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Obesità, come vincerla con la psicoterapia di gruppo

L’obesità e il consumo incontrollato di cibo, detto binge eating, sono in continuo aumento. La via per uscirne è una sola: portare a galla il disagio da cui nasce. E in questo le sedute di psicoterapia collettiva possono offrire un grande aiuto

Foto: iStock



Cordiali, allegri con quei chili in più da buongustai. Il problema degli obesi, semmai, è trovare un bravo dietologo che li aiuti a perdere peso e unirlo a una buona dose di disciplina, dice il pensiero corrente. In realtà, le cose non stanno così. In attesa del 15 marzo, giornata dedicata ai disturbi alimentari, i riflettori s’accendono sull’aumento del “binge eating” (disturbo da alimentazione incontrollata), fratello delle più famose anoressia e bulimia: quel milione di uomini e donne di ogni età che s’abbuffano senza limiti. Dolce e salato, tutto va bene perché il cibo è un anestetico di tristezza, solitudine, ansia.

«Tutto ciò non ha nulla a che fare con il piacere della buona tavola, ma è una forma di autodistruzione: si arriva a mangiare a dismisura, fino a diventare obesi», spiega la psichiatra Laura Dalla Ragione, direttore della Rete disturbi alimentari Usl 1 dell’Umbria e responsabile del numero verde Sos disturbi alimentari. E, nonostante la volontà di dimagrire, non si riesce a farlo, anzi s’ingrassa sempre di più e, ancora una volta, si cerca conforto nel cibo.

Una psicopatologia da curare. Come ha fatto l’opinionista tivù e conduttore radiofonico Maurizio Coruzzi, in arte Platinette, che lo scorso settembre ha annunciato il temporaneo ritiro dagli impegni di lavoro “per combattere un difficile male che mi ha colpito e che porto dentro di me. Si tratta del mangiare compulsivo, anche quando non ne ho bisogno”.

Missione riuscita, ora, con trenta chili meno, dopo anni di sovrappeso.


Il peso come barriera e protezione

«Solo il 2-3% degli obesi ha patologie mediche che hanno causato la condizione. Nel resto dei casi, tutto ha origini psicologiche», continua Gioia Piazzi, psichiatra e psicoterapeuta, tra le autrici del saggio Obesità e sovrappeso. Un corpo per nascondersi (L’asino d’oro).

«Se andiamo a vedere, le persone con un sovrappeso importante hanno vissuti di depressione, anaffettività e altro ancora. Magari il rapporto con i genitori è (o è stato) critico e incentrato sugli aspetti materiali e non sui sentimenti», riprende Pazzi.

«Come se le esigenze psicologiche non fossero contemplate e capite all’interno della relazione familiare. L’aumento di peso diventa così un modo per mettere una barriera tra sé e gli altri e proteggere un io fragile. Un dolore inascoltato, placato solo dalla funzione “sedativa” del cibo stesso. Però, ancor’oggi il problema viene affrontato solo dal punto di vista fisico e medico, mentre diventa indispensabile un approccio globale».

Leggere per credere: La dieta sono io (La nave di Teso), di Luca Doninelli, è un diario toccante sul rapporto tra mente e cibo. L’autore racconta la sua esperienza di anni di lotte con la bilancia, arrivata a segnare 140 chili. Alla fine è riuscito a perderne 50, ma la strada giusta l’ha trovata dopo aver sconfitto i propri demoni, le insicurezze e tutto ciò che lo turbava. Così, la dieta ha avuto successo, e lui ha recuperato salute e sorriso.


Prima si capisce, poi si dimagrisce

Nel problema “sovrappeso”, ad ammalarsi sono mente e corpo insieme, e a occuparsene devono essere équipe di psicologi e nutrizionisti, che lavorano fianco a fianco.

«La terapia psicologica è imprescindibile», riprende Dalla Ragione. «Le più usate sono quella cognitiva comportamentale e quella psicanalitica». In tutti i casi, comunque, il fattore preliminare di successo è la tempestività del trattamento.

L’Italia è il primo Paese europeo per numero di bambini e adolescenti che soffrono di obesità e, se non viene curata, un ragazzino ha un altissimo rischio di diventare un adulto con disturbi alimentari. «La psicoterapia non è solo un supporto a regolare il rapporto col cibo, ma a capire quali sono i motivi profondi che portano a mangiare troppo, fino a creare una dipendenza», riprende la Piazzi. «È un’analisi necessaria e propedeutica ad affrontare un piano di rieducazione alimentare, altrimenti alla prima difficoltà si riprende il circolo vizioso emozione negativa=cibo. Ecco perché è utilissimo anche un percorso di gruppo. Serve a condividere ostacoli e successi, ad aprirsi al mondo e a ritrovare la socialità, spesso persa per nascondersi al mondo».

