Se ne sente parlare sempre più spesso, ma pochi sanno davvero cos'è. Il biohacking è una disciplina nata in America (dove peraltro raccoglie anche gruppi dalle posizioni estreme e discutibili) e si occupa del benessere fisico e mentale. È diffuso soprattutto fra certe categorie, come atleti, sportivi in genere e professionisti.
Ma c'è da scommettere che presto avrà seguito anche tra le persone “comuni”, dal momento che l'obiettivo è migliorare la qualità della vita e delle prestazioni. Per conoscere meglio questa tendenza abbiamo rivolto alcune domande a Stefano Santori, coach, biohacker, docente universitario, formatore Coni che segue molti atleti olimpici.
Esattamente, cos'è il biohacking?
«Il biohacking è una disciplina che si basa su un insieme di strumenti, conoscenze, tecniche da utilizzare e mettere in pratica per ottenere le massime prestazioni psicofisiche. Queste vanno dal semplice sentirsi bene e dall’ottimizzazione della salute fino alle iper-prestazioni, che interessano soprattutto persone che devono produrre performance ad alto livello.
Ecco perché il biohacking ha iniziato a diffondersi nel mondo agonistico, tra gli attori di Hollywood o i top manager. Ma, con le dovute proporzioni, si può estendere a ciascuno di noi. Il termine nasce dall'unione delle parole “biology” e “hack” e indica quindi una pratica che permette di hackerare la biologia, cioè di prendere il controllo del proprio sistema biologico, modificarlo e riprogrammarlo secondo le proprie esigenze».
In cosa si differenzia il biohacking da altre tecniche di benessere?
«Innazitutto per l'uso spinto della tecnologia e delle misurazioni. Si utilizzano infatti diversi device che servono a tenere sotto controllo i nostri parametri vitali e ad agire di conseguenza. Oggi abbiamo a disposizione tecnologie wearable, ossia indossabili come smartwatch, sportwatch, fitness tracker e smart ring in grado di monitorare sonno, glicemia, stress, recupero, in maniera estremamente semplice e precisa.
Mentre con analisi rapide (non solo del sangue ma anche di saliva e urina) si possono monitorare i livelli di testosterone, cortisolo, melatonina e di infiammazione. Insomma, tutto parte dai dati che vengono rilevati e in base a questi si adottano le varie strategie. Questo vale per tutti gli ambiti “misurabili” della nostra vita: dal sonno, al metabolismo, all'allenamento fisico, alla nutrizione. Il biohacking è quindi un benessere sartoriale, costruito intorno alla persona e per fare questo si avvale di tutte le tecniche disponibili e di trattamenti specifici».
Qualche esempio?
«Molto comune tra chi pratica biohacking è la red light therapy o fotobiomodulazione. Si tratta di esporsi alla luce rossa e quasi infrarossa emessa da apparecchi a led. Questi ultimi esistono anche per l'uso domiciliare. I benefici, come dimostrano diverse evidenze scientifiche sono diversi: il primo è che aumenta l'energia disponibile per le cellule, che quindi sono stimolate a rinnovarsi. Inoltre la luce rossa ha effetto antinfiammatorio, favorisce il recupero post allenamento, dà sollievo in caso di dolori articolari e muscolari e molto altro ancora.
C'è poi la crioterapia, un trattamento effettuato in una sauna speciale, che sottopone il corpo a temperature che arrivano fino a -130 °C per una durata di circa 3 minuti. È in grado di contrastare le infiammazioni, migliorare il recupero dopo una prestazione sportiva o un infortunio, stimola il metabolismo e la circolazione, favorisce lo smaltimento delle tossine. Sempre più diffusa tra atleti professionisti, la crioterapia negli ultimi anni è in voga anche tra le celebrities che la utilizzano per contrastare l’invecchiamento cutaneo e per restare in forma. Molto gettonate anche le infusioni di cocktail vitaminici o l'auto emoinfusione di ozono e ossigeno: si preleva una piccola quantità di sangue che viene successivamente ossigenata e ozonizzata per poi essere reinfusa».
