Benching: quando in amore ti senti la “riserva” e come uscirne
Scopri cos’è il benching in amore, come riconoscere i segnali e le strategie psicologiche per uscire dalle relazioni ambigue, rafforzando l’autostima

Il panorama del modern dating è un labirinto in continua evoluzione, spesso popolato da dinamiche relazionali che lasciano dietro di sé confusione e ferite. Termini come ghosting, breadcrumbing e situationship sono ormai entrati nel vocabolario comune, descrivendo interazioni sentimentali sempre più sfuggenti. Tra queste, emerge un fenomeno particolarmente sottile e logorante: il benching.
Prendendo in prestito il suo nome dal linguaggio sportivo, il benching descrive una posizione ambigua e frustrante, in cui si è tenuti in uno stato di sospensione emotiva, una vera e propria "panchina" da cui si attende una chiamata che potrebbe non arrivare mai.
Quali sono i segnali di allarme e le ragioni psicologiche che spingono una persona a gestire le sue relazioni in questo modo? Ma, soprattutto, quali strategie concrete si possono adottare per recuperare il proprio valore e uscirne?
Cos'è il benching e i segnali per riconoscerlo
Dal punto di vista psicologico, il benching è una forma di relazione in cui l'individuo viene mantenuto in uno stato di attesa costante, una sorta di limbo affettivo.
«C'è una forma particolare di attesa che si conosce bene, anche se spesso non le si dà un nome. Un'attesa in cui si resta sospesi tra un messaggio e l'altro, tra una promessa vaga e silenzi infiniti. Il benching descrive esattamente questo: essere tenuti in squadra senza mai entrare davvero in campo», spiega la psicologa Alessia Cipriano.
Chi subisce questo trattamento di solito si pone una domanda cruciale: "Ma io, per questa persona, cosa sono?”. «Se ci si ritrova a chiederselo continuamente e la risposta non arriva mai, né dalle parole né dai gesti, probabilmente si è già seduti su quella panchina», osserva l'esperta.
Riconoscere di essere vittima di benching è il primo passo per uscirne, anche perché i segnali sono chiari, ma spesso vengono razionalizzati nella speranza di un cambiamento. I campanelli d'allarme sono:
- Comunicazione inconsistente: i messaggi e l'interesse vanno e vengono senza una logica apparente.
- Piani last-minute: gli incontri vengono concessi ma organizzati sempre all'ultimo, come se il proprio tempo fosse infinitamente disponibile.
- Ossessione e ansia: si entra in un controllo ossessivo del telefono e l'umore cambia radicalmente a seconda che l'altra persona scriva o meno.
Le motivazioni psicologiche del benching
Perché si pratica il benching? Le ragioni sono complesse e spesso riflettono una profonda difficoltà interiore, ma non per questo sono meno dannose. Ecco le cause.
- Paura dell'intimità. Nella maggior parte dei casi, chi mette in panchina ha un rapporto complicato con la vicinanza emotiva. «Chi tiene qualcuno in sospeso spesso ha una relazione complicata con la vicinanza. La desidera, ma quando arriva lo spaventa. Allora crea distanza, poi torna, poi sparisce di nuovo. Nella maggior parte dei casi è una difficoltà autentica a stare nell'intimità senza sentirsi soffocare».
- Bisogno di validazione. In altri casi il comportamento è più intenzionale, guidato da un bisogno egoistico. «C'è chi lo fa intenzionalmente, perché ha bisogno di sentirsi desiderato senza dover restituire nulla», spiega la dottoressa Cipriano. «Avere qualcuno che aspetta alimenta una certa idea di sé. E soprattutto è semplice, perché non richiede reciprocità, e proprio per questo è profondamente squilibrato».
- Illusione della scelta illimitata. In un'epoca di app di dating e infinite possibilità percepite, emerge la paura di impegnarsi, il cosiddetto "timore di perdere le opzioni". «C'è la paura di scegliere. Viviamo in un tempo che ci illude di poter tenere tutto aperto, tutte le porte socchiuse. Scegliere una persona significa rinunciare all'idea di tutte le altre. Per alcuni questo è insopportabile».
Il danno dell'ambiguità e perché è difficile uscirne
L'ambiguità non è una pausa innocua: è una costante fonte di stress emotivo. «L'ambiguità è una forma sottile di maltrattamento emotivo. Siamo fatti per cercare la prevedibilità, perché ci fa sentire al sicuro. Quando non la troviamo, si resta in allerta costante. L'ansia, i pensieri che girano in cerchio, la difficoltà a concentrarsi su qualsiasi altra cosa: sono tutte risposte fisiologiche a una situazione che si percepisce come minacciosa», afferma l'esperta.
Il danno più insidioso è a carico dell'autostima. «Piano piano, si inizia a pensare che il problema sia nostro. Che, se si fosse diversi, più belli, più interessanti, l'altro ci sceglierebbe senza esitazioni. Questa narrazione entra dentro e consuma, un pezzo alla volta».
E spesso, lasciare una relazione ambigua è difficile, perché manca una chiusura netta. «Andarsene è complicato, perché l'ambiguità provoca dipendenza. E poi c'è qualcosa di ancora più insidioso perché, quando qualcuno ci lascia chiaramente, si può soffrire, elaborare, andare avanti, ma quando si resta nel limbo, il lutto non inizia mai. E la speranza, quella che dovrebbe essere una risorsa, invece lega».
Strategie pratiche per "scendere dalla panchina"
Per uscire dal benching, è fondamentale riprendere il controllo della propria vita emotiva.
«La prima cosa è smettere di interpretare e iniziare a chiedere. Non in modo accusatorio, non con rabbia, ma con la chiarezza di chi ha il diritto di sapere dove si trova: "per me è importante sapere dove sta andando questo rapporto", oppure "per me è importante capire se c'è spazio per qualcosa di concreto, altrimenti preferisco saperlo adesso". La risposta, o il silenzio, dirà tutto quello che c'è da sapere».
Inoltre, bisognerebbe sempre darsi un tempo concreto entro cui la situazione deve evolversi. «Se non succede, la decisione la si prende da soli; aspettare che sia l'altro a definirci è già una prima rinuncia a noi stessi», dice la psicologa. «Un'altra strategia fondamentale è smettere di essere sempre disponibili, perché il proprio tempo ha valore, e se lo si tratta come se non ne avesse, si sta insegnando all'altro a fare lo stesso. Infine, bisognerebbe sempre ricordare che si esiste al di fuori della relazione, cioè non deve diventare il centro della nostra esistenza. Le amicizie, il lavoro, le cose che si ama fare: non sono distrazioni dalla vera vita che aspetta di cominciare con quella persona. Sono la vita. E tornare a goderne è una modalità per uscire da quella panchina ed essere protagonisti della propria esistenza».
Il vero cambiamento avviene con un lavoro interiore profondo per rafforzare la sicurezza personale. «Tutti vogliamo più sicurezza nella vita, ma quest'ultima non si ottiene convincendo qualcuno a sceglierci. Si costruisce imparando a scegliere sé stessi, anche quando significa accettare che quella persona, quella relazione, non era quello che si sperava».
Il mondo è pieno di persone che sono pronte a darci priorità, e sono quelle che meritano un posto nella nostra vita. La scelta finale è sempre quella di onorare il proprio valore.
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