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Joyspan, come vivere con gioia dopo i 50 anni

Il termine inglese è stato coniato apposta per sottolineare l’importanza di coltivare la positività dopo i 50 anni. Ecco i segreti per godersi l’avanzare dell’età e sorridere di più

Foto: iStock



L'Italia è tra i Paesi al mondo con l’aspettativa di vita più elevata: 81,4 anni per gli uomini e 85,5 per le donne. Lo dicono le statistiche, ma basta guardarsi intorno per vedere quanti nonni ci sono. Pensando al futuro che ci aspetta e al presente dei “nostri” vecchi, (la mamma, il papà, la zia) viene da festeggiare, ma poi rifletti e il sorriso si spegne. Perché al trionfo della longevità raramente corrisponde un lungo periodo trascorso in buona salute. Come dire: abbiamo parecchi anni a disposizione, ma quanti di noi riusciranno a passarli stando bene?

Dello scarto tra “aspettativa di vita” e “aspettativa di salute” si parla da tempo. La prima è un dato di fatto, la seconda è un desiderio, un traguardo a cui tendere. E lo stesso vale per un terzo tipo di sguardo sul domani: l’aspettativa di gioia. Per definire questo aspetto chiave, Kerry Burnight, ex docente di medicina geriatrica all’Università della California, ha coniato il termine “joyspan”, che è anche il titolo del suo ultimo libro Joyspan: the Art and Science of Thriving in Life’s Second Half (Joyspan: l’arte e la scienza di prosperare nella seconda metà della vita).

Il punto di partenza? L’invecchiamento non comporta necessariamente un aumento della tristezza. Imparare a essere positivi, allungando l’aspettativa di gioia, è possibile. Per fare chiarezza, abbiamo intervistato Giulia Griselli, psicoanalista e psicologa dell’invecchiamento.


Che legame c’è tra salute e gioia?

«Di sicuro quando si sta bene fisicamente è più facile mantenere intatte le risorse energetiche e creative che aiutano a preservare un livello di vita gratificante. Ma il detto “l’importante è la salute” non basta a renderci felici. Viceversa, nonostante gli acciacchi, ci sono anziani che riescono a conservare uno sguardo luminoso sul mondo».


Una questione soggettiva, quindi...

«In parte sì: le persone che, per indole e per esperienze vissute, hanno un approccio alla realtà positivo e consapevole, che si traduce in resilienza di fronte agli ostacoli, conquisteranno un’aspettativa di gioia maggiore. Anche perché saranno portate a mettere in pratica tutte quelle piccole azioni quotidiane in grado di continuare a migliorare la qualità della loro esistenza».


Se sei positivo, hai più probabilità di vivere a lungo?

«Sì, secondo alcuni studi, una certa attitudine nell’affrontare gli imprevisti aumenta la probabilità di poter contare su un sistema immunitario più efficiente, risentendo meno dello stress che è concausa di malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Oltre a mantenere abitudini sane, come tenere sotto controllo la propria salute, mangiare bene e muoversi con regolarità, occorre non trascurare i gesti quotidiani che possono rendere più gioiosa la vita».


Quali gesti hanno questo potere?

«Non esiste una ricetta valida per tutti. Ma più passano gli anni più è utile avere una routine da rispettare: c’è chi trae beneficio da una passeggiata nel parco, chi va al cinema, a teatro o in biblioteca a caccia di libri, chi fa la piega dal parrucchiere o si ritrova a bere un caffè con le amiche. Sono azioni di autocura semplici, capaci di nutrire la joyspan».


A proposito di amici, quanto conta la socialità?

«Moltissimo: le relazioni sono fondamentali in ogni fase della vita ma diventano vitali con l’avanzare dell’età. Al contrario, l’isolamento sociale danneggia la salute fisica e mentale. Coltivare i rapporti già esistenti e, se possibile, stringerne di nuovi, è uno dei modi più efficaci per nutrire l’aspettativa di gioia. Far parte di un tessuto sociale di supporto migliora la qualità della vita: il confronto con i coetanei, lo scambio di esperienze, la possibilità di condividere i problemi aiutano ad accettare con maggiore serenità i cambiamenti inevitabili legati al tempo che passa. Inoltre, avere una rete di relazioni stimola la memoria, l’attenzione, l’empatia e riduce il rischio di depressione e declino cognitivo. In altre parole, la socialità funziona come un farmaco naturale, che allunga e rafforza la joyspan».


Si dice anche di non rinunciare mai a imparare...

«Sono d’accordo. Coltivare interessi favorisce la plasticità neuronale: ogni volta che il nostro sguardo si posa su qualcosa di nuovo, o che la mente si apre a un argomento diverso, i neuroni si attivano e si rafforzano. Non serve affrontare sfide complicate. Può bastare iscriversi a un corso di cucina o di stretching, imparare qualche parola in una lingua straniera, appassionarsi al giardinaggio, cimentarsi con i rebus e i cruciverba. L’importante è non smettere mai di sentirsi “studenti”, con la mente pronta ad apprendere concetti nuovi. È così che il cervello resta vigile, perché l’idea che in vecchiaia i neuroni siano irrimediabilmente perduti è una falsa credenza: in realtà, se stimolati nel modo corretto, continuano a lavorare».


E per chi pensa che sia ormai troppo tardi?

«Esistono opportunità concrete pensate proprio per contrastare questa convinzione. Le università della terza età, per esempio, sono diffuse in molte città italiane e offrono corsi accessibili su vari temi, dall’arte alla storia, dalla musica all’informatica. Sono esperienze che allenano la mente e, al tempo stesso, permettono di socializzare e di sentirsi parte attiva della comunità. Basta avere il coraggio di mettersi alla prova: vedere i propri coetanei cimentarsi con entusiasmo in attività nuove aiuta a superare eventuali timori legati a un po’ di lentezza o a qualche vuoto di memoria».


Un altro pilastro è la capacità di adattamento: è possibile affinarla?

«Con il passare degli anni può sembrare difficile: i cambiamenti di scenario, persino durante una vacanza, risultano stressanti perché vengono meno i propri punti di riferimento. Eppure lo spirito di adattamento è una risorsa preziosa e allenarlo è sempre possibile. Non serve partire per viaggi avventurosi, basta cambiare la strada abituale per andare a fare la spesa o esplorare un quartiere sconosciuto della propria città. Questo stimola la plasticità neuronale e contribuisce a prevenire il declino cognitivo. Un altro training prezioso è il dialogo, cioè confrontarsi con amici e familiari, ascoltare e accogliere punti di vista diversi».


È importante dedicarsi agli altri?

«Cambiare prospettiva da “cosa posso avere” a “cosa posso offrire” fa molto bene. Tutti hanno qualcosa da donare: tempo, ascolto, pazienza, esperienza. Pensiamo ai nonni: chi accompagna i nipoti a scuola e li aiuta con i compiti ritrova un ruolo che restituisce energia e significato. Non è un caso che molti raccontino di essersi riscoperti in questa fase. Ma la generosità non passa solo dai legami familiari: ci si può dedicare al volontariato, dare una mano agli amici in difficoltà, coltivare relazioni di vicinato. Il senso è lo stesso: aprirsi al mondo rafforza la percezione di essere ancora utili. E la nostra vita non smette mai di avere un valore».


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