di Angelo Piemontese
Può capitare a tutti, prima o poi, di doversi sottoporre a un intervento chirurgico che prevede l’anestesia. Una procedura di cui si conosce poco e che, proprio per questo, genera ansie e timori, a volte più dell’operazione in sé.
«Sostanzialmente i pazienti hanno paura di addormentarsi e di non svegliarsi più», commenta Michele Carron, medico anestesista ed esperto in terapia intensiva.
I RISCHI SONO MINIMI
«Oggi non si muore più per anestesia, i decessi sono eventi eccezionali (frutto di concause), e proprio per questo balzano alla ribalta della cronaca», precisa l’esperto. L’affermazione è suffragata da dati scientifici: nel 1950 i casi di morte erano circa 20 ogni 10.000 interventi, scesi a 2 nel 1975 e a 1 ogni 250.000 nel 1990. Studi recenti parlano addirittura di 1 caso su 1 milione.
«Ci sono poi situazioni particolari, in cui il rischio è più grave, che dipendono dalle condizioni di salute del paziente. Per esempio se si tratta di cardiopatici gravi, nel corso di operazioni lunghe e molto complesse, le morti per arresto cardiaco hanno una frequenza di 1 ogni 20.000 interventi».
FUNZIONA COSÌ
L’esperto ci spiega perché, al di là dei numeri, non ci sono motivi per preoccuparsi: «L’anestesia consiste nella somministrazione di farmaci per via endovenosa che inducono un sonno profondo. Si prova dunque una sensazione simile al torpore di quando ci si addormenta.
L’importante è che l’anestesista informi e rassicuri preventivamente il paziente. Inoltre, durante l’intervento, le funzioni vitali vengono continuamente monitorate e l’anestesia può essere modulata a seconda delle richieste del chirurgo. La sinergia tra le due figure professionali garantisce un più preciso controllo della situazione e permette a ciascun medico di intervenire tempestivamente in caso di complicanze », chiarisce il dottor Carron.
COSA VIENE SOMMINISTRATO
Durante l’anestesia generale viene iniettato un mix di tre tipi di farmaci: un ipnotico per addormentare, gli analgesici per controllare e prevenire l’insorgenza del dolore e, infine, un miorilassante che distende i muscoli, molto utile, per esempio, nelle laparoscopie (interventi che avvengono senza apertura della parete addominale) e laparotomie, che invece prevedono incisioni sull’addome.
Gli effetti avversi di questi farmaci sono principalmente sensazione di nausea e insorgenza di vomito postoperatori, con una frequenza che varia dal 10 all’80% dei casi: «Dipende sostanzialmente dal tipo di intervento e dal paziente, e comunque, nella soluzione dell’anestetico, si aggiungono medicinali per
prevenire questi disturbi», spiega Carron.
Altri effetti collaterali sono un ritardato risveglio e un lento recupero delle funzioni cognitive. «Un po’ come ci si sente, a volte, al mattino appena svegli, quando si è leggermente intontiti, sensazione che scompare rapidamente». Rare ma non infrequenti anche debolezza generale e affaticabilità.
GLI EFFETTI COLLATERALI
«Si stanno sviluppando programmi di ricerca per permettere una più rapida mobilità dopo l’operazione», sottolinea l’esperto. Che aggiunge: «In Italia è disponibile dal 2010 un farmaco innovativo (vedi di seguito) che consente una ripresa completa dagli effetti rilassanti degli anestetici sui muscoli.
Questo medicinale è efficace soprattutto nelle categorie a rischio In sala operatoria come anziani, obesi, soggetti affetti da malattie cardiovascolari, polmonari e renali. Pazienti in cui, un ritardato risveglio e un lento smaltimento dei farmaci possono causare difficoltà respiratorie».
GENERALE O LOCO-REGIONALE?
È una decisione che spetta al medico che, comunque, terrà conto di eventuali esigenze specifiche del paziente. «Quando si deve operare al torace o eseguire l’intervento in una posizione scomoda per il malato, è necessaria la generale», precisa il medico anestesista. «Negli interventi ortopedici, invece, è preferibile la loco-regionale perché permette un controllo prolungato del dolore post operatorio.
Viene somministrata anche per le operazioni all’addome, come l’ernia inguinale, in quelli ginecologici e urologici e per il parto cesareo». Presenta meno effetti collaterali della generale, tipo nausea e sonnolenza, e un minor rischio cardiovascolare. Inoltre consente un recupero più rapido.
Il farmaco per il recupero veloce
➔Chiunque si sia sottoposto ad anestesia generale ricorda la fase post operatoria gravata da malessere, pesantezza, e in certi casi dalla difficoltà a respirare: in circolo ci sono ancora quantità di miorilassanti attivi e in grado di interferire con la respirazione. Oggi esiste un farmaco che consente al paziente di riacquistare completamente la funzione muscolare e polmonare nel giro di due-tre minuti, riducendo così il rischio di complicanze.
➔Si chiama sugammadex ed è stato indicato tra i 16 farmaci first in class del 2015 per la sua azione innovativa: somministrato mediante iniezione agisce velocemente rendendo inattivo il rocuronio, il medicinale impiegato comunemente nell’anestesia generale e che induce il blocco neuromuscolare al fine di rilassare la muscolatura del paziente durante l’intervento.
Se non è totale è...
1 SPINALE: consiste in un’iniezione praticata tra le vertebre lombari. Si infonde una piccola dose di anestetico dentro lo spazio subaracnoideo, nel liquido cefalorachidiano, fluido del sistema nervoso centrale, per bloccare gli impulsi dolorosi provenienti dai nervi verso il cervello.
2 PERIDURALE è il metodo d’eccellenza per il parto indolore. L’anestetico è iniettato, tra le lombari e la sacrale, ma all’esterno della sede in cui scorre il liquido che circonda il midollo spinale ed i suoi nervi, proprio per evitare di pungerlo. Grazie a un piccolo catetere, inoltre, si possono dosare i farmaci durante il travaglio e dopo, per contenere il dolore.
3 AI NERVI: l’anestetico è iniettato direttamente intorno al nervo che porta sensibilità alla zona da operare. Spesso il paziente teme di rimanere paralizzato: in realtà dopo poche ore l’effetto svanisce e non ci sono casi documentati di paralisi. Si utilizza negli interventi a braccio, mano, coscia e piede.
4 LOCALE: si crea una barriera intorno alla zona da operare con una serie di iniezioni. Si pratica per l’asportazione di piccole cisti della pelle e per interventi sulla superficie del corpo.
Articolo pubblicato sul n.11 di Starbene in edicola dall'01/03/2016