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People Pleasing: il bisogno di approvazione degli altri

Non sa dire di no, non sa scegliere da solo, asseconda sempre le opinioni altrui, ha una bassa autostima: è il people pleaser, che ha bisogno di compiacere il prossimo a tutti i costi. Il rischio che corre? Perdere la propria personalità

credits: istock



di Giorgia Martino

People pleasing è l'espressione inglese che indica necessità, per niente rara soprattutto fra i più giovani e le personalità meno strutturate, di compiacere gli altri.

Tutti vogliamo piacere. Il problema nasce quando questo desiderio diventa un’esigenza, tanto da mettere in dubbio la propria autostima e la propria personalità, forgiandola a seconda di chi si ha di fronte pur di avere il suo consenso.

L’insicurezza che porta a cercare l’approvazione del prossimo non è correlata a fattori oggettivi, considerando che ne possono soffrire anche persone che godono di un discreto successo: basti pensare all’attrice bolognese Matilda De Angelis, bellissima e famosa a livello internazionale. Nonostante ciò, in passato la sua percezione di sé non andava di pari passo con le riprove del suo valore. Infatti, in una recente intervista a Repubblica ha confessato di essersi logorata alla continua ricerca di un ideale di perfezione che le permettesse di non deludere mai gli altri, asserendo di soffrire di “people pleasing”.

Abbiamo affrontato l’argomento con la dottoressa Maria Luisa Gargiulo, psicologa psicoterapeuta a Roma.


People pleaser o semplicemente una persona generosa?

Se il people pleasing è correlato al compiacere gli altri, cosa lo distingue da un semplice e ammirevole atteggiamento altruista? «Fondamentalmente il feedback che si vuole trarre dall’altro – risponde la dottoressa Gargiulo – Il people pleaser, ossia l’individuo compiacente a tutti i costi, vuole che la sua azione venga approvata dall’altro, per trarne la stima e l’affetto. La persona generosa, invece, è focalizzata sui bisogni del prossimo in modo totalmente disinteressato». In pratica, l’altruista è interessato che l’altro stia bene, mentre il people pleaser vuole che l’altro riconosca le sue azioni benevole.

Alla luce di questa distinzione, si può dire che un people pleaser sia, a suo modo, un soggetto manipolatore? «Diciamo che spesso il people pleaser ha un fine totalmente personale, ossia essere riconosciuto e stimato dagli altri, e questo è un tratto dei manipolatori. Tuttavia, a differenza del manipolatore tipico, al people pleaser non interessa controllare le azioni dell’altro, bensì solo l’opinione che l’altro ha di lui» specifica l’esperta.


Il people pleaser e il suo passato

Si diventa un people pleaser per più di una ragione, e ovviamente non sono tutte elencabili in modo didascalico: come dice anche la nostra psicoterapeuta: «l’ipersemplificazione in psicologia non paga mai».

Tuttavia esistono delle traiettorie di sviluppo che, dall’infanzia, possono portare un bambino a non credere nelle proprie capacità di cavarsela da solo, di saper scegliere, di saper badare a se stesso, di saper prendere decisioni giuste. Tutto ciò può costruire un bagaglio di insicurezza e disistima verso di sé, che si traducono nel tempo in un adulto che ha bisogno sempre della conferma altrui prima di agire.

«Sempre volendo generalizzare, sono almeno due i tipi di storie che un people pleaser potrebbe aver vissuto da bambino – spiega la dott.ssa Gargiulo – In un caso, potrebbe aver avuto dei genitori molto giudicanti, inclini a mettere in discussione ogni azione del figlio, facendogli quasi percepire di essere disposti ad amarlo solo finché si fosse comportato in modo corrispondente alle loro aspettative; in un secondo caso, invece, la figura di attaccamento genitoriale potrebbe essere stata ansiosa e iperprotettiva, trasmettendo così al proprio bambino di non essere capace di gestire da solo un modo insidiato da pericoli e minacce».

Tuttavia, nella vita non si resta eterni bambini, e si diventa adulti proprio quando si impara a scegliere per sé, in base ai propri desideri e ai propri criteri personali: continuare a ricercare negli altri quel genitore giudicante e privo di fiducia in noi può portarci solo a un prezzo molto alto da pagare: la perdita della nostra personalità. «Un people pleaser diventa dipendente dal giudizio altrui, e quindi non è libero. Inoltre, tutte le volte che gli altri non riconoscono il suo valore come lui vorrebbe, entra in conflitto con se stesso, rinunciando ai suoi bisogni e quindi alimentando quello che in psicologia viene chiamato “falso sé”, ossia un personaggio artefatto che, secondo lui, è più desiderabile agli occhi degli altri, senza più riuscire a distinguere cosa vuole veramente e cosa lo rende davvero felice».


Come superare lo scoglio di non riuscire a dire di “no”

L’azione realizzata solo in base alle conferme esterne è una dipendenza, e come tale va trattata. «Come tutte le dipendenze, occorre abituarsi a superare la “crisi d’astinenza” dall’approvazione altrui» consiglia la dottoressa Gargiulo. In che modo? Qualche esempio pratico: almeno per una volta, proviamo a fare ciò che desideriamo, anche se crediamo che i nostri parenti possano giudicarci; almeno per una volta, acquistiamo un vestito perché ci piace e non perché abbiamo chiesto consiglio a tutte le nostre amiche; almeno per una volta, andiamo a vedere un film che ci incuriosisce ma che il nostro partner giudica stupido. «Spesso le persone dipendenti soffrono di ansia anticipatoria, cioè immaginano di non poter fare assolutamente a meno dell’approvazione altrui. In realtà è come andare in bicicletta: una volta imparato si capisce che si poteva fare!».

E se da soli non si riesce, può servire rivolgersi ad un professionista. «La psicoterapia è uno degli strumenti più efficaci per cominciare a pensare con la propria testa – conclude la dottoressa Gargiulo – Infatti lo psicoterapeuta non giudica e non impone mai i propri pareri, ma aiuta il paziente a sviluppare in autonomia tutto il proprio potenziale».


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