Acqua del rubinetto: domande e risposte

La beviamo sempre più spesso, a volte con un po’ di timore. Scopri cosa dicono gli esperti



di Francesca Soccorsi, ha collaborato Rossana Campisi

Siamo tornati a bere acqua del rubinetto, per fare economia ma anche perché gli esperti ci dicono che è fra le migliori d’Europa: «Il nostro livello di conformità alle normative Ue è del 97%», spiega Emanuela Cartoni, direttore dell’area idrico-ambientale di Utilitalia (Federazione di aziende operanti nei servizi pubblici), che nei giorni scorsi ha organizzato a Milano la terza edizione del Festival dell’acqua.


«A preferirla è il 50% degli italiani, una cifra considerevole se si pensa che solo qualche anno fa il dato era fermo al 30%», nota Renato Drusiani, consulente tecnico del settore Acqua e Ambiente della Federazione. Ma possiamo davvero fidarci? Facciamo il punto con gli esperti.


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DA DOVE ARRIVA L’ACQUA CHE BEVIAMO?


In Italia l’acqua potabile è per il 75-80% di falda, quindi proviene soprattutto dal sottosuolo e, in quantità minori, da fiumi e laghi. In quest’ultimo caso, è sottoposta a particolari processi di depurazione», spiega il dottor Raffaele Inderbitzin,tecnologo alimentare, specialista in analisi chimiche degli alimenti e delle acque.


«La sua composizione chimica spesso cambia da zona a zona anche all’interno di una stessa Regione, ma, proprio perché sgorga in gran parte da falde profonde e incontaminate, è di ottima qualità e non inquinata, come ha confermato un autorevole studio interuniversitario realizzato all’interno del progetto europeo Eurogeosurvey geochemistry expert group».

È VERO CHE SUBISCE PIÙ CONTROLLI DI QUELLA IN BOTTIGLIA?


«Sì, perché viene sottoposta a un test doppio: prima da parte del gestore, poi delle Asl competenti », chiarisce Inderbitzin. Le acque destinate al consumo umano, infatti, devono rispondere a precise caratteristiche, regolamentate dal Decreto Legislativo n.31 del 2 Febbraio 2001, che indica i parametri organolettici, microbiologici e chimici da rispettare e fissa i limiti di concentrazione massima ammissibile per alcune sostanze come metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo, arsenico), nitrati e nitriti.


Questi valori, in alcuni casi, sono anche più restrittivi di quelli previsti per il prodotto in bottiglia. «L’acqua viene analizzata ogni giorno da apposite centraline (punti di prelievo) posizionate lungo il suo percorso, partendo dal bacino d’origine e fino alla rete locale; in più, speciali sensori automatici rilevano costantemente eventuali situazioni di rischio, come la rottura di una conduttura», osserva Renato Drusiani di Utilitalia.


«Certo, le verifiche vengono effettuate sulla rete di distribuzione sino al contatore delle abitazioni ma, nelle nostre case, siamo noi (e gli amministratori condominiali) a doverci ricordare di far verificare periodicamente il sistema idrico, quindi le condizioni di tubi, filtri e rubinetti», conclude Inderbitzin.

CI SONO ZONE IN ITALIA IN CUI È POCO SICURA?


«Quando la potabilità dell’acqua è garantita dalle autorità competenti, si può stare tranquilli», rassicura Inderbitzin. Non dobbiamo farci spaventare da notizie che spesso producono un allarmismo ingiustificato. «Una recente inchiesta condotta dalla rivista Altroconsumo nelle principali città italiane, per esempio, ha rilevato concentrazioni eccessive di piombo in alcuni campioni. Ma, nei rari casi in cui questo si verifica, di solito il problema dipende dal fatto che le tubature degli edifici costruiti prima degli anni Sessanta contengono piombo e non dalla rete di distribuzione dell’acquedotto.


Se effettivamente si accerta una presenza di metallo oltre i limiti consentiti, si può facilmente intervenire, mettendo a norma l’impianto. La stessa cosa per la questione dei nitrati, che hanno una concentrazione piuttosto elevata nelle acque di città come Marsala, Olbia e Piacenza: si tratta di valori comunque accettabili che, al più, sconsigliano l’uso dell’acqua corrente per i neonati, la cui soglia di tolleranza è di 10mg/l contro i 50 mg/l degli adulti.


