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Terapia nutrizionale: la strategia che allontana la dialisi

Una recente indagine ha mostrato che una dieta personalizzata, se seguita con costanza e sotto controllo medico, può ritardare l’inizio della dialisi e migliorare sensibilmente la qualità di vita nei pazienti con malattia renale cronica



Non è una bacchetta magica, né una nuova pillola miracolosa. È la forchetta – sì, quella che usiamo ogni giorno – a dimostrarsi uno strumento potente per la salute dei nostri reni. Sembra sorprendente, ma è la realtà: seguire una dieta su misura può ritardare l’appuntamento con la dialisi per chi soffre di malattia renale cronica, migliorando allo stesso tempo la qualità di vita.

Lo conferma una recente indagine realizzata dall’Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto APS (ANED), che ha coinvolto 180 pazienti in Lombardia: oltre il 70% ha ricevuto indicazioni nutrizionali durante il percorso di cura e, tra questi, ben il 40% considera la dieta altrettanto efficace – se non più – delle terapie farmacologiche.

Eppure, questa strada è ancora poco battuta. Solo nel 30% dei casi il piano alimentare viene elaborato da un team specializzato, che affianca il nefrologo a un dietista. E quasi un paziente su tre non sa nemmeno quale tipo di dieta stia seguendo: segno che c’è ancora molta strada da fare nella comunicazione tra medico e paziente. Ma cos’è la terapia nutrizionale? Come funziona? E perché può diventare uno strumento così prezioso nella gestione di una malattia che colpisce milioni di italiani, spesso in modo silenzioso?

Cos’è la terapia nutrizionale

«La terapia nutrizionale non è una semplice dieta, ma un percorso personalizzato di cura attraverso l’alimentazione», spiega il professor Antonio Santoro, direttore del Comitato scientifico dell’Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto APS. «In pratica, si tratta di adattare in modo preciso e scientifico ciò che si mangia in base alle esigenze della persona e alla fase della malattia». L’obiettivo principale è alleggerire il lavoro dei reni, riducendo l’accumulo di sostanze che l’organismo non riesce più a eliminare da solo.

Il principio cardine è la riduzione dell’apporto proteico, che si accompagna – a seconda dello stadio della malattia – anche alla limitazione di sodio, fosforo, potassio e, in alcuni casi, liquidi. La sforbiciata alle proteine si basa su precisi meccanismi fisiologici: questi nutrienti, una volta metabolizzati, producono scorie azotate – come urea, creatinina e acido urico – che devono essere eliminate attraverso l’urina.

«Nei soggetti con funzione renale ridotta, queste sostanze si accumulano nel sangue, contribuendo allo sviluppo della cosiddetta uremia, con conseguenze su diversi organi e sistemi», avverte l’esperto.

Perché ridurre le proteine

In una persona sana, il fabbisogno proteico si aggira attorno a 1 grammo per chilo di peso corporeo al giorno. Ma quando la funzione renale inizia a declinare, si interviene gradualmente, riducendo prima a 0,8 grammi/kg, poi a 0,6 g/kg, fino a 0,3 g/kg nei casi più avanzati, sempre sotto stretto controllo medico.

«Queste restrizioni vanno sempre bilanciate con l’introduzione di chetonaloghi, sostanze che mimano gli amminoacidi ma sono prive di azoto, per cui consentono di preservare lo stato nutrizionale senza sovraccaricare i reni», indica il professor Santoro.

L’obiettivo è duplice: da un lato rallentare la progressione della malattia renale cronica, dall’altro evitare la malnutrizione proteico-calorica, una delle complicanze più frequenti nei pazienti con insufficienza renale avanzata.

I benefici di una dieta ipoproteica

Numerosi studi clinici e meta-analisi hanno dimostrato che una corretta restrizione proteica può ritardare significativamente l’ingresso in dialisi, con un guadagno medio di tempo che può variare da 6 mesi fino a 2-3 anni. Un risultato tutt’altro che trascurabile, considerando l’impatto fisico, psicologico ed economico della terapia sostitutiva della funzione renale.