Per paura, per vergogna dopo un vortice di diete fallite, fragilità interiore, derisioni feroci. Qualcuna ce la ricorda l’onorevole Pd Filippo Sensi durante la discussione della legge contro il bullismo: “Sono stato per tutta la vita, e sono, un ciccia bomba cannoniere, una palla di lardo...”. Offese che mandano in frantumi qualsiasi personalità.


I giudizi degli altri nell’era dei social

Al peso sulla bilancia s’aggiunge quel macigno, insopportabile, dei giudizi spietati e brutali. Dice uno studio della Florida State University: chi è vittima di “fat shaming” è due volte e mezzo più a rischio di ingrassare, in una girandola senza fine di scorpacciate, sensi di colpa e disprezzo del proprio corpo. Gli studiosi dell’ateneo sottolineano, infatti, che “il pregiudizio contro le persone grasse è un motore della cosiddetta epidemia di obesità”.

Che il fenomeno stia assumendo proporzioni notevoli lo vedono ogni giorno anche gli esperti dell’onlus NutriMente, che si occupa di fare prevenzione nel settore dei disturbi alimentari. «I social hanno messo il turbo a questa forma di bullismo», nota Elena Tugnoli, psicoterapeuta dell’associazione.

«Seguiamo tante ragazzine che stanno male non solo per i chili di troppo, ma per le prese in giro continue. È la mente a farne le spese più grosse: da una parte si prova odio verso quel corpo che è la causa del problema. Dall’altra, quello stesso corpo è un guscio, una protezione perché in fondo è una condizione nota, mentre reagire e cambiare sembra molto più difficile. Per uscirne, noi puntiamo sulla psicoterapia, integrata da laboratori particolari. Dallo yoga, che aiuta a vedere il corpo come contenitore di benessere, al workshop sulla fotografia per sviluppare una visione diversa della fisicità».

Un forte lavoro su sé stessi, più impegnativo di dieta e palestra. La testimonianza emblematica, a favore di una cura che alleggerisce i chili e la psiche, arriva dalla scrittrice Costanza Rizzacasa d’Orsogna. Nel suo romanzo Non superare le dosi consigliate (Guanda) porta su carta la storia di Matilde, il suo alter ego, che a 8 anni è costretta dalla madre a prendere dei lassativi perché “è una bambina grassa”. «Nel libro, ho fatto riemergere i miei 40 anni di disturbi alimentari», spiega Costanza.

«Sono stata cruda e autentica, scendendo nei dettagli del dolore provato, prima di tutto per aiutare chi vive gli stessi tormenti». Per colpa delle battutine della gente, la scrittrice è arrivata ad autorecludersi, si è chiusa in casa per mesi. «L’unica cosa che facevo era scrivere e trangugiare cibo. Per il resto evitavo ogni contatto». Poi, un forte dimagrimento l’ha riportata nella quotidianità. «Ho fatto per diversi anni psicoterapia: mi ha aiutato a tirare fuori tutto il mio “dramma” esistenziale e complicati rapporti familiari. Questo percorso interiore, per me, è stato più importante della dieta».


15 marzo, giornata del fiocchetto lilla

Il fiocchetto dei disturbi alimentari è nato grazie a Stefano Tavilla, papà di Giulia, una ragazzina di 17 anni morta per bulimia la notte del 15 marzo 2011. L’uomo ha fondato l’associazione “Mi nutro di vita”, che ha lottato per ottenere un appuntamento istituzionale dedicato a questi problemi: il 15 marzo.

«Facciamo rete e puntiamo su sensibilizzazione e prevenzione», spiega Sandra Zodiaco della onlus. «Organizziamo incontri nelle scuole e gruppi di auto aiuto per malati e familiari. Stiamo insistendo con il ministero della Salute e con l’Istituto superiore di Sanità perché in ogni Regione ci siano strutture adeguate. Bisogna rafforzare la formazione di pediatri e medici di base: sono i primi a intercettare queste malattie, ma a volte non le conoscono bene».


I disturbi alimentari in numeri


  • 3 milioni

Gli italiani che ne soffrono. Di questi un terzo ha un problema di binge eating.

  • 8500

I nuovi pazienti ogni anno. Prima, l’anoressia rappresentava il nemico numero uno, adesso c’è la grande piaga della bulimia.

  • 8 anni

L’età in cui possono iniziare a comparire i primi sintomi di un disturbo alimentare. «Prima ad ammalarsi erano le adolescenti, ora il problema riguarda tutte l’età, dai bambini agli adulti», nota la psichiatra Laura Dalla Ragione.

  • 3 mila

Le morti dovute ai disturbi alimentari nel 2019 in Italia. Per evitarle il ministero della Salute ha sottolineato la necessità delle reti d’assistenza: ambulatori, centri in day hospital, reparti specializzati e strutture residenziali dove il paziente, dopo il ricovero in ospedale, ricomincia a mangiare equilibrato.

  • 800180969

Il numero verde “Sos disturbi alimentari”. Gratuito, è attivo dal lunedi al venerdi, dalle 9 alle 21.



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Articolo pubblicato sul n. 13 di Starbene in edicola dal 10 marzo 2020


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