Ossessione da smartphone: cos’è la nomofobia. Sintomi e rimedi

Se il pensiero di spegnere il cellulare o di non poterlo subito ricaricare ci manda nel panico, potremmo soffrire di una particolare fobia, figlia della modernità, che deriva da un rapporto poco sano con la tecnologia



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Sei fuori casa: il cellulare è scarico, si spegne e non hai nessuna possibilità di ricaricarlo. L’idea ti manda nel panico oppure ti lascia del tutto indifferente? Se il solo pensiero ti appare terrificante, potresti soffrire di nomofobia, la paura di rimanere disconnessi o di essere impossibilitati a utilizzare un dispositivo mobile.

L’etimologia del termine deriva dall’unione di no-mobile (dall’inglese, senza telefono) e phobia (fobia, paura). «Il cellulare consente di svolgere molte attività abituali della vita quotidiana: telefonare ai familiari, scaricare le email, controllare il conto in banca e leggere le notizie, ad esempio», dice il dottor Fabio Meloni, psicologo e psicoterapeuta. «Di conseguenza, provare ansia quando non lo si ha a portata di mano risulta “normale”, al punto da far sembrare corretto un uso del telefonino che, in realtà, provoca sempre maggiori disagi».

Cos’è la nomofobia

La paura di non poter usare il cellulare può impattare in modo importante sulla quotidianità. «Chi soffre di nomofobia tiene il telefono vicino al letto mentre dorme, svegliandosi più volte durante la notte per controllare messaggi, email, aggiornamenti sui social media e via dicendo», spiega il dottor Meloni.

«E quando ci si trova in contesti sociali in cui bisogna silenziare o spegnere il cellulare, il livello di ansia sale alle stelle. Semplicemente, non si riesce a sopportare la perdita di connessione, anche per pochi istanti, e si tende ad avere difficoltà con il lavoro, la scuola e le relazioni nel mondo reale, perché si è eccessivamente concentrati sul proprio smartphone».

Nomofobia, le conseguenze sulla salute

L’uso frequente del cellulare può avere esiti negativi a breve termine, come una maggiore tendenza alla distrazione, ma può anche avere conseguenze a lungo termine.

«Nello specifico, è stato riscontrato che la nomofobia si associa a numerosi effetti psicologici e a una ridotta qualità di vita, correlandosi con alti livelli di ansia, umore instabile, dipendenze comportamentali, minore autostima, disturbi del sonno e difficoltà nelle relazioni sociali».

Alcuni studi hanno addirittura associato la dipendenza da smartphone a un aumento di peso, ad anomalie della pressione sanguigna e a un indiretto rischio di depressione.

Il legame con la Fomo

Esattamente come la Fomo (acronimo dell’espressione inglese “fear of missing out”, letteralmente “paura di essere tagliati fuori”), che rappresenta la paura di essere tagliati fuori da esperienze vissute da altri utenti attraverso i social media, la nomofobia è una delle conseguenze di un uso degli smartphone che genera ansia.

«In base a studi recenti, sembra che il soffrire dell’una possa predire l’altra e che si presentino spesso in modo contingente», evidenzia l’esperto. «Tuttavia, la Fomo è legata nello specifico all’uso dei social media, mentre la nomofobia all’uso del telefono cellulare in generale. Dunque, sembra più probabile che un soggetto soffra di nomofobia senza presentare la Fomo che non il contrario».


Quali sono i sintomi della nomofobia 

In generale, una fobia è un disturbo d’ansia caratterizzato dalla paura irrazionale di un oggetto o di una situazione. «In questo caso, la paura è quella di restare senza telefono o di non essere raggiungibili dal servizio di telefonia cellulare», specifica il dottor Meloni.

Alcuni segni e sintomi osservati in correlazione alla nomofobia includono: manifestazioni di ansia, alterazioni respiratorie, tremori, sudorazione, agitazione, disorientamento e tachicardia; l’impossibilità di spegnere il telefono; controllare costantemente il telefono per messaggi, email o chiamate perse; ricaricare la batteria anche quando il telefono è quasi completamente carico; portare il telefono con sé ovunque, anche in bagno; controllare ripetutamente per assicurarsi di avere con sé il telefono; paura di rimanere senza connessione a una rete dati cellulare; preoccuparsi che accadano cose negative e non riuscire a chiedere aiuto; stress dovuto alla disconnessione dalla propria presenza o identità online; saltare attività o eventi pianificati per trascorrere del tempo sul dispositivo mobile.

