima che in Italia ogni anno ve ne siano oltre 30.000 nuovi casi, di cui circa 7000-8000 diagnosticati a soggetti di età inferiore ai 50 anni.
La probabilità di ammalarsi aumenta progressivamente con l’età e, dato il crescente invecchiamento della popolazione residente in Italia, l’incidenza della malattia è destinata ad aumentare.Da circa un ventennio d’altra parte, si registra nei Paesi industrializzati una tendenza alla riduzione, sia pur lenta ma continua e progressiva, della mortalità, per le possibilità di diagnosi sempre più precoce e per il miglioramento delle terapie, ma anche alla maggior sensibilità conoscitiva delle donne nei confronti di questa problematica. Simile andamento indica che è molto importante rafforzare le strategie di prevenzione e di diagnosi precoce, che devono prevedere una maggiore facilità di accesso a cure efficaci e un equo trattamento a livello nazionale.
Fattori di rischio
Molti fattori di rischio sono stati finora studiati e individuati come responsabili dell’aumento di frequenza del tumore mammario, ma tutti quanti sembrano essere riconducibili a un meccanismo di stimolazione ormonale della mammella che determinerebbe una maggiore sensibilità del tessuto mammario alla trasformazione tumorale, laddove ovviamente sussista una predisposizione all’insorgenza del tumore stesso.
Tra i fattori di rischio si possono distinguere elementi di tipo “costituzionale” (età del menarca ed età della menopausa, obesità, sovrappeso in menopausa, elevati livelli di testosterone ed estradiolo in menopausa) o ambientale (terapie ormonali per la menopausa e pillola estroprogestinica, dieta povera di frutta e verdure, scarsa attività fisica, consumo eccessivo di alcol) e fattori demografici e sociologici, quali l’appartenenza a una classe socio-economica agiata, l’emigrazione in Paesi ricchi nonché l’appartenenza alle popolazioni occidentali.
La maggior parte dei fattori di rischio chiamati in causa purtroppo non è modificabile, ed è per questo che assumono importanza a livello preventivo le buone abitudini di vita, la vigilanza e la prevenzione.
È su queste basi che è nato pertanto il progetto di screening mammografico del tumore della mammella, indirizzato a tutte le donne di età compresa fra i 49 e i 69 anni. Allo stato attuale delle conoscenze la mammografia rappresenta infatti l’unico metodo valido per la diagnosi precoce del tumore mammario.
Tumore della mammella
La distinzione più importante, ai fini diagnostici e terapeutici, è quella fra carcinoma invasivo, ossia capace di infiltrare i tessuti circostanti e di diffondersi (metastasi a distanza) e carcinoma “in situ”, malattia invece non ancora in grado di infiltrare e quindi di diffondersi. Questa distinzione, che si basa sull’analisi del tessuto prelevato dalla lesione mammaria (biopsia mammaria), condizionerà il successivo trattamento, che nel caso di una lesione localizzata sarà di tipo conservativo, mentre di fronte a una lesione più estesa e a maggiore rischio di diffusione ricorrerà a una terapia chirurgica più aggressiva e demolitiva.
Il tumore della mammella si presenta come un nodulo piuttosto duro alla palpazione, con caratteristiche differenti dal resto della ghiandola. È duro, fisso ai tessuti circostanti, non dolente e spesso associato a un ingrossamento dei linfonodi ascellari.
D’altra parte, non tutti i noduli che si palpano nella mammella sono tumorali: esistono, infatti, alcuni noduli assolutamente benigni e che tali rimarranno, poiché non presentano caratteristiche di trasformazione maligna (fibroadenomi e cisti mammarie).
La diagnosi differenziale fra questi tipi di tumori benigni e quelli maligni si attua non tanto mediante la palpazione quanto ricorrendo alle indagini strumentali, con mammografia, ecografia ed eventuale prelievo di cellule dalla lesione (agospirato con ago sottile o FNAB).
Ogni nodulo che compare dopo i 30 anni deve essere considerato meritevole di approfondimento diagnostico.
A parte il nodulo, altri segni devono comunque essere considerati con attenzione: retrazione e indurimento della pelle con aspetto “a buccia di arancia”, arrossamenti localizzati o diffusi della mammella o del capezzolo, retrazione o cambiamento del capezzolo, secrezione di sangue o di liquido trasparente dal capezzolo, aumento delle dimensioni di un linfonodo all’ascella.
In genere un tumore iniziale della mammella non provoca dolore. Fa eccezione il carcinoma infiammatorio della mammella, che si presenta tipicamente con mammella rossa, dolente e calda, come se fosse infetta; la cute può diventare rugosa e ispessita, come la buccia di un’arancia. Il capezzolo può introflettersi e presentare secrezioni sieroematiche. Caratteristica di questo tumore è l’assenza di un nodulo mammario palpabile.
