Toxoplasmosi, non solo dai gatti: cos’è, i sintomi, la terapia

Spesso correlata unicamente al contatto con i gatti, in realtà la toxoplasmosi ha diverse fonti di trasmissione e, dopo la prima infezione, può “riattivarsi” in particolari condizioni



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“Non toccare il gatto”. Questo monito viene spesso rivolto alle donne in gravidanza, che – insieme al pancione – vedono crescere la fobia nei confronti dei felini domestici, considerati i principali “untori” per la toxoplasmosi. «In realtà, il parassita responsabile di questa malattia può infettare molti animali, non solo i gatti, compresi rettili, molluschi e uccelli», racconta il dottor Nicola Castaldini, specialista in Medicina interna al San Pier Damiano Hospital di Faenza, Ravenna.

«Per di più, solitamente, il problema non riguarda i gatti d’appartamento, che si alimentano con cibi controllati e che difficilmente entrano in contatto con altri animali, erbe o terreni contaminati. Inoltre, la loro lettiera viene pulita regolarmente, mentre le oocisti del parassita si schiudono dopo tre giorni a temperatura ambiente e in condizioni di alta umidità». Ciò significa che il vero serbatoio felino di questa infezione sono i gatti randagi, anche se in base ai dati più recenti la principale fonte di trasmissione è il consumo di carne non adeguatamente cotta, che causa il 65 per cento dei contagi.

Che cos’è la toxoplasmosi

La toxoplasmosi è un’infezione parassitaria, dovuta a un microrganismo (il Toxoplasma gondii) che può trasmettersi dal mondo animale all’uomo. «Rientra, quindi, nel grande capitolo delle zoonosi, un fenomeno naturale con cui l’uomo convive da millenni, perché il “salto di specie” non rappresenta una novità dei giorni nostri», precisa il dottor Castaldini.

«Il contagio può avvenire attraverso l’ingestione della carne di un animale infetto, in particolare se consumata cruda o non adeguatamente cotta, o più frequentemente attraverso la trasmissione oro-fecale, possibile in diversi modi: per esempio, mangiando frutta o verdura contaminate, toccandosi gli occhi oppure la bocca dopo aver pulito la lettiera di un gatto infetto, facendo giardinaggio in un terreno contaminato dalle feci di un animale con toxoplasmosi».

Perché la toxoplasmosi può riattivarsi

Di solito, dopo aver contratto la prima infezione (toxoplasmosi primaria), nell’organismo vengono prodotti anticorpi e linfociti specifici che proteggono a vita da successivi contagi: esiste, però, una forma secondaria (toxoplasmosi post-primaria) caratterizzata dall’assenza di segni clinici e di laboratorio dell’infezione acuta, ma con la persistenza del parassita nell’organismo, “insediato” nei muscoli e nel cervello.

Quando le difese immunitarie vengono meno, il microrganismo può riattivarsi, tornare aggressivo e indurre nuovi danni con un meccanismo molto simile a quello dell’Herpes simplex, che di tanto in tanto affiora in superficie sulle labbra o sul viso, magari quando siamo malati oppure particolarmente stanchi o stressati.

Quali sono in sintomi della toxoplasmosi

Nelle persone adulte e in buona salute, il Toxoplasma gondii determina un’infezione asintomatica o comunque lieve, che si risolve da sola nell’arco di pochi giorni. «Talvolta, si possono sviluppare sintomi parainfluenzali, come febbricola, dolori muscolari, mal di testa, stanchezza, malessere generale e linfonodi ingrossati, come qualsiasi altra infezione», descrive il dottor Castaldini.

«Diverso è il caso dei soggetti immunodepressi, come le persone affette da HIV, i pazienti oncologici, i trapiantati e in generale chi assume terapie immunodepressive: in questo caso, l’infezione acuta può essere molto severa e generare per esempio delle encefaliti oppure problemi oculari importanti, come la corioretinite, un’infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio e può determinare un danno irreversibile alla vista».

Toxoplasmosi, quali sono i rischi in gravidanza

Un periodo particolarmente delicato è la gravidanza, quando l’infezione contratta dalla futura mamma può trasmettersi al feto attraverso la placenta. «A seconda del trimestre in cui questo accade, possono derivare malformazioni nel nascituro o addirittura aborto oppure morte in utero», avverte il dottor Castaldini.

«Ecco perché tra gli esami del primo trimestre di gravidanza viene indicata l’esecuzione del Toxo test, un semplice esame del sangue finalizzato a scoprire lo stato di immunizzazione nei confronti della toxoplasmosi. Se vengono rilevati anticorpi specifici, i cosiddetti “anticorpi di memoria”, significa che la donna è già stata infettata e può stare tranquilla; se non ha anticorpi, è necessario ripetere il test tutti i mesi e attenersi ad alcune norme igieniche per evitare il contagio; se, invece, ha degli anticorpi di tipo IgM, che indicano un’infezione acuta o subacuta, bisogna ragionare sulla necessità di procedere con una terapia antibiotica specifica».

Come si tratta la toxoplasmosi

Una volta accertata l’infezione, è possibile somministrare alla futura mamma oppure al soggetto con sintomatologia severa dei farmaci specifici (antibiotici) che possono debellare il Toxoplasma gondii ed evitare ripercussioni importanti.

«In gravidanza, la terapia più utilizzata è quella con spiramicina, ben tollerata sia dalla madre sia dal feto, ma esistono combinazioni antibiotiche ancora più efficaci, come pirimetamina e sulfadiazina, obbligatorie quando la presenza del parassita è confermata nel liquido amniotico. Grazie alle attuali possibilità di trattamento, circa il 90 per cento dei bambini nasce senza sintomi evidenti e risulta negativo ai controlli», assicura l’esperto.


Come si previene la toxoplasmosi

Al momento, non esiste un vaccino contro la toxoplasmosi, per cui la prevenzione passa attraverso una serie di comportamenti e di pratiche che possono ridurne il rischio: sostituire spesso la lettiera dei gatti (in caso di gravidanza, meglio delegare questo compito) ed evitare il contatto con le loro feci, non consumare carni crude (compresi gli affettati) o poco cotte, lavare accuratamente sotto l’acqua corrente frutta e verdura (da cuocere sempre in gravidanza), pulire accuratamente gli utensili e le superfici della cucina venuti a contatto con ingredienti crudi, usare guanti di gomma per le attività che comportano il contatto con materiali potenzialmente contaminati (come il giardinaggio), evitare il consumo di frutti di mare crudi (in particolare cozze, capesante e ostriche).


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