di Alessandra Litrico
Capita a tutti di sperimentare la fame emotiva, che spesso arriva per soddisfare un bisogno emotivo o un vuoto da colmare. Dal momento che si tratta di una circostanza abbastanza comune, ciò non significa che sia da ricondurre a un fenomeno patologico. Concedersi saltuariamente ricompense alimentari rappresenta una scelta sana, ma se diventa una routine può trasformarsi in qualcosa di dannoso.
Il problema si pone quando l’uso del cibo per rispondere a un disagio psicologico, per soddisfare un bisogno emotivo o per colmare un vuoto diventa la strategia principale utilizzata. Per questo viene chiamata fame emotiva o fame nervosa.
Scopriamo, insieme alla psicologa e psicoterapeuta Loriangela Sena, specializzata in psicologia clinica, quali sono le emozioni più comuni nascoste dietro la fame emotiva, i segnali da non sottovalutare, le strategie per superarla.
Dottoressa Sena, quali sono le emozioni o i conflitti interiori che solitamente si celano dietro il bisogno di mangiare anche quando non si ha fame fisiologica? Potrebbe farci qualche esempio concreto di come queste emozioni si manifestano nel rapporto con il cibo?
«Ipotizziamo di avere appena avuto una discussione pesante con una persona che ci sta a cuore. Ci sentiamo tesi, arrabbiati e frustrati e, mentre usciamo di casa, decidiamo di entrare in una pasticceria. A quel punto, possiamo decidere di sederci a un tavolino, ordinare un pasticcino e gustarcelo in tutta calma, insieme a una tazza di tè, con l’intento di vivere quel momento come una piccola pausa, senza percepire l’esigenza di voler risolvere il problema.
Al contrario, invece, subito dopo la discussione, potremmo entrare nella stessa pasticceria, ordinare un dolcino, ma mangiarlo in fretta e furia come se qualcosa ci stesse divorando, ingurgitarlo talmente velocemente da non riuscire a sentirne neppure il sapore. Dopo aver mangiato ci sentiamo in colpa, frustrati, e il problema oggetto della discussione ci fa provare rabbia.
In questo secondo caso, abbiamo usato il cibo in modo consolatorio o, meglio, con l'illusione che ci potesse consolare. Avevamo un'emozione forte di rabbia e frustrazione dovuta al litigio intervenuto e per gestire quelle emozioni abbiamo scelto una via "veloce", cioè abbiamo pensato che mangiare un dolce potesse farci sentire meglio, perché l’atto del mangiare è fonte di piacere. In pratica, abbiamo aggiunto all'emozione di rabbia per la discussione un senso di colpa per il cibo ingerito e, nel tentativo di gestire le emozioni con il cibo in modo veloce, abbiamo peggiorato le cose».
Dato che il cibo diventa un rifugio o un modo per colmare un vuoto, qual è il meccanismo psicologico che porta a questa associazione tra cibo ed emozioni?
«Come diceva spesso il giornalista olandese Peter De Vries, "l'ingordigia è un rifugio emotivo: è segno che qualcosa ci sta divorando". La fame emotiva arriva periodicamente e non è continuativa nel tempo. Ha una funzione consolatoria e psicologica. Spesso arriva come un attacco improvviso e non graduale ed è strettamente connessa a uno stato d’animo che proviamo. Si presenta in caso di noia, stress, solitudine, tristezza o rabbia.
Si mangia perché si confonde il desiderio di conforto con il vero appetito, con l'illusione che il cibo possa fungere da conforto e possa farci stare meglio. Non si tollera la frustrazione derivata dall'emozione che si sta provando in quel momento e quindi si cerca una strada veloce per prenderne le distanze. C'è una perdita di controllo momentanea, un momento in cui ci allontaniamo dal problema, cercando di colmare un vuoto che non vogliamo sentire tramite l’assunzione di cibo, il più delle volte molto calorico.
Di solito, però, dopo aver assunto del cibo segue sempre un senso di colpa perché, dopo aver mangiato, il problema o l'emozione che aveva generato il desiderio di mangiare è ancora lì: la sensazione di appagamento ha vita breve e il senso di colpa dopo l’abbuffata deriva dall’avere ceduto a un impulso irrazionale».
Ci sono delle fasi o dei momenti particolari della vita in cui si è più vulnerabili a sviluppare questo tipo di comportamento?
«La fame emotiva tende a manifestarsi con maggiore intensità in alcune fasi della vita o in momenti particolari, come transizioni importanti: l'adolescenza, la gravidanza, la menopausa, cambiamenti di vita come pensionamenti o cambi di carriera. Ogni tipo di cambiamento che porti a sperimentare un vuoto può essere un momento sensibile per avere attacchi di fame nervosa.
