In marcia verso la felicità

La meditazione camminata ha un grande potere trasformativo. Ce ne parla Maria Beatrice Toro nel suo nuovo libro



piedi nudi in primo piano in movimento

Salute ed equilibrio interiore sono legate da un filo rosso che si chiama meditazione camminata.

L’arte della mindfulness on the road, come l’ha definita Maria Beatrice Toro, psicoterapeuta, direttrice della Scuola di specializzazione Scint e istruttrice di protocolli MBCT (Minfulness based cognitive-therapy) nel libro appena arrivato in libreria: Cammini di consapevolezza.

«Di mindfulness si è scritto tanto, esiste una letteratura scientifica ormai quarantennale (dal 1979, per l’esattezza, da quando il biologo molecolare Jon Kabat Zinn ha fondato il programma per la riduzione dello stress Mbsr - Mindfulness based stress reduction)», spiega la psicoterapeuta. E dal 2014, anno in cui il settimanale Time gli ha dedicato la copertina, abbiamo assistito a una vera e propria esplosione di popolarità di questa disciplina: attualmente, la seguono più di 20 milioni gli americani e anche in Europa il numero di praticanti è in continuo aumento.

Un passo alla volta
L’originalità di questo libro è il focus sulla camminata, esaminata nelle diverse tradizioni meditative. In primis quella Vipassana che ha origine dal buddismo Theravada, prevalente nel sud est asiatico. Ma si parla anche della camminata zen (lo Kinhin) della tradizione giapponese, per poi passare a esercizi di walking yoga, praticati nel continente indiano o, ancora, alla versione taoista che va per la maggiore in Cina.

Perché proprio la camminata?
«È un tratto distintivo degli ominidi: il nostro essere bipedi ci ha permesso di distinguerci dagli altri mammiferi superiori e di sviluppare il cervello e il linguaggio. Il Sapiens, prima ancora di costruire villaggi e darsi all’agricoltura, cammina e corre. E muovendosi, passo dopo passo, non solo esplora il mondo, ma prende coscienza di sé e capisce quanto questa attività sia benefica per il benessere di corpo e mente», dice la dottoressa Toro.


La meditazione dinamica

Camminare è un’attività che impariamo a circa un anno d’età e lo facciamo in modo completamente automatico. «Preda dei nostri pensieri, in genere procediamo senza nemmeno renderci conto di cosa abbiamo intorno e spesso ci troviamo a destinazione senza sapere nemmeno come abbiamo fatto», afferma l’istruttrice di mindfulness. Come si fa perciò a trasformare una sequenza di passi in una pratica meditativa? Il punto è proprio questo: questa tecnica è una camminata che non arriva da nessuna parte. «Si tratta di portare l’attenzione sulle piante dei piedi e mettersi in ascolto delle sensazioni che arrivano, senza badare al ritmo (può essere lento o veloce)», prosegue l’esperta.
«Concentrarsi sui passi è un modo per spostare l’attenzione al momento che stiamo vivendo adesso, relegando sullo sfondo i pensieri a cui si attacca continuamente la nostra mente come rimuginii, progetti e preoccupazioni», chiarisce Maria Beatrice Toro. «In questo modo riusciamo a eliminare i pensieri ricorrenti e ci calmiamo».

Passeggiare con le difficoltà
La forza trasformativa di questa pratica è che, abituandoci a stare sulle sensazioni del corpo, impariamo anche a osservare le avversità che stiamo vivendo in modo diverso. Ovviamente, non esiste nessuna bacchetta magica: semplicemente si tratta di un addestramento emotivo che ci permette di cambiare prospettiva.

«È come dotarsi di un paio di occhiali nuovi. Inizialmente può succedere che ci si senta disorientati da una visione più nitida delle cose: in questo caso, si chiarisce che cosa succede nel nostro corpo quando siamo stressati e scopriamo quali sono le emozioni da cui veniamo sopraffatti», sottolinea la psicoterapeuta. «Ma a lungo andare, per continuare la metafora degli occhiali, questo training ci permette di vedere in modo più chiaro come funzioniamo proprio durante le difficoltà e ci aiuta a capire quali sono le reazioni che mettiamo in atto in modo automatico. Il risultato? Impariamo a scoprire le nostre risorse e a metterle in campo in modo creativo», continua l’esperta. Diventiamo, in poche parole, il migliore problem solver di noi stessi, e ne guadagnano autostima e sicurezza.


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Articolo pubblicato sul n. 48 di Starbene in edicola dal 12 novembre 2019


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