Mindful eating, come ritrovare un rapporto sereno e naturale con il cibo
Scopri il mindful eating e ripristina il tuo rapporto intuitivo e consapevole con il cibo. Ecco i benefici di questo approccio e i consigli pratici per riconnetterti al tuo benessere a tavola
di Alessandra Litrico
In un mondo sempre più frenetico e distratto, regolarsi grazie a un'alimentazione intuitiva, libera dalla cultura della dieta e senza regole fisse, sembra una sfida. Ma la soluzione è a portata di mano: risiede nella tua consapevolezza e si chiama mindful eating.
Abbiamo intervistato la dottoressa Giulia Pelini, psicologa, psicoterapeuta e mindful eating trainer. Con lei esploriamo la psicologia della fame e della sazietà, per capire come il mindful eating possa aiutarti a riconnetterti con i segnali del tuo corpo. Scopri qui in che consiste, quali sono i benefici psicologici del mindful eating e come iniziare il tuo percorso verso il benessere a tavola, trasformando il tuo modo di vivere il cibo.
Dottoressa, in che cosa consiste il mindful eating e come può aiutarci a ritrovare quell'intuito alimentare che a volte sembra smarrito?
«Il mindful eating (dall’inglese: mangiare consapevole) è un’abilità che si sviluppa attraverso la pratica meditativa continua, in contesti clinici e di gruppo, che fa capo al protocollo MB-EAT (Mindfulness Based – Eating Awareness Training). Quest’ultimo è una variante delle terapie MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) e ha come finalità lo sviluppo di una relazione più consapevole e non giudicante con l’alimentazione e con il proprio corpo.
Si basa sul principio per cui, restando ancorati al momento presente ed entrando in contatto con le proprie emozioni, pensieri e sensazioni in modo non giudicante, ogni persona possa sviluppare capacità di controllo e regolazione degli impulsi, imparando a capire maggiormente ciò di cui il corpo ha bisogno per nutrirsi, in modo intuitivo e genuino, senza dover ricorrere necessariamente a una dieta specifica per perdere o mantenere il peso ideale.
L’approccio si basa sulla teoria per cui le persone non nascono sprovviste di questo intuito, semplicemente col tempo lo perdono per motivi sociali, biologici, evolutivi e culturali, essendo poi costrette a ricorrere a diete specifiche per dimagrire o semplicemente per capire quali alimenti vanno bene per il loro corpo e quali no. Il protocollo MB-EAT può aiutare a ritrovare questa capacità perduta, tornando ad ascoltare i segnali fisici ed enterocettivi e osservando l’atto del mangiare in modo curioso, come se lo stessimo approcciando per la prima volta».
In che modo la costante esposizione a stimoli esterni e la velocità della vita moderna possono alterare la nostra percezione della fame e della sazietà? Qual è il ruolo del mindful eating in questo contesto, per aiutarci a riprendere il controllo?
«Nell’epoca in cui viviamo si parla spesso di velocità, stress, di avere poco tempo libero e di sentirsi dediti obbligatoriamente alla produttività. Questo stile di vita frequentemente conduce a una perdita di contatto con il sé, con il proprio corpo e con la propria mente, che invece richiedono uno spazio di ascolto continuo, un tempo in cui ci si ferma e ci si focalizza sull’essere presenti a sé stessi nel qui e ora, sul respirare, e non sul raggiungere obiettivi o risultati, per quanto anche questo aspetto sia altrettanto importante.
In questa frettolosità, spesso ci si dimentica di chiedersi “come sto?”, “di cosa ho bisogno?” o “perché lo sto facendo?”, proprio perché ci si sente di non avere il tempo per rifletterci, come se ci fossero sempre altre priorità. Per questo motivo, anche la percezione dei segnali di fame o sazietà che il corpo ci manda, dal momento che non vengono attenzionati, nel lungo periodo sono sempre più difficili da riconoscere, fino in alcuni casi a perderne completamente il controllo.
