Che valore ha oggi l’amicizia e come viverla

Guardiamo negli occhi questo sentimento cruciale nel definirci e nel renderci felici. Ripuliamolo dei luoghi comuni, andiamo al nocciolo. Può finire? Sì, ma non è questo il punto. Quello che conta è la strada che si è percorsa insieme



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Tra i sentimenti umani, l’amicizia reclama a gran voce una cura ricostituente. Per riprendersi quella posizione centrale nella vita che le avevano attribuito gli antichi e che secoli di trascuratezza hanno fatto scivolare in basso nella scala delle nostre priorità.

«Con il lockdown, però, ci siamo accorti di quanto siamo realmente soli», esordisce Stefania Ortensi, psicologa del benessere (psicologodellosportmilano.it). «Abbiamo capito di avere bisogno degli amici, quelli veri, che erano stati lasciati indietro, travolti dagli impegni quotidiani o da conoscenti pronti a sparire alla prima occasione».

Eccoci, arrivati al dilemma dei tempi moderni. «Da una parte, ci lamentiamo di non avere abbastanza amici, dall’altra non diamo a quest’affetto il suo giusto valore», puntualizza il pedagogista Federico Zannoni che nel suo libro Il ciondolo spezzato. Spazi, forme e percorsi d’amicizia (Franco Angeli) spiega cos’è e dove porta in termini di ricchezza interiore il vissuto amicale. «Le scuse per la “mancanza” sono la stessa litania: lavoro, famiglia, coppia, distanza fisica, come afferma l’ultima ricerca americana sul tema dove la metà degli intervistati rifletteva sui motivi del loro isolamento. Nessuno nega che gli impedimenti oggettivi esistano, ma di fondo c’è il fatto che l’amicizia viene considerata una relazione accessoria. E non è giusto».


Dentro le radici del nostro essere

Sulla riscoperta della “fratellanza” come un bene prezioso che fa brillare le nostre giornate, ultimamente stanno lavorando in tanti. Il debutto, lo scorso febbraio, della terza stagione della serie L‘amica geniale su Rai 1 ha incollato davanti alla tivù oltre 4 milioni di spettatori.
Netflix, dopo il successo della puntata dedicata alla reunion – dopo 16 anni – dei protagonisti di Friends, ha reso disponibili tutte le stagioni della memorabile serie, oltre a fornire il reboot de Il club delle baby sitter, le nuove vicende di un gruppo di adolescenti, tratte da 36 gettonatissimi romanzi scritti da Ann M. Martin tra il 1986 e il 2000. Mentre su La5, vanno in onda tutti i giorni le repliche della prima stagione di Una mamma per amica, storia di madre e figlia adolescente legate, oltre che da amore materno, da grande affiatamento e complicità.

Tutti segnali che il tema amicizia, nelle sue mille varianti di genere, fa impennare l’audience poiché colpisce al cuore. «Da diversi sondaggi europei, emerge che sentiamo l’amicizia come un valore forte», dice Pietro Del Soldà, autore e conduttore di “Tutta la città ne parla”, programma di Rai Radio3, filosofo e autore de Sulle ali degli amici (Marsilio).

«Solo che facciamo fatica, almeno da adulti, a inglobarla nel nostro tran tran e ad “abitarla” nella sua pienezza. Tutti quanti, infatti, tendiamo a considerare amici chi ci piace, con cui condividiamo gioie e dolori, ci divertiamo o ci scambiamo aiuto ma poi lo teniamo lì, in un angolino. Spesso solo nello spazio piacevole del tempo libero, mentre poi non li facciamo entrare in tutto il resto. Ma se “rinchiudiamo” l’intesa amicale in un posto solo emotivo, privato, perdiamo di vista le altre valenze che questo legame offre. Perché non è soltanto un rapporto tra persone che si vogliono bene bensì un’alleanza che permette di costruirsi come individui e cittadini. Insomma, l’amicizia ci fa sentire che esistiamo».