Non tutti i tumori della mammella sono palpabili: in particolare le forme molto precoci possono essere evidenziate esclusivamente in corso di mammografia o ecografia eseguite con finalità preventive. Qualora capitasse uno qualsiasi dei segni sopraccitati, associato a un qualunque cambiamento del normale aspetto della mammella o sensazione anomala, è opportuno rivolgersi al proprio medico curante o al ginecologo di fiducia, per sottoporsi agli accertamenti del caso.
Diagnosi
Un principio di fondo è l’importanza di scoprire un tumore della mammella il più precocemente possibile, in modo da aumentare le possibilità di guarigione completa dalla malattia.
Autopalpazione Tecnica semplice e facilmente eseguibile dalla donna, consiste nella palpazione della mammella e nella spremitura (non traumatica!) del capezzolo a cadenza periodica. Le mammelle vanno esaminate in tutte le loro parti con la mano posta “a piatto”, in modo da poter apprezzare un’eventuale area più indurita, magari precedentemente non palpata. Può essere utile eseguire questa manovra con la cute insaponata o bagnata (per esempio sotto la doccia), che consente di far scivolare le mani più facilmente sulla cute. Le braccia devono essere sollevate o posizionate alternativamente dietro la testa. La manovra può essere anche eseguita in posizione supina con un braccio posizionato dietro il capo, posizione che appiattisce la mammella e la rende più facilmente esaminabile. È importante comunque ricordare che l’obiettivo dell’autopalpazione non è fare diagnosi, ma solo migliorare la percezione di eventuali cambiamenti della mammella da riferire al medico.
Visita senologica Può essere effettuata dal medico curante oppure da un ginecologo. Comprende l’ispezione (per evidenziare eventuali irregolarità o alterazioni della cute), la palpazione (mammella e cavo ascellare), l’esame del capezzolo.
Mammografia bilaterale Radiografia delle mammelle effettuata con apparecchiature che emettono una quantità modesta di radiazioni; serve per evidenziare aree anomale all’interno della mammella. Attualmente rappresenta l’esame più efficace per valutare precocemente i tumori della mammella e una metodica molto attendibile anche nel diagnosticare lesioni molto piccole. Va eseguita sia nel caso in cui occorra studiare un’area sospetta alla palpazione o all’ecografia, sia come “screening” periodico in assenza di qualsiasi sintomo anomalo.
Qualora vi siano dubbi o si evidenzino alterazioni anche minime, possono essere eseguiti esami aggiuntivi, con ulteriori lastre mammografiche a maggiore ingrandimento oppure ecografia mammaria a completamento dello studio dell’eventuale lesione.
Ecografia mammaria Utilizza, a differenza della mammografia, ultrasuoni anziché radiazioni. È un esame particolarmente indicato nelle donne giovani, in quanto consente di evidenziare la natura liquida o solida di una lesione anche di piccole dimensioni in mammelle “dense” e difficilmente valutabili con la mammografia. L’ecografia non può però essere utilizzata come test esclusivo per la diagnosi precoce del tumore della mammella.
Agoaspirato con ago sottile Metodica che consente, con minimo fastidio della donna, di prelevare cellule da un nodulo per valutarne poi al microscopio la benignità o la malignità (e in quest’ultimo caso il tipo). Si esegue come una qualsiasi iniezione, ma aspirando materiale della mammella senza iniettare nulla. Può essere effettuato sotto guida ecografica o mammografica se il nodulo non è palpabile ma è evidenziabile solo dagli esami strumentali.
Mammotome Strumento che consente di effettuare una biopsia mininvasiva prelevando campioni di tessuto o microcalcificazioni, attraverso un’unica introduzione di una sonda sterile monouso. Il mammotome può essere utilizzato per eseguire biopsie su lesioni palpabili e non palpabili sotto guida ecografica o mammografica stereotassica. Il referto che consegue all’analisi del materiale prelevato classifica la lesione in 5 categorie, dalla B1 (tessuto normale) alla B5 (tessuto maligno).
Stadiazione
Posta la diagnosi, si procede alla stadiazione del tumore, ossia all’assegnazione di uno “stadio” al tumore mediante l’osservazione delle sue caratteristiche, delle sue dimensioni, dell’interessamento eventuale di linfonodi e della presenza o assenza di metastasi a distanza: stadio TNM, dove T indica dimensioni del tumore, N il numero dei linfonodi interessati e M le eventuali metastasi a distanza.
Una volta definito la stadio tumorale, si procede alla definizione dello schema terapeutico più idoneo per quello stadio.
Terapia
Le opzioni terapeutiche del tumore della mammella dipendono dalla stadio e dal tipo di carcinoma mammario. Generalmente il trattamento prevede la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia, l’ormonoterapia.
Chirurgia È ancora oggi l’arma primaria e insostituibile nella terapia del tumore della mammella, condotta con tecniche d’intervento conservativo o demolitivo.
La prima tecnica consiste nell’asportare solo la parte malata della mammella, ed è possibile quando il tumore ha dimensioni ridotte; prevede l’asportazione dei linfonodi locali, che può anche interessare un “quadrante” completo della mammella (quadrantectomia). Il principale vantaggio della tecnica conservativa è di tipo estetico, poiché permette di preservare l’immagine corporea. Parte integrante della chirurgia conservativa è la successiva radioterapia.