Spesso, poi, si sente parlare del problema dell’arsenico, sostanza tossica usata in alcuni processi industriali immessa nell’ambiente tramite rifiuti ed emissioni; ma, anche in questo caso, occorre fare chiarezza: in alcune Regioni, come il Lazio, il limite massimo consentito è stato elevato, quindi è possibile che ce ne sia più che altrove, ma si tratta comunque di quantità non pericolose. I controlli, poi, sono rigorosi, tanto che, lo scorso anno, in alcuni quartieri di Roma, è stato proibito per alcune settimane il consumo di acqua del rubinetto.

POSSO FAR ANALIZZARE L’ACQUA DI CASA MIA?


«Certo, puoi rivolgerti alla tua Asl di appartenenza, al gestore idrico (che, comunque, in qualche Regione, allega alla bolletta dell’acqua il certificato delle analisi, oppure lo pubblica per legge sul suo sito) o a un laboratorio accreditato specializzato», spiega Inderbitzin.


Da qualche tempo, poi, sono disponibili anche kit fai-da-te, come quello messo a punto dall’Università di Milano-Bicocca e reperibile on line: così, puoi analizzare alcuni tra i più importanti parametri di qualità dell’acqua potabile, cioè la durezza, il pH e il contenuto di solfati, cloruri, nitrati e nitriti.

SE È CALCAREA CORRO DEI RISCHI?


«I depositi di sali di calcio sono dannosi solo per gli elettrodomestici e le condotte idriche, ma non per l’uomo», dice Drusiani. «In alcune città, come Roma, l’acqua è, in effetti, molto “dura” e ha un sapore più corposo, ma non ci sono pericoli. Peraltro, le nostre acque hanno un contenuto di calcio adeguato per le persone sane di qualunque età».


Solo chi soffre di calcoli e deve bere molto dovrebbe preferire un’acqua leggera, poiché ha un maggiore effetto diuretico. «Semmai, è un’acqua molto dolce, cioè povera di sali minerali, a essere dannosa, perché i sali, e in particolare il calcio, sono sostanze fondamentali per l’organismo e non bastano latte e formaggio a garantirne un’assunzione adeguata», aggiunge Inderbitzin.

SERVONO I DEPURATORI CASALINGHI?

 

«L’acqua che beviamo è già sicura. I filtri con carbone attivo presenti in alcune brocche servono solo a eliminare l’odore e il sapore di cloro (usato dai gestori idrici per disinfettare l’acqua e garantire la sicurezza igienico-sanitaria lungo tutta la rete di distribuzione)», puntualizza Inderbitzin.


«Quanto ai sistemi di depurazione che si inseriscono nei rubinetti o sotto i lavandini e alle apparecchiature per la microfiltrazione domestica, spesso peggiorano la qualità dell’acqua perché la addolciscono troppo e, se non sottoposti ad adeguata manutenzione, possono immettere batteri. In più, lo spreco di risorse è notevole: per ottenere un litro di acqua filtrata, se ne utilizzano tre di acqua potabile. Insomma, l’unico vantaggio, anche in questo caso, è che eliminano il retrogusto di cloro»,continua Iderbitzin.

COSA OFFRONO LE “CASE DELL’ACQUA”?

 

«Erogano acqua potabile fresca, naturale o frizzante, gratuita (se è addizionata con anidride carbonica può costare 5 centesimi/l) e senza alcun sapore di cloro, perché viene filtrata e depurata con i raggi ultravioletti di speciali lampade che hanno anche un’azione battericida (ma, in termini qualitativi, è identica a quella che arriva nelle nostre case)», dice Drusiani.


Occhio, però, a non fare scorte: l’acqua delle casette, come quella del rubinetto, va consumata nel giro di pochi giorni, altrimenti si rischiano proliferazioni batteriche dovute al fatto che i contenitori difficilmente sono sterili.

VIA IL SAPORE DI CLORO

 

«Alle concentrazioni presenti nell’acqua potabile, il cloro non ha alcun effetto nocivo sull’organismo. Peraltro, la soglia fissata dalla legge italiana è di 30 microgrammi per litro, molto più bassa di quella europea, che è di 100 microgrammi», nota Inderbitzin. Il suo sapore, però, può risultare sgradevole.

«Per eliminarlo lascia scorrere per un po’ l’acqua del rubinetto, riempi una bottiglia e mettila in frigo per un paio d’ore senza il tappo: il cloro evaporerà, poiché è un composto altamente volatile», suggerisce Drusiani. «Se, invece, la chiudi, il rischio è che il problema si accentui. Per evitare che l’acqua prenda l’odore e il sapore di altri cibi presenti nel frigo, basta inserire il turacciolo due ore dopo la raccolta».

Articolo pubblicato sul n. 43 di Starbene in edicola dal 13/10/2015


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