Quali sono le cause della nomofobia 

La principale attrattiva degli smartphone è il fatto che le app offrono gratificazioni immediate: vedere una notifica apparire e poi scomparire quando l’abbiamo controllata dà al cervello un senso di soddisfazione. «Una soddisfazione che le tante app a nostra disposizione possono darci molto facilmente: micro-dosi di facile gratificazione continue e costanti che, alla lunga, ci rendono dipendenti», racconta Meloni. «Allo stesso modo, diventiamo dipendenti dalla connessione stessa: il fatto di avere il mondo in tasca trasmette una sensazione mai provata prima nella storia dell’uomo. Tutta la conoscenza e tutte le persone con cui possiamo parlare sono virtualmente a disposizione, in una mano e in un piccolo dispositivo. Sembra quindi probabile che i soggetti che presentano difficoltà a gestire le proprie emozioni e che tendono a sperimentare facilmente dipendenze, siano anche più esposti al rischio di sviluppare una dipendenza da smartphone e di soffrire di nomofobia».

Tuttavia, la causa precisa non è stata ancora compresa fino in fondo. Alcuni studiosi sostengono che possa svilupparsi da un comportamento di dipendenza e compulsivo legato al meccanismo di ricompensa indotto dall’uso degli smartphone. Altri credono che un disturbo d’ansia o una fobia preesistente possano fare da apripista.

Come si arriva alla diagnosi di nomofobia

Non trattandosi di un disturbo psicopatologico riconosciuto dai manuali diagnostici, non è possibile porre la diagnosi di nomofobia. Tuttavia, sono in corso alcuni studi per validare strumenti in grado di valutare il disagio legato all’ansia da disconnessione/separazione dal cellulare.

«Nel 2015, alcuni ricercatori hanno utilizzato le risposte di studenti universitari sull’uso dello smartphone per creare un questionario di 20 domande, il NMP-Q, Nomophobia Questionnaire, con l’obiettivo di quantificare la nomofobia ai fini di un’ipotetica diagnosi», riferisce lo psicologo.


Come si cura la nomofobia

Trattandosi di un fenomeno relativamente nuovo, che non è stato riconosciuto ufficialmente come disturbo, non è possibile indicare protocolli di trattamento efficaci. «Tuttavia, può essere utile rivolgersi a un professionista che abbia le conoscenze e gli strumenti per aiutare ad affrontare il problema», indica il dottor Meloni.

Quando diventa impossibile staccarsi dallo smartphone, infatti, è il momento di consultare uno psicologo. «Per liberarsi dall’ansia da distacco e dal continuo utilizzo dei dispositivi tecnologici, è necessario affrontare il nodo reale sottostante a tutte le forme di dipendenza: cosa non mi sto permettendo nella mia vita? Da cosa mi sto allontanando, consultando compulsivamente il cellulare ogni volta che ne ho la possibilità e anche quando, in realtà, non l’avrei, per esempio quando sono alla guida?».

Un percorso di consulenza psicologica o di psicoterapia permette di fare chiarezza sul proprio comportamento, di individuare cosa ci spinge a fare cose che spesso sono sgradite anche a noi stessi e di trovare le risorse che possono aiutarci a impiegare meglio e in modo più soddisfacente e produttivo il nostro tempo.

Cosa fare da soli

Esistono molte strategie da mettere in pratica ogni giorno per aiutarci a ridurre l’ansia da distacco dal cellulare e ristabilire un rapporto più sano con l’uso della tecnologia: organizzare e programmare dei momenti durante i quali si tiene spento il telefonino e ci si dedica a esperienze off-line (passeggiare nella natura o prendere un caffè con un amico, per esempio), impostare dei limiti orari per l’utilizzo e tenerlo lontano dal letto mentre si dorme.

«Tuttavia, se ci si rende conto che la  forza di volontà non basta, è sempre meglio chiedere una mano, anche a persone vicine che potrebbero accompagnarci e motivarci o, se continuiamo a sperimentare un disagio, a un professionista che abbia gli strumenti e le competenze per poterci aiutare», conclude il dottor Meloni.


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