La tecnica demolitiva (mastectomia) viene eseguita sempre meno; prevede l’asportazione totale della mammella, è necessaria quando il tumore è piuttosto esteso ed è associata all’asportazione di linfonodi del cavo ascellare. In alcuni casi compare un gonfiore diffuso (linfedema) del braccio, cui talvolta si associano disturbi della sensibilità tattile e cutanea del braccio (parestesie) o limitazioni nei movimenti della spalla e del braccio. Questi effetti collaterali ben noti possono persistere anche per molti mesi o anni dopo l’intervento, ma solitamente tendono ad attenuarsi con il tempo e con fisioterapia specifica. Quando si procede a un intervento demolitivo, si associa sempre più spesso la chirurgia ricostruttiva, eseguita, quando possibile, nella stessa seduta operatoria con protesi di silicone oppure con tessuto prelevato da altre zone corporee. Da qualche anno è stata introdotta nella seduta operatoria (conservativa o demolitiva) la cosidetta biopsia del linfonodo sentinella, che consente di sottoporre all’esame microscopico un singolo linfonodo posto in un’area particolarmente importante per l’individuazione di eventuali cellule tumorali “fuoriuscite” dal tumore posto nella mammella. Se questo è indenne, non si procede all’asportazione di tutti gli altri, mentre se è interessato da cellule tumorali, si esegue la dissezione del cavo ascellare.
Radioterapia È parte integrante della chirurgia conservativa e serve a ridurre il rischio che, nel tessuto mammario residuo, cellule tumorali possano dar vita a una recidiva, ossia alla ricomparsa del tumore nella stessa sede. La tecnica si basa sull’irradiazione del tessuto mammario rimasto, con radiazioni che attraversano il tessuto e uccidono le cellule tumorali. Il numero di sedute radioterapiche varia in base alla sede e alle dimensioni del tumore asportato. Con le apparecchiature moderne gli effetti collaterali (lesioni di varia entità della cute dell’area radiotrattata, arrossamento, gonfiore e dolore della mammella) sono minimi, anche se interessano la quasi totalità delle donne trattate, per poi scomparire interamente entro 12 mesi dal trattamento.
Chemioterapia e ormonoterapia Sono utilizzati in associazione alla chirurgia e alla radioterapia quando i linfonodi appaiano interessati da cellule tumorali o si evidenzino metastasi a distanza. La chemioterapia consiste nella somministrazione di farmaci particolari.Esistono diversi schemi terapeutici che associano più farmaci, che agiscono a differenti livelli nel distruggere le cellule tumorali. La comparsa dei ben noti effetti collaterali (perdita dei capelli, nausea, vomito, diarrea, dolori diffusi e stanchezza) varia in base al tipo di farmaco utilizzato e allo schema scelto.
L’ormonoterapia utilizza invece farmaci in grado di bloccare la stimolazione, da parte degli ormoni, delle cellule tumorali presenti nell’organismo. Questo è vero soprattutto nei tumori che contengono sulla loro superficie i cosiddetti recettori ormonali, molecole di origine proteica che legano gli ormoni circolanti (estrogeni e progesterone) stimolando la crescita e la diffusione delle cellule. Con il blocco della stimolazione ormonale, perciò, si impedisce a queste cellule di moltiplicarsi e diffondersi nell’organismo. Il farmaco attualmente più utilizzato e studiato è il tamoxifene, che viene somministrato per 5 anni dopo l’intervento. Nelle donne più giovani o comunque non ancora in menopausa, il tamoxifene viene associato agli analoghi del GnRh, che possono ridurre al minimo la produzione di ormoni dell’organismo ma causano la comparsa dei sintomi tipici della menopausa (vampate, secchezza vaginale). Schemi terapeutici più recenti prevedono l’impiego anche di un’altra classe farmacologica, quella degli inibitori delle aromatasi (per esempio l’anastrozolo) in associazione al tamoxifene o come schema terapeutico successivo in caso di recidiva.
Immunoterapia È l’ultima possibilità terapeutica, si avvale della somministrazione dei cosiddetti anticorpi monoclonali, in grado di attaccare le cellule tumorali migliorando le capacità di difesa del sistema immunitario nel combattere il cancro. Attualmente sono ancora poco utilizzati e in via di sperimentazione.
Controlli periodici (follow up)
Una volta concluso il trattamento vero e proprio (chirurgico, radioterapico, chemioterapico), le pazienti vengono sottoposte a regolari esami periodici (trattamento detto di follow-up) per un periodo complessivo di 5 anni, al fine di verificare la comparsa di recidive del tumore o di un tumore nella mammella non colpita. Le visite consistono nell’esame del seno, del torace, della zona ascellare e del collo e, periodicamente, nell’esecuzione di una mammografia ed, eventualmente, di alcuni test supplementari. [S.S.]