Che ruolo ha l'alimentazione?
«È strategica. Il biohacking prevede un approccio personalizzato che si basa sulla raccolta e l’analisi dei dati biometrici e metabolici della persona. In base a questi si creano piani alimentari specifici, mirati a ottimizzare la salute e le prestazioni fisiche e cognitive. Questi piani possono includere modifiche nella composizione dei macronutrienti (proteine, carboidrati, grassi: molti biohacker seguono regimi low carb), l’adozione di piani alimentari particolari come la dieta chetogenica. Molta attenzione viene data alla qualità dei cibi, privilegiando la stagionalità, la freschezza, e il tipo di lavorazione che deve essere il più naturale possibile».
Si utilizzano integratori?
«Sì, e anche questi vanno scelti in base alle esigenze individuali. Tra i più utilizzati ci sono resveratrolo, quercetina, fisetina, spermidina, funzionali alla riparazione del Dna e a ridurre il processo di infiammazione cronica responsabile dell’invecchiamento e di patologie come il diabete, la demenza e i problemi cardiovascolari. Le integrazioni sono importanti perché non tutte queste sostanze sono biodisponibili in dosaggi sufficienti».
Da quanto detto finora, però, il biohacking non sembra alla portata di tutti...
«Non è così, perché esistono diversi livelli. Si può iniziare da quello di base, che ognuno può seguire ed eventualmente poi passare a tecniche più evolute con l'aiuto di un esperto. Si comincia ad esempio col fare attenzione ai ritmi sonno-veglia, evitando monitor e dispositivi che emettono luce blu prima di andare a dormire perché interferiscono con il nostro orologio biologico. A questo proposito è meglio coricarsi ed alzarsi presto: in questo modo si stimola la produzione di epitalamina, una molecola riconosciuta per il suo ruolo a favore di longevità e apprendimento cognitivo. È bene poi mangiare almeno due ore prima di coricarsi, rallentare tutte le attività che possono stimolare stress e il relativo cortisolo (non ci si allena mai di notte).
Per quanto riguarda l’alimentazione, un’indicazione valida per tutti è ridurre gli zuccheri evitando quelli semplici, per tenere a bada i picchi glicemici. L'attività fisica è un altro pilastro fondamentale: si può iniziare con i famosi diecimila passi al giorno ed esercizi per allenare anche la forza: è importante integrare sempre attività cardio e potenziamento muscolare. Un altro consiglio per chi parte da zero è sperimentare le tecnologie più semplici ma efficaci, come i dispositivi per il monitoraggio del sonno e dell’attività fisica, che possono fornire dati preziosi per capire come il proprio corpo risponde a diverse pratiche e stili di vita».
Biohacking, un movimento non privo di ombre
1. I primi gruppi di biohacker sono nati alla fine degli anni Ottanta nella Silicon Valley.
2. È difficile dare una definizione univoca del movimento, che è sterminato e diviso in decine di sottogruppi che spesso hanno idee totalmente opposte.
3. Il biohacking a volte viene associato a pratiche non regolamentate o non autorizzate. Queste attività possono comportare seri rischi per la salute, poiché non sono state sottoposte a controlli di sicurezza adeguati.
4. Esistono diverse pratiche estreme: alcuni biohacker scelgono per esempio di impiantare microchip o sensori nel loro corpo per monitorare dati vitali o interagire con dispositivi elettronici. Ancora, l’uso di farmaci non approvati per migliorare le capacità cognitive può avere effetti collaterali imprevedibili, incluso il rischio di dipendenza o danni neurologici.
5. C'è anche chi sperimenta la modificazione fai-da te del proprio DNA utilizzando tecnologie come il sistema CRISPR (si utilizza in ambito oncologico), con effetti a lungo termine ancora sconosciuti.
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