Ansia

Ogni essere umano conosce la sensazione di ansia, caratterizzata da un senso diffuso, spiacevole e vago di apprensione e spesso accompagnata da sintomi di varia natura che sono diversi da individuo a individuo. È un sentimento o uno stato d’animo sgradevole, penoso, continuo o quasi; una sensazione di minaccia alla propria integrità fisica o psichica, […]



Ogni essere umano conosce la sensazione di ansia, caratterizzata da un senso diffuso, spiacevole e vago di apprensione e spesso accompagnata da sintomi di varia natura che sono diversi da individuo a individuo. È un sentimento o uno stato d’animo sgradevole, penoso, continuo o quasi; una sensazione di minaccia alla propria integrità fisica o psichica, che nelle parole degli interessati viene descritto come «un’attesa dolorosa di pericolo, di un danno imminente, sempre possibile, che non si sa però da dove verrà, quando ci colpirà, se sapremo affrontarlo lottando o evitarlo fuggendo». La lotta e la fuga sono i modi con cui gli esseri viventi reagiscono alla minaccia, reazione che si basa su una rapidissima scelta, a volte istintiva, a volte razionalizzata, dipendente dalla natura stessa del pericolo. Nel caso dell’ansia, però, la scelta, pur stimolata, è impossibile perché la natura della minaccia non è percepibile né individuabile e questa sensazione di “minaccia ignota” si esprime con malessere e tende, nel tentativo di risolversi, a concretizzarsi su un oggetto e a diventare probabilità e certezza, tende cioè a trasformarsi in paura.

Paura e ansia Ansia e paura non sono la stessa cosa, anche se hanno in comune le stesse risposte emotive e la stessa base neurofisiologica. L’ansia è un segnale di allerta: avverte di un pericolo imminente e consente di prendere misure per affrontare una minaccia che è conosciuta, interna, vaga o conflittuale in origine. La paura, nonostante sia caratterizzata da segnali di avvertimento simili, va differenziata dall’ansia perché risponde a una minaccia conosciuta, esterna, definita, o comunque non conflittuale in origine. In altri termini, la paura è una reazione a un avvenimento situato al di fuori di noi, presente o previsto, mentre l’ansia è l’attesa di un pericolo indeterminato e non chiaramente prefigurabile. Quest’ultima tende comunque a focalizzarsi su un oggetto o su una situazione, fino a diventare il substrato di tante piccole o grandi paure, che sono concretizzate dall’ansia stessa.

L’ansia come allerta Il termine allerta inteso come condizione di preallarme, definisce in modo più adatto quello stato di attivazione delle risorse psicofisiche del soggetto che preparano ad affrontare adeguatamente un pericolo. Nella realtà, la capacità revisionale di gestire con successo un pericolo futuro, o meglio la complessa rete di potenziali pericoli con cui dobbiamo confrontarci, non è mai assoluta e dunque un margine di incertezza e di incontrollabilità è sempre presente. L’incertezza del risultato nel confronto con la fonte del potenziale pericolo è l’elemento che crea la valenza spiacevole, caratteristica dell’ansia.

Il vissuto soggettivo di proporzione o sproporzione del rapporto tra capacità individuali e pericolo esterno distingue l’ansia normale da quella patologica. Il rischio di ridurre il potenziale di sopravvivenza è ciò che colora con una valenza spiacevole il concetto di allerta, rendendo plausibile il concetto di “ansia normale”.

L’ansia come fenomeno affettivo L’ansia può essere definita come una sorta di secondo livello dell’affettività, cioè come “umore ansioso”, laddove per umore si intende una condizione affettiva di lunga durata, caratterizzata da uno stato di energia vitale.

L’ansia è una condizione affettiva a valenza spiacevole orientata all’anticipazione del pericolo potenziale e quindi al futuro. Quanto più il nostro organismo sarà in grado di mettere in atto strategie preventive valide in riferimento al potenziale pericolo, tanto più l’umore ansioso tenderà a ridursi verso uno stato di umore equilibrato, caratterizzato da una valenza piacevole.

Funzioni adattative dell’ansia L’ansia, se vista semplicemente come segnale di allerta, può essere considerata un’emozione analoga alla paura; in altre parole, è utile in quanto avverte di un pericolo interno o esterno e ha qualità atte a salvare la vita.

A un livello inferiore mette in guardia da minacce ai danni del corpo, dal dolore, dall’impotenza, da una possibile punizione, dalla separazione dalle persone amate, dalla minaccia al successo, allo status o all’integrità psicofisica di un individuo. Induce a prendere misure preventive e volte a ridurre al minimo le conseguenze.

