Haunting: cos’è e come difendersi dalle tracce digitali dell’ex
La relazione è finita, non vi sentite più, ma l’ex continua a monitorare i tuoi contenuti social? Scopri le insidie del cosiddetto haunting digitale e quali strategie adottare per proteggere benessere emotivo e privacy

Quando una relazione finisce, ci si aspetta che l'ex esca dalla propria vita. Ma cosa succede quando, pur senza aver più un rapporto diretto, l'ombra della sua presenza continua a incombere sul proprio mondo virtuale? L’haunting digitale rappresenta un fenomeno relazionale post-rottura che trasforma la chiusura in un limbo emotivo logorante. Non si tratta del ghosting, lo scomparire senza spiegazioni, né dello stalking manifesto.
L'haunting è molto più sottile e insidioso e le piattaforme online, progettate per mantenere le persone connesse, diventano involontariamente strumenti che prolungano l'agonia emotiva, ostacolando il naturale processo di elaborazione del lutto relazionale. La vittima vive in un costante stato di allerta, chiedendosi cosa significhi quel like fugace o quella visualizzazione anonima, alimentando ansia e confusione.
Ne parliamo con la psicologa, psicoterapeuta e mental trainer Laura Blu Casarotti, per esplorare quali strumenti pratici di igiene digitale e consapevolezza possiamo adottare per liberarci dalle catene del digital haunting, ripristinando il nostro spazio emotivo e la nostra privacy digitale.
In che cosa consiste l'haunting?
«Il profilo social è un po’ la nostra casa digitale. Mostrandolo a persone che spesso non conosciamo o che non fanno più parte della nostra vita, è come se gli aprissimo la porta per accomodarsi. Finita la storia o l’amicizia, li facciamo naturalmente uscire e crediamo che lo faranno anche nel virtuale, ma a volte ciò non accade, perché il loro fantasma rimane e ci disturba come una presenza insidiosa che non fa rumore.
Nonostante la porta sia chiusa, dimentichiamo che le finestre sono punti dai quali ci può osservare, invadendo il nostro privato. L’haunting è questo: sentirsi osservati in modo discontinuo ma invasivo. Da ex, da pretendenti non ricambiati o semplicemente da curiosi della nostra vita. Questo lascia “tracce psicologiche” ovvero una sensazione di diffusa insicurezza e potenziale pericolo».
Quali sono le differenze psicologiche tra essere abbandonati senza spiegazioni e subire l'effetto delle tracce digitali? E come si gestiscono i due traumi?
«Nel ghosting ci troviamo a essere improvvisamente inesistenti per l’altro, improvvisamente e spesso senza una buona motivazione. Una sparizione completa che ci comunica qualcosa di difficile da accettare: la cancellazione della nostra esistenza per quella persona. Ciò ha a che fare con la nostra identità e con la forza della personalità, pertanto, il lavoro interiore che siamo chiamati a fare è che, indipendentemente da ciò che ci comunica l’altro, noi esistiamo e ci dobbiamo convincere che, anche se soffriamo molto, se veniamo cancellati in questo modo, evidentemente non era un legame d’amore o d’amicizia sano e autentico.
L’hauting, invece, riguarda psicologicamente l’inquietudine di avvertire una presenza invisibile che appare e scompare, il sentirsi osservati, spiati in modo non diretto e senza che si crei comunicazione né legame. Può essere esercitato da un ex o da uno sconosciuto nella vita reale. L'indicazione in questi casi è sempre di ascoltarsi: se questa invasione mascherata ci inquieta e non ci piace, allora dobbiamo mettere in atto comportamenti di eliminazione di quel contatto e di protezione della nostra libertà».
In che modo l'esposizione continua alle tracce di un ex può sabotare la fiducia e l'intimità in un nuovo rapporto?
«Nella canzone Prendila così, Lucio Battisti cantava: “cerca di evitare tutti i posti che frequento e che conosci anche tu”. Quando una storia finisce, abbiamo bisogno di tempo per separarci e ancor più di non veder o sentire ricordi, foto, emozioni che ci portano alla liaison finita. Continuare a ricercare tracce di un ex rallenta e può anche impedire il processo di guarigione della ferita amorosa e il naturale riaprirsi a una nuova relazione».
Quali sono le strategie psicologiche per smettere di cercare le tracce di un ex sui social media?
«A ognuno di noi è capitato di fare fatica ad accettare la fine di un rapporto e di non riuscire a separarsi. Credo che le ricerche nell'immediato siano umane, se la faccenda però dura molto tempo e le nostre relazioni si sono congelate, allora ci può essere un problema. Qualora ci rendessimo conto che la nostra vita è subordinata alla ricerca delle tracce di vita del nostro ex, allora probabilmente si è attivata un’ossessione: una divoratrice di energia. Non ci fa più vivere, tutto è concentrato sul passato doloroso.
La prima mossa è riconoscere che il gesto di cercare l'ex non è innocuo, ma è un auto-sabotaggio che prolunga il dolore e blocca il processo di elaborazione del lutto relazionale. Chiediti onestamente: “Cosa sto cercando davvero?”. Spesso non si cerca l'ex, ma la rassicurazione, la conferma di aver fatto la scelta giusta, o la speranza di una riconciliazione».
Quali esercizi di dialogo interiore si possono usare per riorientare l'attenzione quando si viene innescati emotivamente da un contenuto che riaffiora?
«Credo che in questa situazione di “craving” da tracce, che è un atteggiamento compulsivo, abbiamo già fatto un passo sano se ce ne rendiamo conto, se non ci giudichiamo negativamente e siamo consapevoli dell’onda di dolore e speranza che si sta presentando. L’onda passa, possiamo farci attraversare senza danni, sapendo che la mareggiata finisce e deve tornare la calma. Molto utile è l’affermazione della scelta: se hai fatto una scelta per il tuo benessere, ripeti a te stessa che guardare quel contenuto è un po’ come un tradimento al tuo percorso di guarigione. Pensare inoltre che un contenuto è soltanto ciò che è, non contiene la verità sulla relazione o sul futuro».
Quando la visione passiva dei profili altrui si trasforma in un segnale di malessere psicologico che richiede supporto professionale?
«Un comportamento diventa potenzialmente problematico quando consuma tutte le nostre giornate e diventa l’attività predominante. Il tutto poi, se viene vissuto con sensazioni di ansia, disagio e non lascia spazio ad altro, deve farci fermare e riflettere sulla possibilità di chiedere aiuto per noi o per la persona che vediamo essere in questa situazione».
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