Gli amici sono la linea della consapevolezza

Alla stregua dell’ultima osservazione, saltano le regole e gli schemi su cui abbiamo fatto scorrere il capitolo “conoscenze strette”. Non si tratta più d’imparare a conquistare tanti amici, a scegliere quelli giusti, a liberarsi dai vincoli “tossici” ma di capire che l’amicizia non è solo il piacere di condividere insieme le tante cose belle della vita ma parte integrante dell’excursus vitale di ciascuno di noi.

«L’amico è l’unico, possibile specchio per capire chi si è veramente e cosa si vuole», prosegue il filosofo. «Per esplorarci, infatti, è necessario avere quel confronto paritario tra due persone che si riflettono l’uno con l’altro e agiscono l’uno con l’altro. Andando al succo della questione, l’amicizia ci permette di raggiungere la consapevolezza di noi stessi, e quindi di stare nel mondo, realizzandoci. Quel punto di arrivo che, per i filosofi greci, è la felicità».

Come diceva Aristotele: “L’amicizia è la messa in pratica della felicità”.


Gli amici hanno un potere migliorativo

«Niente da dire: noi siamo anche i nostri amici, passati e presenti», riprende Federico Zannoni. «Se pensiamo ai nostri momenti significativi, belli o brutti che siano, li ricordiamo spessissimo accanto a noi, e la loro presenza ha cambiato il contenuto emotivo di quel frangente che, senza di loro, avrebbe avuto un altro copione. Così come ci siamo nutriti e ci nutriamo a vicenda delle emozioni, immagini, idee dell’altro. L’amicizia, insomma, ci modifica, e in meglio».

Per crederci, c’è la testimonianza del film francese Beautiful Minds, uscito quest’anno, dove i due strampalati protagonisti, Igor e Louis, sono diventati sì amici per caso, ma per la prima volta si sono sentiti vivi. Anche al cinema dedicato ai più piccoli non sfugge il magico potere della fratellanza: il cartoon Luca, le avventure di due mostri marini che si trasformano in uomini, ha avuto diverse nomination, tra cui all’Oscar 2022.


Amore, amici, conoscenti: indebiti confronti

Una cosa è la teoria, un’altra la pratica. «Nel senso che oggi il termine “amico” si concede con facilità a tanti, se non tutti gli individui che incontriamo», riprende il pedagogista. «Ma poi, nello stesso tempo, siamo deludenti e delusi nei fatti. L’amicizia perde ancora nel confronto con l’amore romantico, che la nostra società pone al primo posto come un sentimento più pieno, più adulto, un vero e proprio obiettivo da conseguire, il coronamento dell’affettività. Mentre l’affiatamento amicale ne rimane una forma spuria, provvisoria, incompleta. Non è un problema di intensità, è solo un’alchimia più leggera e discreta, che, poiché non è contrattualizzata, non si sviluppa in un perimetro preciso e definito. Dura se e finché c’è sintonia, piacere e fiducia reciproci».

Si muove, insomma, in un terreno talmente mobile e scivoloso, che il pericolo di sprofondare in equivoci, mistificazioni e sbagli è forte. «A partire dal fatto che viviamo in un guscio individualista, inutile nasconderlo», continua Del Soldà. «Consideriamo la felicità un obiettivo personale e solitario, per cui gli altri sono provvisori compagni di strada oppure avversari da abbattere nella competizione quotidiana o anche solo gli spettatori delle nostre performance. Peggio ancora, strumenti per raggiungere qualsivoglia obiettivo».

E in questa cornice di pressioni prepotenti la tentazione di staccare la corda c’è, e porta a lasciar perdere. «Sento dire spesso che l’amicizia non esiste», dice la psicologa. «Normale che sia così, è l’effetto di un circolo vizioso che però, in molti casi, siamo noi stessi ad alimentare: tra adulti, capita di “buttarci” con una certa facilità in situazioni comode, di prossimità fisica o di aiuto reciproco e, quindi, diventa normale scambiare per amici dei conoscenti. E quando il contatto si dissolve, ci convinciamo che l’amicizia sia un dare senza ritorno. Di fatto, però, il legame non c’è mai stato, siamo noi che abbiamo investito su persone o situazioni sbagliate».

