Perché la nostalgia fa bene e ci apre al futuro

Tutto passa nella vita, ma non i ricordi. Quelli nessuno ce li può togliere, e poterli rievocare è una risorsa benefica. Per avere punti fermi e affrontare meglio la mutevolezza del mondo



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La nostalgia, oggi, ha un nuovo status. E può essere guardata con occhi diversi da chi (tanti, tantissimi) finora l’ha vista, e possibilmente scartata, come uno stato d’animo non troppo gradevole, che va a braccetto con malinconia e tristezza. Per via, anche, dei suoi riflessi così poco moderni, in un mood cosmico dove la corsa è l’unico passo consentito, e approvato. Perché perdersi nell’oziosa rievocazione del tempo perduto, nell’uggioso rimuginare su ciò che, nel bene o nel male, è avvenuto, che ci condiziona nel presente e ci fa sprecare minuti preziosi ed energie fresche?

Però la nostalgia non è un qualcosa che possiamo inattivare di testa nostra, s’insinua in noi senza remore, e con questo siamo costretti, volenti o nolenti, a farci i conti. Ma da quella sottile brezza malinconica che ci avvolge quando ci capita tra le mani una foto, un oggetto dimenticato, quando ascoltiamo una vecchia canzone o incontriamo per caso una persona persa di vista da anni, non dobbiamo difenderci con le unghie e i denti, affermano gli autori del nuovo libro Nostalgia (il Mulino), Andrea Stracciari e Angelo Fioritti. Da qui, da un lampo di recupero di persone, situazioni, atmosfere e legami trascorsi possiamo ricavare dei vantaggi tipici di chi non guarda indietro ma ha la forza e l’entusiasmo di andare avanti.

L’input viene da Angelo Fioritti che Starbene ha intervistato.


La nostalgia viene descritta come un “fenomeno”, e non sentimento, stato d’animo, c’è un motivo in questa scelta?

La nostalgia è un qualcosa che non è sintetizzabile in una formula precisa. Ha, infatti, diverse funzioni (psicologica, sociale, culturale, politica ecc) e, quindi, nelle singole accezioni assume caratteristiche (e interpretazioni) diverse. Non solo, è un’esperienza al tempo stesso viscerale e cerebrale ma, pur collocandosi nell’ambito della sfera emotiva, non lo fa in maniera così netta come le emozioni di base (rabbia, paura, disgusto, gioia, sorpresa). Non è infatti immediata, ma di seconda istanza: per emergere, la nostalgia richiede sempre l’intermediazione della memoria e una dimensione temporale ben diversa dall’istantaneità della gioia o della rabbia.


Vive anche di contraddizioni, s’afferma nel libro...

Sì, la sua natura è ambivalente e ha un sapore dolceamaro: evoca sia tristezza (la perdita di qualcosa o qualcuno che provoca dolore) sia gradevolezza (il velo della memoria mette il tempo passato, le persone, i luoghi, le cose, le atmosfere in una cornice sognante che ci culla una dimensione di piacere presente). In più la nostalgia, è rivolta al passato ma ha delle proiezioni sul presente e sul futuro.


Alcuni sono inguaribilmente nostalgici, altri sembrano indifferenti… ma è proprio così?

La reminiscenza nostalgica è un fenomeno universale, ubiquitario e frequente. Secondo alcuni studi, si prova nostalgia in media due-tre volte alla settimana, anche se tutti hanno conosciuto persone che, almeno in apparenza, non ne sembrano coinvolte. Sicuramente, l’intensità può aumentare in particolari momenti della vita e ridursi in periodi successivi, o variare anche da un giorno all’altro, in relazione a differenti situazioni, stati mentali, condizionamenti ambientali.


In quali momenti della vita siamo più esposti alla nostalgia?

Il dilemma se si nasce o meno nostalgici non ha ancora avuto risposta, poiché si presuppone che fino ai tre anni di vita sia difficile rievocare ricordi autobiografici. Quello che sappiano con certezza è che le fasi più sensibili alla nostalgia sono quelle di passaggio tra l’adolescenza e la giovinezza, l’ingresso nella maturità, l’affacciarsi dell’invecchiamento, cioè in tutti quei periodi in cui la vita ci richiede una maggiore capacità di adattamento e cambiamento della nostra identità. Succede lo stesso anche nei periodi di crisi sociale: lo abbiamo visto durante la pandemia: la chiusura in casa, l’isolamento, la solitudine ci ha spinto a ricontattare l’amico d’infanzia o il parente lontano che non sentivamo da anni per ricordare il tempo passato.


Cosa fa di buono per noi?

Gli psicologici del comportamento collocano la nostalgia nel gruppo delle “emozioni di fondo” in quanto è estremamente rilevante per il singolo individuo e per la sua esistenza. Crea un forte senso di continuità tra passato e presente; ha una spiccata componente sociale perché anche attraverso i ricordi condivisi creiamo legami, sia personali che collettivi; ci conferisce autenticità perché si basa sul ricordo che è autobiografico, quindi intimamente nostro.


In che modo?

Il sentimento nostalgico dà forma, contenuto e continuità alla nostra identità, che è in continua evoluzione. Lasciarsi andare ai ricordi è uno strumento di rilettura autobiografica, che ci permette di osservare le nostre esperienze passate, di selezionare quelle che sentiamo nostre e di farle contribuire alla costruzione del nostro essere nel presente. Il passato, insomma, viene riaggiornato dal momento che ciò che ci è familiare, conosciuto e vissuto assume significati nuovi e costruttivi. In senso allegorico, è come sfogliare l’album fotografico della nostra vita, da cui tirare fuori alcune immagini: quelle in cui siamo venuti meglio, quelle che vogliamo condividere con gli altri, quelle così così ma che ormai possiamo accettare una volta per tutte.


Ma dove approda l’operazione nostalgia?

In un porto di autostima, ottimismo e fiducia in noi stessi, sostanzialmente. L’esperienza della nostalgia può aiutare, infatti, a formulare giudizi positivi sul proprio trascorso, a reinterpretare positivamente aspetti marginali, eccentrici o semplicemente dimenticati dei sé passati, a fissare dei punti fermi nella propria autobiografia. Tutto questo serve a valorizzare il presente e aprirsi a un futuro roseo.


Perché?

Si capisce meglio il significato della propria esistenza, ci si apre a un’affettività positiva e ci si sente più vicini agli altri. Non a caso, la terapia della reminiscenza viene usata, spesso, per le persone anziane smemorate e depresse che, rievocando fatti autobiografici, rinforzano il senso di auto valore e il desiderio di vivere. Non solo, il ricordo di una persona cara, della casa lasciata, della famiglia, dei momenti trascorsi insieme bilancia il dolore di una perdita, di un abbandono, di qualsiasi evento traumatico. È anche un antidoto alla solitudine: ci consola che gli altri ci sono, anche se ora lontani. Nella nostalgia, infatti, il passato diventa presente, l’assenza diventa presenza.


E come ci mette nei confronti del futuro?

Bene. La nostalgia, se non si trasforma in un gigantesco rimpianto o nella paura ossessiva che abbiamo lasciato per sempre il meglio alle spalle, ci può far fare pace con il passato, dove le esperienze pregresse vengono salvate e valorizzate. Quest’ottica è un motore di resilienza per affrontare le sfide quotidiane, dato che rafforza la nostra personalità. Non c’è infatti nulla di più fluido della memoria che, a conti fatti, è sempre un atto del presente.


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