Esempi possono essere studiare prima di un esame o correre per prendere l’ultimo aereo: in questo modo l’ansia evita il danno allertando la persona a compiere determinati atti che prevengono il pericolo.

Un altro esempio della funzione adattativa della regolazione dei livelli di allerta è dato dagli studi sulla relazione tra il livello di allerta di fronte a una prestazione e l’esito della prestazione stessa; il livello di attivazione è infatti considerato un fattore importante nel determinare l’efficienza nell’esecuzione di prestazioni o compiti. Per esempio, il livello di allerta pre-esame permette di avere una maggiore probabilità di successo, così come il livello di allerta indotto da un sintomo somatico consente al soggetto di avere una maggiore probabilità di esito positivo per la sopravvivenza. Tale aumentata probabilità si realizza mediante l’attuazione di diversi eventi psicofisici preventivi: nel primo caso attraverso l’aumento della concentrazione e del tempo dedicato allo studio, nel secondo attraverso l’induzione a effettuare esami di controllo, modificazione dello stile di vita e così via.

Alcuni studi (Yerkes Dodson) hanno dimostrato che tale relazione è rappresentabile con una curva a campana, poiché entrambi gli estremi della curva sono correlati con il minimo livello nella prestazione, mentre il miglior livello di prestazione si riscontra con un’attivazione media. La totale assenza di attivazione coincide con un’assoluta mancanza di motivazione alla risoluzione del compito (l’individuo si distrae facilmente) mentre livelli troppo elevati interferiscono con le funzioni cognitive in maniera altrettanto disfunzionale.

Fisiologia dell’ansia L’ansia ha un significato protettivo, rappresentando l’evoluzione di uno dei sistemi automatici di difesa degli animali. Negli uomini è presente come modalità emotiva universale e normale, evolutasi come un sistema di allarme la cui funzione è avvertire l’individuo che scopi biologici, come la sopravvivenza, possono nel futuro essere minacciati. È quindi un’emozione orientata al futuro e ha una funzione adattativa alla realtà.

Dal punto di vista evoluzionistico va letta come un segnale che informa del probabile fallimento delle strategie messe in atto, favorendo così lo sviluppo di comportamenti alternativi, in grado di prevenire il pericolo. Nel caso queste nuove strategie risultino efficaci, l’emozione negativa viene dissipata e l’ansia perdura per un tempo limitato (risposta normale). In caso di fallimento, invece, l’attivazione del sistema si protrae creando un potenziale aumento di intensità dello stato ansioso. La condizione di ansia intesa come «stato di iperattivazione finalizzata e non patologica» rappresenta un segnale importante per individuazione e risoluzione di problemi o minacce; infatti attraverso il disagio soggettivo che provoca, induce nell’individuo la motivazione a mettere in atto strategie volte a individuare e risolvere situazioni potenzialmente pericolose.

L’ansia fisiologica, intesa come umore orientato all’anticipazione del pericolo potenziale, mette in moto meccanismi psicofisici preparatori (biologici, cognitivi, comportamentali). La componente cognitiva è rappresentata dall’aspettativa nei confronti di una minaccia con eventuale pianificazione di strategie di difesa (ipervigilanza e incremento dell’attenzione); quella comportamentale è invece finalizzata a risolvere e ad allontanare la minaccia.

Generalmente, l’ansia si caratterizza per la tendenza ad affrontare un pericolo e non a evitarlo, come capita invece con l’emozione paura.

