Fat shaming, perché siamo tutti grassofobici e cosa fare

Battutine, allusioni, sottintesi, occhiatacce: il fat shaming, il disprezzo per le persone curvy, è ormai entrato a far parte della nostra vita quotidiana. Ecco come scrollarselo di dosso



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(illustrazioni di Mademoiselle Caroline & Mathou)

Cicciona, balena, chiattona: parole che come lame affilate si infilano nell’autostima delle persone in sovrappeso e diventano ferite insanabili. Il fenomeno, chiamato fat shaming o, se vogliamo utilizzare la parola italiana grassofobia, è diventato una pratica comune in Rete. Ma siamo sinceri: questa forma di discriminazione non dilaga solo su Internet. È un vero e proprio pregiudizio, un bias cognitivo che tutti, magri, grassi, normopeso hanno interiorizzato nella società ipercompetitiva in cui viviamo. Dobbiamo tutti essere all’altezza dei modelli photoshoppati che vediamo in televisione, sui social, sui giornali, sul posto di lavoro. Ma è davvero così? “Dobbiamo” proprio diventare la Barbie di noi stesse per essere amate, accettate e riconosciute?

275462Due illustratrici e scrittrici francesi, mademoiselle Caroline e Mathou, hanno preso il coraggio a due mani e hanno deciso di raccontare al mondo, attraverso un fumetto accattivante e divertente, com’è una giornata da grasse (A volontà, LSWR editore, 24,90€). E prima di continuare a leggere, nota quali emozioni suscita in te la parola grassa. In realtà, è solo il contrario di magra ma se le leggi una di fianco all’altra puoi già sperimentare quanto tutti noi siamo affetti da “grassofobia”. Per capire come funziona questa sindrome e come liberarcene abbiamo chiesto aiuto a Patrizia Vaccaro, psicoterapeuta a Studi Cognitivi a Milano, e a Bruno Intreccialagli, psichiatra e docente Sitcc, Società Italiana di Terapia Cognitiva e Comportamentale a Roma.


L'identità passa anche attraverso il peso corporeo

L’essere grassi è uno stato mentale prima che fisico: è come ci sentiamo dentro al nostro corpo. «Fin da piccoli il nostro aspetto fisico è il biglietto da visita con cui ci presentiamo al mondo e i nostri genitori, la madre in primis, sono fondamentali per costruire lo “scheletro identitario” che utilizziamo nella vita», afferma Patrizia Vaccaro, psicoterapeuta a Studi Cognitivi a Milano.

«Cresciamo rispecchiandoci nello sguardo materno e dei familiari che ci circondano: in questo modo impariamo ad amarci proprio in funzione di ciò che ci viene restituito. Se è amore e riconoscimento diventeremo persone equilibrate e soddisfatte, se è disprezzo e disistima, saremo adulti insicuri e fragili». Se quindi siamo stati bambini grassi e abbiamo vissuto il rapporto con il nostro corpo con vergogna, sarà necessario lavorare sull’accettazione e sull'autostima.

«Non solo», aggiunge Bruno Intreccialagli. «Lo spazio che occupa il nostro corpo determina una congruenza con l’ambiente. Mi spiego meglio: aumentare la massa corporea è un tentativo di essere più visibile e questo è un fenomeno che spesso si verifica entro i 10 anni di età. Il bambino sovrappeso in qualche modo cerca di apparire perché non si sente visto e riconosciuto da chi gli sta intorno».


Una società a misura di magri

Oltre ai legami familiari, chi litiga con il proprio peso deve anche fare i conti con il mondo esterno. Mademoiselle Caroline e Mathou lo descrivono bene nelle loro strisce. Il mattino inizia con il verdetto impietoso della bilancia. Sei a dieta da una settimana e l’ago rimane inamovibile nella posizione del giorno prima. Una brioche a colazione? Ecco l’occhiataccia di una supermamma in forma smagliante. Una sessione in palestra? Occorre passare attraverso lo scanner occhiuto dei fitness addicted che esaminano tutti i rotolini in eccesso. Vai dal medico per un controllo? La litania colpevolizzante è sempre la stessa: meno chili, più salute.

Per consolarti fai un salto nella nuova catena sotto casa per vedere i saldi e… scappi dal camerino perché le taglie arrivano solo fino alla 44. Insomma, non è nemmeno mezzogiorno e i sensi di colpa sono già un filtro che colora tutto di nero. «Chi è sovrappeso è bersagliato da commenti, battutine, consigli e raccomandazioni non richiesti da parte di colleghi, amici, figli e perfino dal partner», precisa la psicoterapeuta.

«L’idea di fondo è sempre la stessa: se non dimagrisci, il problema sei tu. Sei una persona pigra, non hai forza di volontà, non sai prenderti cura di te stessa, non credi nelle tue capacità e via dicendo. Questo “bombardamento” emotivo ovviamente non fa che minare l’autostima e aumentare il senso di insicurezza di chi non si sente a suo agio nel proprio corpo», continua Patrizia Vaccaro.


Tu non sei il tuo peso

275464Le persone in sovrappeso finiscono per sentirsi una taglia XXL e non più una persona. Come dicono le autrici del fumetto, il peso diventa una scala di valore personale, un’equazione inappellabile: Magra=vincente, determinata, volitiva. Grassa=fallita, debole, sfaticata.

«Per recuperare fiducia in se stessi occorre lavorare sulla percezione di sé, riconoscendo le proprie emozioni e iniziando a eliminare il senso di colpa, la vergogna, la paura di non essere amati, il timore di essere lasciati, l’odio verso se stessi», continua la psicoterapeuta. «Accettarsi significa anche imparare a gestire la voglia di abbuffarsi. L’ingestione di cibo produce endorfine, sviluppando quella sensazione di appagamento che può portare a una forma di dipendenza», continua lo psichiatra.

«Come quella da gioco, da alcol, da fumo e in genere esprime una dipendenza relazionale: dalla famiglia, dai genitori, dal partner. Per uscire da questo cortocircuito allora occorre stabilire un nuovo perimetro emotivo con noi stessi e con gli altri. Chi sono io, cosa mi definisce, come mi pongo all’interno delle relazioni con gli altri, quanto ne ho bisogno e da quanto ne dipendo. Raggiunta questa consapevolezza, il cibo smette di diventare un atto compulsivo e recupera la sua componente gioiosa e di socialità. Ci si abbuffa da soli, si mangia tutti insieme».

Inoltre, chi lo dice che i magri sono sempre belli, scattanti e felici? «È importante osservare pure chi ci circonda: anche i normopeso sono pieni di difetti e insicurezze, soffrono di depressione o hanno relazioni disfunzionali», continua la psicoterapeuta. «Non ci definisce un numero sulla bilancia, ma la nostra capacità di sentirci integri, interi, felici e realizzati al di là degli sguardi altrui».


L'esercizio per accettare il proprio aspetto

«Accettare il proprio aspetto fisico è un percorso che richiede cura e pazienza ma ne vale la pena», consiglia Patrizia Vaccaro. «Puoi iniziare con questo esercizio: trova 3 cose belle di te stessa. Mettiti davanti a uno specchio e inizia a guardarti. Comincia dalla testa: osservati lentamente e metti a fuoco una parte di te che consideri un tuo punto di forza: la bocca, gli occhi, i capelli e via dicendo. Poi scendi e fai lo stesso osservandoti dal collo al bacino. Infine, passa alle gambe e ai piedi. Pensaci ogni volta che ti senti a disagio.


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