Anoressia NERVOSA , bulimia e altri disturbi del comportamento alimentare

I disturbi del comportamento alimentare nascono da un disagio psicologico (alterato rapporto con il proprio corpo), ma si manifestano con problematiche che sono sia psichiche sia organiche: si tratta infatti di disturbi che, modificando il comportamento alimentare, possono determinare complicanze fisiche molto gravi, a volte mortali. I disturbi del comportamento alimentare, importanti per i profondi […]



I disturbi del comportamento alimentare nascono da un disagio psicologico (alterato rapporto con il proprio corpo), ma si manifestano con problematiche che sono sia psichiche sia organiche: si tratta infatti di disturbi che, modificando il comportamento alimentare, possono determinare complicanze fisiche molto gravi, a volte mortali. I disturbi del comportamento alimentare, importanti per i profondi effetti sull’equilibrio psicologico e sulla vita sociale delle persone, si distinguono in tre tipi: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata (o Binge Eating Disorder). Oltre a queste tre patologie principali esistono forme, e sono le più frequenti, in cui i disturbi “classici” non sono tutti presenti o lo sono in forma “mista” , vale a dire che richiamano ora l’uno ora l’altra delle tre disfunzioni suddette. I disturbi del comportamento alimentare insorgono in genere durante l’adolescenza o nella prima giovinezza (talvolta più avanti negli anni), sono diffusi soprattutto nel genere femminile e nei paesi industrializzati.

L’entità del fenomeno Si calcola che in Italia, tra le donne di età compresa tra 12 e 25 anni (fascia di età più a rischio), 1 su 300 presenti anoressia, 1 su 100 bulimia, 1 su 10 disturbo da alimentazione incontrollata e 6 su 100 una forma di disturbo alimentare non completa.

Da dove nasce un disturbo del comportamento alimentare Come per la maggior parte dei disturbi psichici, sono in gioco molte cause, raggruppabili in tre categorie:

  1. fattori predisponenti (caratteristiche di personalità, presenza di disturbi psicologici, predisposizione biologica, pressione sociale e così via) che creano un’area di vulnerabilità sulla quale possono avere effetto i fattori scatenanti;
  2. fattori scatenanti (semplici avvenimenti della vita, a volte non particolarmente evidenti, cambiamenti adolescenziali, eventi significativi come una separazione o una perdita, una malattia, un trauma o anche il ricorso a diete o l’uso del cibo come risposta allo stress, e così via) che possono precipitare l’esordio di un disturbo del comportamento alimentare;
  3. fattori di mantenimento che contribuiscono al perdurare del disturbo nel tempo (fattori biologici quali l’alterazione di senso di fame o di sazietà, fattori psicologici o sociali e così via).

Questi disturbi, se non curati, hanno la tendenza a persistere nel tempo, per questo è importante riconoscerli e curarli precocemente. Una guarigione completa o parziale è infatti possibile solo in 6 casi su 10 ed è in genere favorita da una diagnosi tempestiva e da una cura adeguata; inoltre, nell’anoressia si riscontra un 5% di mortalità legata a complicazioni organiche o a suicidio. Alla base del trattamento di questi pazienti deve esserci un approccio multidisciplinare, ovvero diretto verso tutti gli aspetti interessati (psichiatrico, internistico, nutrizionale) dal disturbo alimentare. Il primo passo, però, è sempre quello di fare una diagnosi precisa del disturbo, definendone sia le compromissioni a livello dell’organismo, sia le alterazioni del comportamento alimentare. È dunque importante che siano ben conosciute le caratteristiche dei disturbi alimentari e la gravità delle loro complicazioni, considerando che spesso questi ammalati sono refrattari alle cure. Le anoressiche, preoccupate solo di mantenersi magre, rifiutano qualsiasi intervento per paura di ingrassare e non colgono la gravità del problema; le bulimiche considerano spesso il loro disturbo con vergogna e non ne parlano; le pazienti con disturbo da alimentazione incontrollata sottovalutano il proprio problema psichico e lo imputano a semplice mancanza di volontà.