Ansia e correlati biologici Il vissuto penoso dell’ansia ha un suo correlato neurofisiologico, biochimico e ormonale analogo a quello di altri mammiferi posti in situazioni di pericolo. Infatti, nello scatenamento dello stato di allarme e di emergenza, sia collegato alla paura (che predispone alla fuga) sia collegato alla rabbia (che predispone alla lotta) si è visto che la risposta dell’organismo avviene sempre su due vie: una rapida e una lenta e prolungata. La risposta rapida passa attraverso la connessione interna al sistema nervoso centrale fra i centri superiori della vita vegetativa e i centri inferiori, e di qui direttamente tramite le fibre del sistema nervoso vegetativo, fino ai visceri; l’altra, lenta e prolungata, avviene attraverso meccanismi ormonali che si autoregolano poi con meccanismi di “retroazione” tipo feedback. Le zone cerebrali coinvolte sono l’ipotalamo (centro superiore per l’integrazione delle espressioni somatiche delle emozioni) e il sistema libico (responsabile dell’esperienza cosciente delle emozioni). L’ipotalamo esercita una funzione di controllo su tutte le attività del sistema nervoso autonomo tramite fibre dirette ai centri bulbari e midollari e attraverso la regolazione del sistema ormonale ipofisario, che avviene per mezzo di sostanze denominate releasing factor. L’ipofisi anteriore aumenta allora la secrezione dell’ormone adrenocorticotropo (più noto con la sigla ACTH) che stimola i surreni a incrementare la produzione di ormoni steroidei, adrenalina e noradrenalina. La quantità di ormoni messi in circolo è poi automaticamente regolata con meccanismi di retroazione (feedback). La stimolazione dell’ipofisi anteriore durante lo stato di allarme, pur aumentando la secrezione di ormoni stimolanti le gonadi e la tiroide, ha un coinvolgimento molto minore rispetto a quello della surrenale. Questa risposta globale è funzionale alla preparazione dell’individuo a una situazione di emergenza che lo porrà in un’attività di lotta o di fuga.

L’ansia patologica Quando lo stato ansioso induce una riduzione della probabilità di affrontare con successo il pericolo generale si parla di ansia patologica, ossia di quello stato affettivo caratterizzato da amplificazione peggiorativa della realtà, dall’attesa del danno e da sensazione di impotenza.

L’ansia è patologica quando, a fronte delle stesse modificazioni dell’organismo sopra descritte, le reazioni, sia sul piano cognitivo sia su quello comportamentale, risultano inefficaci. Da un punto di vista cognitivo, le difficoltà si manifestano con problemi nel ricordare informazioni rilevanti, mancanza di concentrazione, perdita di obiettività nella valutazione delle situazioni e “visione tunnel” per la quale il soggetto si concentra su aspetti parziali della situazione e connessi a una valutazione di minaccia senza considerare altri aspetti rilevanti. Vi è inoltre una condizione cosiddetta di iperarousal a livello del sistema nervoso autonomo che determina irrequietezza, iperattività senza scopo preciso (afinalistica) e che, invece di mobilitare risorse motorie ed energetiche mirate alla risoluzione del problema, provoca un dispendio di energie, disadattività e disfunzionalità.

Inoltre, nell’ansia patologica il soggetto è incapace di mettere in atto, di fronte a minacce potenziali o pericoli, strategie finalizzate a risolvere in qualche modo la situazione (problem solving) e che sarebbero efficaci per rimuovere o allontanare il pericolo. Negli individui che soffrono di questo tipo di ansia, vi sarebbe una modalità di elaborazione delle informazioni aspecifica e carente di dettagli, presente sia a livello di rappresentazioni visive sia di immaginazione verbale e proposizionale.

Da qui la difficoltà di rappresentarsi dettagliatamente il danno, nonché l’interazione dinamica con esso; i soggetti, in effetti, immaginano il danno come qualcosa di irreparabile, statico, inattaccabile, immutevole; ne consegue una condizione che ostacola di fatto la possibilità di pianificare e programmare strategie per risolvere e gestire il problema in modo adeguato. Inoltre, queste difficoltà cognitive e di eccessiva rigidità percettiva sarebbero alla base anche dei notevoli problemi che i soggetti ansiosi incontrano nel tollerare, anche a livello percettivo, situazioni di ambiguità.

Trattamento dell’ansia L’ansia non deve necessariamente essere trattata; rappresenta infatti un sentimento che colora la nostra vita emotivo-affettiva e che influenza i meccanismi cognitivi, quali la memoria e l’attenzione. Può essere peraltro assai utile al conseguimento di vari obiettivi, sempre che non superi determinati livelli di intensità. L’ansia come sintomo invalidante non andrebbe curata come tale, bensì ricondotta a una specifica patologia. Può infatti costituire un sintomo di depressione oppure di un disturbo d’ansia, come quello da attacchi di panico. Quando l’ansia è patologica va trattata; in genere si utilizzano farmaci antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) o anche inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI). Il tipo di farmaco SSRI o SNRI da somministrare dipenderà dal disturbo in questione. L’impiego di trattamenti ansiolitici come le benzodiazepine dovrà essere limitato nel tempo, onde evitare fenomeni di dipendenza. In alcuni casi è possibile utilizzare il buspirone o il bupropione che sotto questo profilo sembrerebbero più sicuri.

[C.M., J. S., E.D. N.]