Helicobacter pylori: cos’è, sintomi, cause, diagnosi, cura

Riguarda il 30-50% della popolazione generale, anche se non sempre dà segni di sé. Questo batterio causa un’infezione che, se riscontrata, va spenta con un opportuno cocktail di farmaci



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“Ho l’Helicobacter pylori”. Chissà quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase da amici, parenti o conoscenti, perché si parla di un batterio molto più diffuso di quanto immaginiamo. Dalle stime riguarderebbe circa il 30-50 per cento della popolazione generale, anche se non sempre dà segni di sé.

«Spesso l’Helicobacter pylori è silente, ma talvolta può provocare una sintomatologia gastrointestinale più o meno marcata. In caso di sospetto, è sempre opportuno rivolgersi al medico di base, che eventualmente invierà allo specialista di riferimento per opportuni accertamenti», raccomanda la dottoressa Antonella Rigante, responsabile del Servizio di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza.

Cos’è l’Helicobacter pylori

L’Helicobacter pylori è un batterio Gram-negativo, in grado di sopravvivere nell’ambiente acido dello stomaco.

«In passato si riteneva che l’ambiente gastrico fosse troppo acido per consentire la sopravvivenza dei germi, mentre l’Helicobacter pylori ha dimostrato la sua capacità di “farla franca” grazie a un particolare stratagemma: produce un enzima, l’ureasi, che fa aumentare il pH circostante, rendendolo meno acido. Inoltre, la particolare conformazione a elica, da cui il batterio prende il nome, gli consente di penetrare nello strato mucoso più esterno della parete dello stomaco e poi di ancorarsi a quello più interno, dove l’acidità è inferiore», racconta la dottoressa Rigante.

«Questa sua abilità ne spiega la grande diffusione nella popolazione generale, dove è piuttosto comune riscontrarlo, anche occasionalmente».


Quali sono i sintomi

Nella maggior parte dei casi, l’infezione da Helicobacter pylori è del tutto asintomatica o paucisintomatica (con sintomi lievi, quasi impercettibili), per cui non sempre ci accorgiamo della sua presenza.

«Talvolta, questo batterio può determinare dispepsia, cioè una cattiva digestione, oppure bruciore epigastrico e senso di gonfiore; altre volte invece, ma raramente, la sintomatologia è più importante, perché l’Helicobacter pylori può provocare un’ulcera peptica ed essere coinvolto nella patogenesi dell’adenocarcinoma dello stomaco e del linfoma gastrico a basso grado», descrive la dottoressa Rigante.

«La minore o maggiore gravità dell’infezione dipende da diversi fattori, come la capacità del batterio di produrre tossine CagA e la sua localizzazione a livello gastrico. Per esempio, se l’infezione predomina nella parte inferiore dello stomaco può causare gastrite, ulcera prepilorica e duodenale, mentre l’infezione a predominanza del corpo gastrico può provocare gastrite atrofica e predisporre all’insorgenza dell’ulcera gastrica e dell’adenocarcinoma gastrico».

Come si diagnostica l’Helicobacter pylori

I test che possono rilevare la presenza dell’Helicobacter pylori sono l’Urea Breath Test - un semplice “esame del respiro” dove al paziente viene chiesto di soffiare in un’apposita provetta -, la ricerca dell’antigene fecale (condotta su un campione di feci) e la biopsia in corso di gastroscopia, durante la quale vengono prelevati campioni della mucosa dello stomaco e dell’intestino, analizzati poi al microscopio.

Chi deve sottoporsi ai test? Ovviamente chi presenta sintomi gastrointestinali riconducibili a questa infezione, ma anche chi ha una familiarità di primo grado per il tumore dello stomaco dovrebbe sottoporsi a una gastroscopia di screening, durante la quale viene ricercato l’Helicobacter pylori.

«Qualora venga riscontrato, è bene procedere con l’eradicazione, anche se in assenza di sintomi. Altrettanta attenzione va riservata a chi assume farmaci che possono avere un effetto “additivo” con questo batterio: parliamo di antinfiammatori non steroidei, anticoagulanti o antiaggreganti in terapia cronica. In questo caso, l’infezione da Helicobacter pylori potrebbe aumentare il rischio di sanguinamento o di ulcera peptica, per cui va riscontrata e trattata».


Come avviene il contagio

Non sono ancora del tutto chiari i meccanismi di trasmissione. «Siccome troviamo l’Helicobacter pylori nella saliva e nelle feci dei pazienti infetti, si pensa che la via di trasmissione più probabile sia quella orale, tramite contatti diretti o goccioline di saliva diffuse nell’aria, oppure oro-fecale, possibile in condizioni igieniche non ottimali», avverte l’esperta.

«Ciò significa che è necessario usare particolari accortezze quando si maneggiano alimenti e stoviglie, anche se potrebbero esistere altre modalità di contagio non ancora note».


Come si tratta l’Helicobacter pylori 

Una volta diagnosticato, l’Helicobacter pylori va eradicato con un cocktail di farmaci, che prevede l’associazione di diversi tipi di antibiotici e inibitori della pompa protonica (più noti come “gastroprotettori”) che bloccano la produzione di acido cloridrico da parte delle cellule dello stomaco.

«In genere si comincia con una terapia di prima linea, basata sulla somministrazione di un anti-secretore e antibiotici: quadruplice terapia, terapia concomitante, terapia sequenziale, triplice terapia. Qualora il tentativo fallisca, si passa a una terapia di seconda linea, mentre nei casi più resistenti si opta per la terapia di salvataggio, considerando altri schemi terapeutici con l’aggiunta di altri antibiotici», spiega la dottoressa Rigante.

A quel punto, trascorse 4-6 settimane dal termine del trattamento, è opportuno verificare il successo dell’eradicazione tramite uno dei test non invasivi (Urea Breath Test o ricerca dell’antigene fecale). «Teniamo presente che la terapia eradicante non equivale a una vaccinazione, per cui non è così rara una nuova re-infezione a distanza di tempo», conclude l’esperta.


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