di Barbara Gabbrielli
Marina L., la donna torinese di 53 anni morta recentemente per le metastasi di un melanoma, aveva dato piena fiducia al suo medico di base, una dottoressa omeopata, ora accusata di omicidio colposo.
Nessun intervento chirurgico, nessuna terapia tradizionale: Marina ha combattuto il cancro con rimedi omeopatici e sedute di psicoterapia secondo le teorie di Ryke Geerd Hamer, medico tedesco, guru della medicina alternativa.
«Non toglierlo, è lo sfogo di un problema psicologico», diceva la dottoressa alla sua paziente quando si lamentava di quel neo che continuava a crescere e a fare male. «Risolvi i tuoi conflitti interiori e passerà». Ma Marina è morta.
Dietro a questa vicenda, triste come ogni morte che poteva essere evitata, c’è qualcosa che riguarda tutti: la paura. Della malattia, delle cure, del corpo che si trasforma, della morte stessa. Scoprire una falla nel nostro organismo porta con sé moltissime implicazioni e, soprattutto, un’angoscia difficile da gestire, che ciascuno di noi declina a modo suo.
C’è chi rimanda la visita medica accampando scuse, chi ignora il dolore, chi interrompe na cura ai primi segni di miglioramento. E chi, come Marina, si affida al medico sbagliato. È l’altra faccia dell’ipocondria che, al contrario, ti fa correre dal medico troppe volte. Ma l’obiettivo è sempre scacciare la paura.
QUANTE SCUSE!
«Malattia e morte sono due temi molto profondi nella vita di ogni essere umano. Intorno a essi si muovono le nostre fantasie più spaventose, quelle che ci possono mettere su una strada sbagliata o far prendere degli abbagli», spiega Giovanna Franchi, psicoterapeuta del Cerion, il Centro di riabilitazione oncologica di Firenze.
«La prospettiva di una diagnosi inaspettata amplifica le nostre fragilità. Il bisogno di una terapia ci precipita in una nube di smarrimento. Quello che sperimentiamo è una perdita di identità: non siamo più noi, siamo dei malati. E la possibilità di trasformarci in qualcun altro può diventare tanto inaccettabile da farci evitare accertamenti e cure».
Negare un problema di salute o segnalarlo quando è già molto avanzato è dunque una forma di autodifesa. Ci protegge dal prendere consapevolezza dei nostri limiti, delle nostre imperfezioni. Insomma, meglio convincerci che a noi non accadrà mai niente, piuttosto che scoprire le implicazioni di un problema di salute.
«Cause e motivazioni possono essere molto diverse e tanti sono anche i modi che abbiamo per autoingannarci», spiega la psicoanalista Valeria Egidi. «Alcuni sostengono di non avere tempo, di non poter lasciare il lavoro o staccare dagli impegni familiari neppure per fissare un appuntamento con lo specialista. E non si accorgono di quanto il loro ragionamento sia illogico e irrazionale».
Ma ci sono modalità ancora più subdole e sottotraccia. «C’è chi, davanti al medico, minimizza i propri
sintomi. O svilisce la figura del professionista con critiche e sospetti. E c’è chi si intestardisce su una cura che visibilmente non funziona. Sono tutti modi per non accettare la trasformazione», prosegue la psicoanalista.
QUEI MESSAGGI IGNORATI
Accade soprattutto agli uomini e agli adolescenti. I primi non riescono ad accettare le fragilità del corpo, così non ascoltano i suoi messaggi, preferendo riempirsi di antiinfiammatori. «Gli uomini hanno un’idea drastica della fisicità: o tutto o niente. Ecco perché invecchiano peggio delle donne. Vivono qualsiasi limite che il corpo segnala come una sorta di debolezza o lesione dell’immagine virile», conferma Valeria Egidi.
Una ricerca della Fondazione Veronesi lo conferma: 8 su 10 non hanno mai messo piede dall’urologo, e appena il 40% si sottopone a controlli di routine. Per gli adolescenti, invece, una malattia o un infortunio vengono vissuti come un ostacolo alla loro voglia di crescere e di essere indipendenti.