Il mindful eating, in questo senso, stimola a rallentare ed è già solo rallentando che iniziamo a notare che, ad esempio, se la pancia brontola è perché ho fame o se le pareti dello stomaco sono dilatate è perché devo smettere di mangiare. Con la velocità tutti questi dettagli sfumano e alla fine ci si ritrova a perdere l’attenzione e ad arrivare a fine giornata che non ci si ricorda nemmeno cosa si è mangiato a pranzo».
Come possiamo imparare a distinguere tra la fame emotiva e quella fisica? Quali sono i segnali a cui prestare attenzione per imparare ad ascoltare il nostro corpo?
«La fame emotiva (o fame nervosa) si distingue dalla fame fisica proprio grazie alla capacità di riconoscere i segnali che il corpo ci manda. Questa capacità si acquisisce fermandosi, mettendosi in ascolto e facendosi domande del tipo: “perché sono davanti al frigo? Ho lo stomaco che brontola oppure sono solo annoiato o triste?”. Solitamente quando si ha fame fisica si ha la sensazione dello stomaco vuoto che gorgoglia o brontola e si mangerebbe di tutto (a differenza di quando si ha gola). Quando si è a questo punto, significa che è il momento di mangiare.
In alcuni casi, quando si ha tanta fame, si può provare nausea, mal di testa o addirittura uno stato confusionale. È consigliabile arrivare al momento del pasto quando iniziamo a sentire che lo stomaco chiama, meglio evitare di essere eccessivamente affamati. La fame emotiva, invece, non scaturisce dai segnali biologici del corpo, ma dal semplice bisogno di coccola, di un premio o di consolarsi inducendosi piacere attraverso il cibo. In particolare, questa si attiva quando proviamo un’emozione (positiva o negativa) alla quale associamo l’atto del mangiare, senza essere effettivamente affamati».
Quali sono i principali benefici psicologici del mindful eating?
«I benefici della pratica sono innumerevoli, come ad esempio la possibilità di ridurre stress e ansia, migliorando il proprio stile di vita e mangiando in modo più equilibrato rispetto alle proprie esigenze. Il mindful eating permette anche di rendersi consapevoli dei segnali di fame e sazietà, imparando a decidere quando iniziare e smettere di mangiare, eliminando il senso di colpa e apprezzando maggiormente il cibo senza sentire la necessità di abusarne.
Inoltre, consente di godere di più dei momenti di convivialità senza stress o colpa per ciò che si sta mangiando, sviluppando maggiormente le proprie capacità sensoriali ed enterocettive. Con la mindful eating si diventa più capaci di ascoltare il proprio corpo e di esercitare un maggiore controllo sulle proprie emozioni, riducendo gli impulsi al mangiare disregolato. Ciò permette di evitare gli sprechi e di sperimentare un sentimento di gentilezza verso di sé, oltre che di gratitudine verso il cibo che ci nutre».
Come iniziare un percorso di riconnessione con il cibo attraverso il mindful eating?
«La prima cosa da fare è iniziare a prendere confidenza con la pratica di meditazione pura, che sia attraverso dei corsi di gruppo o individualmente. All’inizio potrebbe risultare frustrante o noioso concentrarsi sul proprio respiro e ritagliarsi ogni giorno dei brevi momenti per meditare, ma nel lungo periodo l’allenamento restituisce dei grandi benefici, sia fisici che mentali. Ci sono molti esercizi anche sul web da cui prendere ispirazione.
La seconda cosa utile è provare a fare ogni giorno almeno un pasto consapevole, ossia prendersi il tempo necessario per cucinare e mangiare, mettere da parte tutti i dispositivi elettronici e portare tutta l’attenzione sul cibo che si ha davanti, utilizzando i cinque sensi per esplorarlo: udito (provare ad ascoltare il rumore che fa il cibo mentre lo mastico), tatto (testarne con mano la consistenza), olfatto (odorare il piatto, distinguere tra i vari profumi), gusto (assaporare ogni boccone, darsi il tempo di masticare lentamente) e vista (osservare i colori e le forme del cibo così come si presenta).
Ogni momento è buono per meditare e riconnettersi con sé stessi. Più si fa pratica e più si diventa abili a mangiare consapevolmente senza esagerare e godendo appieno dei pasti».
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