Perché non devi per forza essere felice a Natale
Se il pranzo di Natale ti mette ansia e la fine dell’anno si prospetta come un’impietosa resa dei conti, fermati un attimo. Non devi recitare per forza il copione sociale delle feste e cadere nel divario emotivo tra ciò che senti e ciò che i social, i film e le riunioni familiari ti mostrano. Tristezza e malinconia sono sentimenti legittimi e hanno bisogno del loro spazio

Ci risiamo: c’è chi tra regali, addobbi e cene dalla vigilia sente risvegliarsi l’entusiasmo dell’infanzia e chi invece preferirebbe andare a letto per risvegliarsi il 7 gennaio. Tutte emozioni legittime. Il problema è quando tu sei nel mood triste ma attorno a te senti una forte “pressione alla felicità” e il dovere di recitare il copione sociale delle feste natalizie.
«In questo caso, la tristezza raddoppia perché la fatica psicologica del Natale spesso non è nella tristezza in sé, ma nel peso schiacciante del giudizio che le riversiamo addosso», spiega Angela Persico, psicologa clinica e di comunità che fa parte della rete Doctolib.
«Siamo immersi in una narrazione di felicità obbligatoria che trasforma emozioni normali in fonte di disagio». Perché succede? E come possiamo liberarci dai condizionamenti sociali per lasciarci andare liberamente alle nostre naturali emozioni?
A Natale il peso del copione sociale
Per prima cosa, un po’ di contesto: il Christmas Blues, cioè il disagio emotivo che si prova durante le feste, colpisce un terzo degli italiani secondo i dati di una recente ricerca di Human Highway per Assosalute. La fascia 25-44 anni prova ansia e stress per gli obblighi familiari e i preparativi, gli over 65 virano più verso la malinconia e, trasversalmente all’età, le donne sono le più colpite, il 42% contro il 29 degli uomini. Fin qui i dati.
La sostanza però sta nel fatto che le sensazioni negative, spesso, sono amplificate esponenzialmente dallo scarto tra come ci sentiamo e come “dovremmo” sentirci. «Il dolore scaturisce dalla frattura tra il nostro mondo interno, autentico, e il copione di felicità obbligatoria che la società ci consegna a dicembre», spiega l’esperta.
Quando intorno a noi tutto sfavilla ma dentro siamo tristi, o anche solo un po’ malinconici, per una storia d’amore finita, un figlio lontano, un lutto recente, un anno pesante o anche solo un periodo no, è come se si attivasse un “giudice interiore” che bandisce le emozioni negative, sebbene legittime, perché considerate "fuori luogo". Il paradosso è che questo “divario emotivo”, questa pressione verso la felicità, le accentua ancora di più.
L’insidia del “Natale editato”
A peggiorare le cose è la narrazione del Natale che avviene attorno a noi. Le piattaforme streaming si riempiono di canali dedicati alle feste, tutti film con trame semplici e ovviamente a lieto fine; altrettanto le playlist di Spotify, con le voci di Mariah Carey e Michael Bublé; i social ci propongono a ogni scroll tavole perfette, paesaggi da favola e famiglie felici.
«È il “Natale editato”, dove ogni momento è un highlight, ogni relazione è armoniosa, i conflitti tacciono, le assenze sono colmate e la felicità è uniforme. Il confronto del nostro dietro le quinte con il palcoscenico altrui è impietoso».
In più, Natale e la fine dell’anno sono il momento della resa dei conti, uno spartiacque tra l’anno passato e quello che verrà, un periodo di ricordi non per tutti felici.
«Ancora più esposto e vulnerabile è chi è insoddisfatto della propria vita oppure ha vissuto lutti, separazioni o momenti difficili come l’attesa di un figlio che non arriva; chi non è riuscito a rientrare a casa per le feste ed è lontano dalla famiglia, chi è in difficoltà economiche e non può affrontare l’obbligo implicito di regali, ceste e cene».
Strategie per sopravvivere al Natale
Prendersi il proprio tempo, sottrarsi al superfluo, non sentirsi obbligati a fare ciò che gli altri si aspettano è la prima cosa. Nonostante ciò, possono verificarsi situazioni in cui queste emozioni rischiano di prendere il sopravvento. Un grande classico è la domanda scomoda alla cena della vigilia.
«Le riunioni familiari sono il campo minato perché proprio qui si riattivano copioni antichi: ruoli infantili, aspettative di conformità, paragoni», dice Persico. «Le domande del tipo “A quando un bambino?” o il commento sul fratello che ha ottenuto la promozione sono modi per riaffermare gerarchie e aspettative. La strategia non è trovare la risposta perfetta, ma proteggere il proprio spazio emotivo, disinnescando e reindirizzando la conversazione altrove».
Per tutto il resto, valgono poche semplici regole: imparare a dire “no” pensando che in quel momento stai dicendo “sì” al tuo benessere; ridurre lo “scroll automatico” ricordandosi che quei post non rappresentano vite reali ma pochi momenti “messi in scena”; crearsi dei propri rituali del Natale, su misura dei propri sentimenti e senza sentirsi in colpa perché non conformi a quelli che la società ci impone.
«La via d’uscita non è lottare per sentirsi diversi», conclude la psicologa. «Ma riconoscere ciò che si prova con gentilezza e autenticità».
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