«La debolezza, agli occhi di un ragazzo, è qualcosa che lo riporta indietro a quando era un bambino», spiega la dottoressa Egidi. «Ecco perché prendono uno stiramento ma corrono ugualmente, cadono dallo scooter ma fanno gli spavaldi».
SCELTE PERICOLOSE
E le donne? «Sono abituate ad accettare gli alti e i bassi del corpo, ma anche loro non sono immuni a queste paure, soprattutto in una certa fase della loro esistenza», aggiunge Egidi. «Accade spesso dopo i 50 anni, quando ci si sente un po’ sole, tagliate fuori da alcune relazioni sociali e professionali.
In questo contesto, diventa più difficile non farsi suggestionare dall’angoscia di una malattia o dall’ennesimo segnale dell’invecchiamento. Così molte donne finiscono per saltare la mammografia, trascurare un disturbo o aspettare anni prima di sottoporsi a un intervento».
E sono soprattutto le donne a rivolgersi alla medicina alternativa (secondo l’stat il 7,5%, tra i 35 e i 44 anni, ricorre all’omeopatia), per fortuna nella maggior parte dei casi senza arrivare a curare un cancro solo con rimedi di tale tipo, come è accaduto alla donna di Torino.
«Davanti a patologie importanti, le terapie alternative offrono risposte troppo semplicistiche», interviene la psicoterapeuta Giovanna Franchi.«Ti dicono che ti sei ammalato perché hai un certo comportamento o soffochi una certa emozione. E se cambierai non ti ammalerai più.
Dobbiamo prendere solo il meglio da queste teorie. Sono l’occasione per rivedere la nostra vita, capire le nostre priorità e le situazioni che ci procurano sofferenza. Ma guai a creare un rapporto di causa-effetto con la patologia, perché potrebbe interferire con le cure mediche».
PASSA ALL'AZIONE
Non è facile guardare in faccia le proprie paure. Ma se ti accorgi (o ti fanno notare) che non ti stai prendendo cura della tua salute come dovresti, decidere di correre ai ripari può essere più tranquillizzante che covare domande senza risposta.
1 LIBERATI DAI DUBBI «Riflettiamo sul fatto che vivere con il pensiero di essere malate ci fa stare più in ansia di un esame del sangue. Non ne vale la pena», sostiene la psicoanalista Valeria Egidi. I nostri pensieri volano sempre verso conclusioni negative, mentre un po’ di concretezza e di dati reali ci potrebbero aiutare a essere più consapevoli e più sereni».
2 FATTI UN PLANNING ANNUALE Se abbiamo la tendenza a rimandare le visite specialistiche e i controlli di routine, segniamo sul calendario tutti gli screening da fare nel corso dell’anno», suggerisce Egidi. «Vederli scritti, nero su bianco, ci aiuterà a non rimandarli».
3 NON RIMANERE SOLA Facciamoci aiutare da chi è più bravo di noi in queste cose: il partner concreto, l’amica precisa, la mamma che ci può accompagnare», conclude Egidi. «Un’altra persona ci può convincere dell’importanza di agire subito, oppure può prendere un appuntamento dal medico al posto nostro e magari accompagnarci».
E SE FOSSE DEPRESSIONE?
Talvolta rifiutare di avere un problema è la spia di un malessere importante, avverte la psicoanalista Valeria Egidi.
La depressione mina la voglia di vivere e di fare. Chi vive questa situazione tende a ignorare i segnali del corpo, oppure a pensare che non valga la pena darsi tanto da fare per la propria salute.
In questi casi, è fondamentale che la persona non venga lasciata sola. «Il depresso non è in grado di prendersi cura di se stesso, quindi lo deve fare chi gli sta accanto» conclude l’esperta. Come? «Intercettando comportamenti come l’eccessivo isolamento o i tentativi di boicottare le terapie».
Articolo pubblicato sul n.20 di Starbene in edicola dal 03/05/2016