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Perché la vergogna è un’emozione utile regina della socialità

Quando ci sentiamo inadeguati, per come siamo e ci comportiamo, vorremmo scomparire. In realtà la vergogna è un’emozione che possiamo imparare a sfruttare a nostro vantaggio

Foto: iStock



Necessarie quando, da uomini primitivi, dovevamo difenderci da tutto ciò che minacciava la nostra sopravvivenza; indispensabili una volta che, diventati Sapiens, ci siamo evoluti in animali sociali, parte di una comunità. Le emozioni ci aiutano a capire cosa dobbiamo fare per salvaguardarci nell’ambiente in cui viviamo, che sia fisico, sociale o relazionale, ma raccontano anche cosa accade dentro di noi, come elaboriamo il mondo che ci circonda, costruiamo la nostra identità in funzione degli altri, prendiamo coscienza dei nostri bisogni.

Eppure tendiamo, soprattutto in alcuni casi, a soffocarle o negarle: «Spesso cerchiamo di evitarle perché abbiamo la sensazione di esserne sopraffatti. Non avendo poi un’educazione emotiva adeguata, facciamo fatica a riconoscerle e di conseguenza a gestirle e regolarle», spiega Serena Barbieri, psicologa e psicoterapeuta (@spazioformamentis_ psicoterapia), coautrice con Isabel Gangitano, esperta di comunicazione (@lebasipodcast), del libro Il codice delle emozioni, una guida per scoprire questo nostro mondo interiore e imparare a decodificarlo, per conoscerci meglio e stare bene con noi stessi e con gli altri.

Gli esperti in materia dividono le emozioni in “primarie”, quelle che rispondono ai bisogni individuali, e “secondarie”, che si sono sviluppate di pari passo con la nostra sempre maggiore interazione con il gruppo dei nostri simili e da cui, nel corso dell’evoluzione, siamo diventati sempre più dipendenti. «Da Sapiens siamo più fragili fisicamente ma più intelligenti e dobbiamo affrontare problemi complessi: abbiamo perciò bisogno degli altri per elaborare strategie comuni per la sopravvivenza», sottolinea la psicologa. Di questo secondo gruppo, in particolare, fa parte la vergogna che, in un ribaltamento sorprendente dai luoghi comuni, le nostre esperte definiscono “la regina della socialità”.


Provare imbarazzo ci insegna a stare al mondo

Questa emozione, estremamente articolata, deriva da paura e da ansia: «La prima ci protegge dai pericoli ambientali nel momento presente, la seconda da quelli possibili, che prevediamo o ipotizziamo in un tempo prossimo, mentre la vergogna scaturisce dal rischio più grande per noi esseri sociali: quello di non sentirci adeguati, di essere giudicati sbagliati dalla comunità in cui viviamo e quindi, a fronte di questa inadeguatezza, di essere isolati ed estromessi; il che equivarrebbe, in termini evoluzionistici, a non sopravvivere», spiega la dottoressa Barbieri.

«Una “dipendenza” che comincia molto presto: secondo alcuni studi, questa emozione si manifesta già a partire dai 3 mesi di vita, per altri dai 3 anni, ma sta di fatto che il bambino l’avverte già nel rapporto con la mamma e il papà; perché è proprio grazie alla “vergogna” che impara ad adeguarsi alle loro esigenze, a capire quali sono i comportamenti giusti per avere la loro attenzione o per non deluderli e, in base anche a questo, costruisce la sua identità».

Visto poi che il nostro cervello è predisposto per costruire previsioni, per proiettarsi nel futuro, vergogna è quell’emozione che ci fa intuire ed elaborare quali sono le regole implicite per venire accettati dai simili con cui ci confrontiamo e per adeguare, di conseguenza, i nostri comportamenti.


La vergogna ci salva dal senso di inadeguatezza

Nonostante la vergogna sia fondamentale per regolare i rapporti sociali, facciamo fatica a riconoscerla in tutta la sua valenza positiva. «Non avendo l’educazione emotiva necessaria a decodificarla, ci neghiamo la possibilità di usare la vergogna a nostro vantaggio, cadendo così vittime di un continuo senso di inadeguatezza», spiega Isabel Gangitano, esperta di comunicazione.

«Proprio da qui nasce il disagio nel vivere le relazioni con gli altri; relazioni che, crescendo e diventando adulti, si moltiplicano, così come i gruppi sociali: dalla famiglia, alla scuola e poi al mondo del lavoro. Tutti con il loro bagaglio di regole di appartenenza, codici di comportamento e aspettative: dobbiamo essere ubbidienti con la mamma, bravi nello studio, condividere interessi e gusti musicali per andare d’accordo con le amiche, “abbozzare” nelle discussioni con il fidanzato, essere all’altezza degli amici del calcetto». Al fine di sentirci adeguati. Ed è qui che può nascere il conflitto.


La vergogna ci serve per relativizzare

Spesso il volersi sentire accettati (nelle amicizie, nel rapporto di coppia, sul lavoro) entra in conflitto con i nostri bisogni e aspirazioni, perché, il più delle volte, prevale il desiderio di appartenenza alla comunità. Una spinta naturale che nasce dal timore funzionale di rimanere soli, motivo per cui tendiamo a nascondere il nostro disagio, spesso pure a noi stessi.

«Invece dobbiamo e possiamo pensare all’emozione della vergogna come a uno strumento che ci aiuta a modulare il nostro modo di essere nel rispetto di quello che siamo, ma invitandoci a trovare una via per riuscire a stare bene anche con gli altri. Usarla ci aiuterebbe a capire, per esempio, che chiudere una relazione sentimentale, lavorativa, personale perché non riusciamo più a soddisfare le aspettative altrui, non significa essere inadeguati socialmente», sottolinea l’esperta di comunicazione.

«La parola chiave è proprio “usarla”, riportare questa emozione alla sua natura funzionale», interviene la dottoressa Barbieri. «Vergogna è una sorta di alert che, quando scatta, ci dice anche che è il momento di prendere le distanze dal nostro mondo sociale e relazionale e di creare uno spazio interiore per ascoltarne e decodificarne il messaggio: ci aiuterà a relativizzare la nostra dipendenza dagli altri e dalla loro approvazione, a fare nostra la consapevolezza che dobbiamo essere noi a scegliere di quale “gruppo” fare parte.

L’esclusione è legata alla fine di una relazione sentimentale tossica? Staremo meglio. Scegliere potrebbe essere sgradevole, spiacevole, ci potrebbero essere delle conseguenze, ma possiamo sopravvivere. Dobbiamo avere fiducia nelle nostre capacità di scollegare il senso di inadeguatezza dalla paura atavica di “morte sociale” e di usare la vergogna per trovare un equilibrio tra la nostra individualità e il bisogno di socialità».


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