Anche momenti di forte stress come lutti, separazioni, momenti di solitudine, ansia e depressione, possono spingere a ricercare nel cibo un compagno ideale con cui colmare il vuoto derivante da questi momenti di stress. Inoltre, anche la privazione dal sonno può comportare attacchi di fame nervosa».
Quali sono i primi segnali o campanelli d'allarme a cui prestare attenzione?
«La fame nervosa nasce quando confondiamo il desiderio di conforto con il vero bisogno di mangiare. Bisogna quindi imparare a distinguere per prima cosa la fame emotiva dalla fame fisiologica. La fame fisiologica è necessaria alla nostra sopravvivenza e lo stimolo della fame arriva in modo graduale e non improvviso, come accade invece nella fame emotiva.
Durante un attacco di fame nervosa si mangia in modo automatico e senza pensare, dopodiché, a fine pasto, arriva puntuale un senso di colpa che, nel caso della fame fisiologica, non è presente. La fame emotiva si distingue proprio per il suo carattere d'urgenza, bisogna soddisfarla subito e di solito si cercano cibi molto ricchi di zuccheri o grassi, il classico cibo spazzatura che offre una gratificazione immediata.
La fame fisiologica invece non è improvvisa e ci consente di pianificare i pasti in modo salutare e terminare con un senso di appagamento e sazietà, cosa che invece non accade in caso di attacchi improvvisi di fame emotiva».
Quali strategie o approcci psicologici possono essere efficaci per gestire e superare la fame emotiva? Ci sono esercizi pratici o tecniche di consapevolezza da applicare nella quotidianità?
«Di norma possiamo chiederci perché vogliamo mangiare. Se abbiamo mangiato da poco, questo può rappresentare un indizio di fame emotiva. La seconda domanda da porsi è: perché ho bisogno di mangiare? E ancora: mangio perché sono in preda a forti emozioni? Qual è il mio stato d'animo? Sto mangiando per calmarmi e concedermi un premio?
È fondamentale mettersi in ascolto di sé stessi. Osserviamo, quindi, le nostre emozioni, ciò che sentiamo a livello fisico, corporeo, e cerchiamo di dare un nome a quello che proviamo in quel momento.
L’abbuffata nasce nel momento in cui ho il pensiero di dirigermi verso il frigorifero, non tanto nel momento in cui lo apro concretamente. È possibile quindi che, se riconosciamo l'emozione e il pensiero che anticipano l'azione, possiamo decidere di non avvicinarci al frigorifero e scegliere attività alternative, piacevoli, che ci possono consentire di imparare a gestire e regolare le nostre emozioni in modo costruttivo.
Ad esempio, potremmo fare una passeggiata, dedicarci all'esercizio fisico o a qualche hobby e, meglio ancora, alla meditazione. Anche inserire routine alimentari salutari ed equilibrate può essere d'aiuto a evitare i picchi di fame improvvisi. In poche parole, bisogna prendere consapevolezza: identificare le condizioni e le situazioni in cui arriva lo stimolo della fame emotiva. Porsi delle domande, come, per esempio: quanto tempo fa abbiamo consumato l'ultimo pasto? che tipo di cibo stiamo ricercando e perché in quel momento mangiare dovrebbe aiutarci? Capire, quindi, l'emozione sottostante e provare a soddisfarla in modo più salutare.
È possibile che lo stimolo della fame sia fittizio e scompaia dopo qualche minuto, così come è possibile che con un po’ di "allenamento" si instauri una nuova risposta agli eventi che generano la fame nervosa. Inoltre, può essere utile anche tenere un diario in cui annotare, volta per volta, quando arrivano gli attacchi di fame, in quali momenti e perché».
Il rapporto con il cibo è spesso complesso e influenzato da molteplici fattori, inclusi aspetti culturali e sociali. In che modo questi elementi possono contribuire allo sviluppo della fame emotiva?
«Il cibo rappresenta un momento di incontro, quindi ha sicuramente anche una valenza sociale e culturale. Il cibo è scambio, perché già dai primi mesi di vita diventa il modo privilegiato per instaurare un rapporto con la mamma, che allatta al seno il suo piccolo. Con la crescita, il cibo diventa sempre più occasione di incontro e di condivisione. Di conseguenza, ha una valenza positiva non solo come nutrimento fisico, ma anche come nutrimento emotivo, di scambio e di socializzazione. Ne consegue che diventa facile associarlo a momenti positivi e di conforto.
La cosa fondamentale, quindi, è imparare a mettersi in ascolto di sé stessi, decifrare i segnali che manda la nostra psiche tramite il corpo ci invia e, mettersi nella condizione di poter essere in grado di scegliere. Tutti i cambiamenti sono delicati e necessitano di cura e attenzione, quindi anche abbandonare abitudini come le abbuffate e attacchi di fame nervosa richiede tempo. Ritengo che affidarsi all'aiuto di un esperto possa facilitare questi processi e dare un nuovo significato a un vero percorso di cambiamento».
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