Anoressia nervosa Caratterizzata dal basso peso e dal rifiuto di alimentarsi in modo adeguato, colpisce in prevalenza le adolescenti, ma vi possono essere esordi prepuberali e tardivi.

Si parla di anoressia nervosa in presenza di precise situazioni:

  • perdita di peso rilevante con peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto per età, sesso e altezza, ovvero con indice di massa corporea (IMC= peso in kg : altezza in cm2) inferiore a 17.5 intensa paura di ingrassare anche se si è sottopeso;
  • alterazione del modo in cui la persona “vive” il peso e la forma del corpo (focalizzazione sulla magrezza, insoddisfazione per il proprio corpo, eccessiva influenza del controllo del peso sull’autostima, negazione della gravità della situazione);
  • scomparsa delle mestruazioni (da almeno 3 mesi).

L’anoressia si definisce restrittiva quando si usa solo la restrizione alimentare per raggiungere e mantenere il sottopeso; purgativa (binge/ purging) quando sono presenti abbuffate associate a pratiche evacuative, per esempio il vomito autoindotto e l’abuso di lassativi o di diuretici. Nei più rari casi di anoressia maschile si ha perdita dell’interesse e della potenza sessuale. Nella fase conclamata del disturbo, la vita delle pazienti ruota attorno al raggiungimento di una magrezza sempre più spinta: ci si pesa anche diverse volte al giorno, si controllano tutti i tipi di cibo che si mangiano (a volte escludendo completamente i cibi considerati ingrassanti), si impara a calcolare le calorie di ogni pietanza e si pensa continuamente al cibo, talvolta con comportamenti paradossali tipo cucinare manicaretti per la famiglia senza assaggiarli.

Sintomi psicologici Spesso presenti depressione, facile irritabilità, impoverimento della vita relazionale e sociale, modifiche del carattere; queste ragazze, frequentemente, hanno temperamenti rigorosi e disciplinati, sono brave a scuola e determinate a eccellere in tutte le prestazioni.

Sintomi fisici Perdita del ciclo mestruale, abbassamento della temperatura corporea con necessità continua di coprirsi molto, rallentamento del battito cardiaco e del ritmo respiratorio, abbassamento della pressione arteriosa, episodi di svenimento e sintomi legati alle pratiche evacuative.

Questi problemi si aggravano con la riduzione del peso e possono dare vita a complicazioni reversibili (alterazioni del sangue, del sistema immunitario, del fegato, del pancreas) che si risolvono normalizzando l’alimentazione e il peso; ma anche a disturbi potenzialmente irreversibili (osteoporosi, riduzione della fertilità) o addirittura mortali come alterazioni cardiache (aritmie), digestive (la rottura dell’esofago) o del colon (da abuso di purganti).

Bulimia nervosa Le persone affette da bulimia (dal greco antico “fame da bue”) perdono ripetutamente il controllo della quantità e della qualità del cibo, si abbuffano e cercano poi di eliminare gli effetti di questa esagerata introduzione calorica con purghe, digiuni e aumento dell’attività fisica. Spesso questo disturbo alimentare è vissuto con vergogna e in solitudine e in genere passano anni prima della richiesta di cura. Descritta da sir W. Cullin nel 1772, la bulimia nervosa viene riconosciuta in presenza di:

  • ricorrenti abbuffate (almeno 2 a settimana per 3 mesi);
  • frequente ricorso (almeno 2 volte a settimana per 3 mesi) a vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, clisteri, restrizione grave dell’alimentazione o intensa attività fisica;
  • influenza rilevante della forma fisica e del peso corporeo sull’autostima e sull’ umore.

Come per l’anoressia, si riconoscono una forma purgativa e una non purgativa quando si usano solo comportamenti quali il digiuno e l’esercizio fisico eccessivo. In sostanza, caratteristica fondamentale della bulimia è la messa in pratica di regolari abbuffate, che avvengono anche in assenza di pratiche evacuative. Le abbuffate possono essere scatenate da sensazioni spiacevoli, di solitudine o di noia, oppure da un regime dietetico ristretto, e “agite” in solitudine per il correlato senso di vergogna. Associato spesso alle abbuffate è il digiuno compensatorio: al di fuori dell’abbuffata cioè, le pazienti non mangiano quasi niente o limitano molto la quantità di cibo nel tentativo di seguire un regime restrittivo che consenta una diminuzione di peso. Ne consegue una completa alterazione del senso di fame e di sazietà, e i digiuni “preparano il campo” a nuovi episodi di abbuffate.

