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Antinfiammatori: perché possono fare male al cuore

Assunti per lunghi periodi aumentano il rischio di infarto e di ictus. Scopri perché e cosa fare

credits: iStock




Li assumiamo a stomaco pieno per evitare di ammalarci di ulcera. E, per la stessa ragione, siamo bravi ad associarli a un gastroprotettore, per difendere la mucosa gastrica.

Bene no? Sì, ma non basta. Perché pochi sanno che i farmaci antinfiammatori, usati comunemente per  combattere i dolori di vario genere, possono far male al cuore. Gli studi che li collegano a un aumentato rischio di problemi cardiaci non mancano.

L’ultima corposa ricerca, pubblicata sull’European heart journal cardiovascular pharmacotherapy, ha preso in esame 28.947 casi di arresto cardiaco registrati in Danimarca nell’arco di 10 anni. Risultato: l’uso degli antinfiammatori non steroidei è risultato legato a un aumento medio di rischio di infarto del 31%.


Chi deve vigilare di più

«Questi farmaci indeboliscono l’endotelio vascolare, cioè il tessuto che ricopre internamente la parete di arterie e vene, diminuendone l’elasticità e la capacità di vasodilatarsi», spiega il professor Cesare Fiorentini, direttore Sviluppo area clinica del Centro cardiologico Monzino Irccs (MI).

«Non solo. In chi ha già lesioni dell’endotelio, gli antinfiammatori influiscono sulle placche aterosclerotiche, aumentandone la capacità di staccarsi e di vagare pericolosamente nel circolo sanguigno, con un aumento del rischio di infarto e di ictus».

Insomma, non c’è da scherzare con questi farmaci, pericolosi soprattutto per chi soffre di ipertensione, oppure è stato sottoposto a un intervento di angioplastica, o di
posizionamento di stent. Anche nei pazienti che assumono anticoagulanti queste medicine possono provocare emorragie.

«Il rischio esiste, in particolare, in caso di utilizzo prolungato», precisa l’esperto. «Pensiamo per esempio agli ultrasessantenni che li assumono per il dolore da artrosi».


Vanno presi solo “al bisogno”

Questo non significa eliminare gli antinfiammatori non steroidei, ma farne un uso oculato e corretto. Questi medicinali, infatti, vanno bene “al bisogno”, mentre danno più effetti collaterali che benefici per il trattamento del dolore cronico, cioè quando il problema dura da oltre tre mesi.

Allora è necessario rivolgersi allo specialista per impostare una cura ad hoc con altri tipi di farmaci, in grado di eliminare il male senza ripercussioni sull’apparato cardiaco. Per esempio la tachipirina, ma sempre e solo se il cardiologo è d’accordo.


Le regole per non sbagliare quando li usi

1. Diversi antinfiammatori non steroidei sono farmaci di automedicazione, cioè senza obbligo di ricetta medica. Fanno parte di questa categoria principi attivi quali acido acetilsalicilico, ibuprofene e diclofenac, per citarne solo alcuni. Se sei iperteso o hai problemi cardiaci o vascolari verifica col cardiologo (una visita obbligatoria
nel tuo caso) se puoi utilizzarli.

2. Vanno usati per un periodo breve: significa che se nell’arco di 2-3 giorni i disturbi non migliorano o addirittura peggiorano, bisogna rivolgersi al medico di
famiglia.

3. Anche se si possono acquistare senza ricetta, bisogna sempre chiedere consiglio prima al medico se si è in gravidanza, se si stanno seguendo cure per altre malattie o se a prenderli è una persona anziana o un bambino.

4. Molti di noi li hanno in casa. La prossima volta che li usi chiediti: la tua pressione è ok? Il colesterolo? Anche il farmacista può controllarli. 


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Articolo pubblicato sul n.2 di Starbene in edicola dal 27/12/2017

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