Ma i vantaggi di una dieta ipoproteica non si esauriscono qui. «Una delle conseguenze più rilevanti», tiene a precisare l’esperto di ANED, «è la diminuzione della pressione all’interno dei glomeruli, le strutture microscopiche deputate alla filtrazione del sangue, che si traduce in una minore perdita di proteine attraverso le urine, condizione nota come proteinuria». Allo stesso tempo, la produzione di scorie azotate si riduce sensibilmente, con un miglioramento dell’acidosi metabolica e dei sintomi legati all’accumulo di tossine nel sangue.

Un altro effetto positivo riguarda la regolazione del fosforo: un minor consumo proteico aiuta infatti a limitarne l’introduzione, contribuendo a prevenire le calcificazioni vascolari e i danni alle ossa, complicanze comuni nei pazienti con funzione renale ridotta. «Anche il controllo del potassio risulta facilitato, aspetto particolarmente importante per evitare alterazioni dell’attività cardiaca», aggiunge l’esperto.

Il ruolo del sodio e degli altri nutrienti

Nella malattia renale cronica non è solo la quantità di proteine a dover essere controllata. Anche l’assunzione di sodio ha un ruolo centrale, soprattutto nei pazienti ipertesi, perché un eccesso di questo minerale può aggravare la pressione arteriosa e favorire la ritenzione di liquidi. Negli stadi più avanzati della malattia, si rende necessario monitorare attentamente anche il fosforo, il potassio e in alcuni casi il calcio, per prevenire squilibri metabolici e complicanze cardiovascolari.

Anche l’introduzione di liquidi deve essere personalizzata. «Prima dell’avvio della dialisi, la quantità di acqua da bere deve essere proporzionata alla diuresi residua, cioè alla quantità di urina prodotta in 24 ore», precisa l’esperto.

Per esempio, se un paziente urina un litro al giorno, è consigliabile bere circa un litro di acqua. In alcune condizioni specifiche – come nel rene policistico – può essere indicato un apporto idrico maggiore, ma sempre sotto supervisione medica.

Il rischio di fare da soli

Seguire una dieta ipoproteica non significa semplicemente “mangiare meno carne”. Bisogna  conoscere il contenuto proteico degli alimenti, bilanciare i nutrienti in modo corretto e, soprattutto, evitare la malnutrizione, che può aggravare la condizione del paziente molto più rapidamente. «Per questo motivo, è fondamentale che la terapia nutrizionale sia prescritta e seguita da un team multidisciplinare, formato da nefrologi e dietisti esperti in nutrizione clinica», raccomanda il professor Santoro.

Molti ospedali e centri di nefrologia dispongono di ambulatori dietetici specializzati, ma dove questi non siano presenti esistono iniziative come quella promossa da ANED, che offre il servizio di Dietista Online: un supporto gratuito, accessibile tramite il sito ufficiale dell’associazione, dove è possibile ricevere una consulenza dietetica personalizzata anche a distanza.

L’importanza dell’adesione alla terapia nutrizionale

Una delle maggiori sfide nella gestione nutrizionale della malattia renale è l’aderenza alla dieta nel lungo periodo. Cambiare le abitudini alimentari richiede motivazione, consapevolezza e continuità.

«È normale che i pazienti abbiano momenti di difficoltà, specialmente quando la dieta deve essere seguita per anni», ammette il professor Santoro. «Per questo è essenziale un monitoraggio regolare, sia attraverso gli esami del sangue sia con controlli periodici. Anche piccole deroghe possono essere ammesse, se ben gestite, senza compromettere l’efficacia complessiva del percorso terapeutico».

La terapia nutrizionale rappresenta una strategia di prevenzione secondaria altamente efficace, che – in combinazione con i nuovi farmaci nefroprotettivi e il controllo dei principali fattori di rischio (ipertensione, dislipidemia, acidosi) – consente di ritardare significativamente l’evoluzione verso la dialisi in molti pazienti.

«L’obiettivo dei nefrologi, oggi, non è solo curare, ma anche educare i pazienti a una maggiore consapevolezza alimentare, rendendoli partecipi e protagonisti del proprio percorso di cura», conclude l’esperto. «Ogni pasto può diventare un atto terapeutico. E in molti casi, decidere cosa mettere nel piatto è già scegliere di proteggere il proprio futuro».


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