Detto ciò, poi, anche la scienza ci dice che non possiamo essere amici di tutti. Per l’antropologo e psicologo Robin Dunbar, che ha individuato una correlazione tra il cervello umano e il numero di gruppi sociali che è in grado di elaborare, ciascun individuo può mantenere contatti interpersonali stabili, faccia a faccia, tra le cento e le duecento persone (a seconda di quanto egli sia introverso o estroverso). Ma tra questi, gli amici stretti non superano le quindici unità e quelli intimi, a cui rivolgere la massima condivisione e confidenza, al massimo cinque. Al di fuori di questi recinti, stazionano e transitano i conoscenti.


Amicizia, un sentimento da vivere con serietà

L’amicizia non basta trovarla, bisogna anche coltivarla. Non è sufficiente imbatterci in qualcuno che ci sta simpatico, occorre anche volere fare questa strada insieme. La stessa che ha fatto Dacia Maraini con Pier Paolo Pasolini, fino alla sua morte nel 1972, di cui c’è una testimonianza emblematica nel suo ultimo libro Caro Pier Paolo (Neri Pozza Editore). La miccia è la predisposizione a vivere il sentimento in modo serio.

«Per riuscirci, ci vogliono due presupposti», spiega Ortensi. «Sicuramente, un buon equilibrio con noi stessi: ci apprezziamo, e non dobbiamo cercare negli altri compensazioni e rassicurazioni. Poi, l’onestà intellettuale e la trasparenza: solo se caliamo la maschera sociale che ci siamo dati e ci mostriamo senza filtri, riusciamo ad aprirci all’altro. L’amico vero non è chi t’assicura un posto al sole, ma chi ti comprende e apprezza per quello che sei». Anche se quel “freno” inibente che tutto, prima o poi, finisca, è un fantasma che aleggia sempre. «L’amicizia non ha però una scadenza, e non è necessariamente per sempre», chiosa Zannoni.

«È tenuta in piedi solo da se stessa, quindi è fluttuante e sempre revocabile. Per consunzione, perché si prendono strade diverse, perché arrivano altre priorità, per un litigio e tanto altro. Non seppelliamo, però, la rottura in una malinconica ragione o in un rancoroso distacco. Piuttosto inquadriamo – anche con una certa soddisfazione – il ruolo che gli amici, pur nella loro transitorietà, hanno avuto in noi riconoscendo l’importanza, l’imprescindibilità nei momenti trascorsi e in quelli a venire. Nell’amicizia, non c’è gusto migliore che dirci: “ne è valsa la pena”».



Il lato affettivo della banalità

Quella inutile telefonata sul più e il meno, quella conversazione così semplicistica, e via dicendo. Sembra proprio che, spesso, l’amicizia non porti a niente se non a perdere tempo su parole e temi insignificanti. «L’amicizia è una cosa seria, che però si nutre anche di banalità», dice il pedagogista Federico Zannoni.

«Quest’ultima considerazione non è da rifiutare a priori. Dialogare per luoghi comuni, per esempio, è un ottimo modo per socializzare, per rompere il ghiaccio: permette a tutti di poter partecipare e, perciò, può favorire la nascita di parecchie relazioni. Ma anche nelle amicizie consolidate, a volte parlare del tempo, della coda in Posta o della stanchezza quotidiana ha un significato più complesso e profondo di quelle parole così banali, scontate al limite della noia. È un modo per dirsi, con tranquillità, l’uno con l’altro: non ho niente in mente ora, ma comunque per me sei sempre importante e ti accolgo emotivamente per come sei in questo momento». 


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