La bulimia, se persiste nel tempo, può portare a complicazioni quali carie, aumento di volume delle parotidi, esofagiti, ulcere alla giunzione esofago-stomaco, riduzione della motilità intestinale, abbassamento della pressione arteriosa, aritmie e altro. Può inoltre comparire il cosiddetto segno di Russell, una callosità sul dorso delle mani determinata dal loro sfregamento sui denti e sul palato nel provocarsi il vomito.

Dal punto di vista psicologico, la bulimia è spesso accompagnata a depressione o a un disturbo di personalità.

Cos’è un’abbuffata Due gli aspetti tipici: uno è oggettivo (ingestione in un periodo di tempo di una quantità di cibo decisamente maggiore rispetto agli standard normali), l’altro è soggettivo (sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o non di riuscire a controllare cosa e quanto si sta mangiando).

Si parla di abbuffata soggettiva quando, per esempio, si ha la sensazione di “perdere il controllo” anche per una quantità limitata di cibo, tipo un gelato.

I cibi utilizzati possono essere i più vari, sia “magri” sia “ipercalorici”.


Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder)

Binge è un termine inglese inizialmente utilizzato per indicare “bere smodato” e poi riferito all’alimentazione, negli anni cinquanta del Novecento, dal dottor A.J. Stunkard della University of Pennsylvania, il quale aveva notato la presenza di “abbuffate” in pazienti obesi. Caratterizzato dalla presenza di abbuffate e dall’assenza di pratiche di compenso (vomito, lassativi), nella maggior parte dei casi si associa all’obesità, ed è spesso responsabile dell’incapacità di questi pazienti a seguire diete restrittive.

Il disturbo viene riconosciuto in presenza di:

  • episodi ricorrenti di “abbuffata” per 2 giorni la settimana, in un periodo di 6 mesi;
  • condizioni quali mangiare molto più rapidamente del normale, mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni, mangiare molto anche se non ci si sente affamati, mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per la quantità di cibo che si sta ingerendo, provare disgusto verso se stessi, sentirsi depressi o molto in colpa dopo le abbuffate;
  • marcato disagio per gli episodi di abbuffata.

Come per gli altri disturbi alimentari, i pazienti (spesso depressi) sono sempre fortemente preoccupati per il cibo, il peso e la forma del proprio corpo che tendono a percepire come molto più grasso di quanto non sia in realtà con conseguente profondo disagio.

Quali terapie per i disturbi del comportamento alimentare? I disturbi del comportamento alimentare possono essere curati e avere buone prospettive di guarigione solo se affrontati precocemente e in modo adeguato. La terapia più indicata è quella che prevede l’intervento di un team “multidisciplinare” (medico internista, psichiatra, psicologo, dietologo) perché permette di affrontare tutte le aree interessate da questi disturbi.

L’obiettivo è molteplice: ristabilire la salute dell’organismo, motivare i pazienti alla cura, ristabilire un ritmo alimentare adeguato che consenta sia l’eliminazione del sintomo sia il ripristino del peso normale e, infine, indagare sulle cause psicologiche alla base del disturbo del comportamento alimentare.

Dal momento che le teorie sulle cause psichiche di questi disturbi sono numerose, anche le cure sono diverse: terapia cognitivo-comportamentale (molto diffusa), terapia familiare (in pazienti molto giovani) e terapia psicodinamica. I farmaci (non ne esistono di indicati ufficialmente per il trattamento dell’anoressia e del disturbo da alimentazione incontrollata, mentre per la bulimia è usata la fluoxetina) possono essere di aiuto se inseriti nel contesto di un progetto di cura multidisciplinare e pare possano ridurre il rischio di ricadute.

I farmaci possono invece essere utili per trattare la depressione, che spesso è presente in questi pazienti. [E. M.]