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Intolleranza al lievito: perché non esiste

C’è chi evita pane, pizza e prodotti da forno, pensando di essere intollerante al lievito. Ma per la scienza questo problema non esiste. La causa di gonfiore e disagio va cercata altrove

pixabay



Spesso, dopo aver mangiato una pizza oppure una fetta di torta, può capitare di avvertire un senso di gonfiore a livello addominale, per cui ci si auto-diagnostica un’intolleranza al lievito. Ma è davvero così? In realtà, dal punto di vista scientifico, l’intolleranza al lievito come reazione avversa agli alimenti non esiste, perché le cosiddette intolleranze sono dovute alla mancanza parziale o totale degli enzimi che servono a scindere e digerire uno specifico nutriente (come nel caso del lattosio), a un’esagerata reattività biochimica ad alcune molecole (per esempio, istamina o tiramina) oppure a fattori non ancora conosciuti, dove non è noto perché alcune sostanze (come coloranti, addensanti, conservanti, antimicrobici o antiossidanti usati dall’industria alimentare) scatenino una reazione avversa. «Il lievito non rientra nella lista dei potenziali “indiziati” e di conseguenza non ci sono test specifici e di comprovata evidenza scientifica per diagnosticarne un’intolleranza», tiene a sottolineare il dottor Massimiliano Piolanti, biologo nutrizionista al Primus Forlì Medical Center.


Le cause di gonfiore addominale

Qualora si avvertano gonfiore addominale e meteorismo dopo aver mangiato pane e compagnia, la motivazione va ricercata piuttosto nella farina, che potrebbe essere di scarsa qualità e con un glutine troppo “forte” e di difficile digestione. «Spesso, nei prodotti lievitati vengono utilizzate farine molto forti, cioè con un glutine “moderno”, perché questo intreccio di proteine così duro garantisce un risultato migliore al fine dei processi rapidi di industrializzazione. La forza viene misurata con il cosiddetto indice W, o alveografico: maggiore è il suo valore, maggiore è la durezza del glutine», descrive il dottor Piolanti. «Basti pensare che oggi per la pastificazione viene spesso scelta la Manitoba, che può raggiungere 300-350 W, mentre le nostre nonne realizzavano il pane con farine che si aggiravano intorno ai 30-40 W. Cosa cambia nella nostra pancia? Semplice: con le farine moderne, è come se dovessimo digerire una gomma da masticare, perché la forza dal glutine rende gli impasti simili a chewing-gum».


Storia di un integratore

Se ci pensiamo bene, il lievito non può essere così dannoso, visto che esistono integratori in compresse che lo contengono proprio per il suo alto apporto di microelementi fondamentali per la salute, come le vitamine del gruppo B e numerosi sali minerali, preziosi per il rafforzamento di pelle, capelli, unghie e sistema immunitario. E per chi controbatte, sostenendo che quello in compresse è diverso rispetto al lievito usato per la panificazione, va sfatato un mito: si tratta dello stesso prodotto ma in forma secca, anziché fresca.

«Tra l’altro, il lievito non può fermentare nello stomaco: trattandosi di un microorganismo vivo, muore quando si trova a 50-60 gradi, per cui non esiste alcun prodotto da forno cotto correttamente che contenga lieviti vivi», racconta il dottor Piolanti. «E anche qualora li introducessimo, questi morirebbero immediatamente una volta raggiunto lo stomaco, perché non resisterebbero al pH fortemente acido. Insomma, nessuna pizza o altro prodotto può “lievitarci” nella pancia».


Come comportarsi a tavola

Eppure, sugli scaffali di negozi e supermercati, è sempre più comune imbattersi in prodotti etichettati come “senza lievito”, dove la dicitura – messa in bella evidenza sulle confezioni – rassicura e fa pensare a prodotti più digeribili e leggeri. «Si tratta di una pura strategia di marketing, dove presunti claim salutistici fanno leva sul consumatore e ne possono influenzare le scelte», afferma Piolanti.

«In realtà, l’elemento davvero importante è selezionare attentamente gli ingredienti dei prodotti che mettiamo nel carrello, ricordando di variare spesso a tavola e di non esagerare mai con le quantità. I principali motivi di gonfiore addominale, infatti, sono l’eccesso di calorie e il mix di nutrienti che rendono la digestione difficile. Se pensiamo alla classica pizza, non sono i pochi grammi di lievito a renderla pesante, ma gli ingredienti, i tanti carboidrati e i grassi che spesso sono presenti sopra, con le “guarnizioni” che scegliamo. È normale che insorgano gonfiore e fastidio».

Un consiglio pratico: chi ha l’impressione di non digerire bene la pizza, può provare a mangiarne mezza oppure a trovare il quantitativo che riesce a elaborare senza problemi, tollerandolo. «Possiamo anche provare a sostituire il lievito di birra con la pasta madre, che è predigerita, ma alla fine possiamo ottenere la stessa leggerezza con il primo, allungando a 48-72 ore il tempo di lievitazione e utilizzando farine di qualità, magari di grani antichi».


Quando è davvero colpa del lievito

Detto ciò, non è possibile escludere del tutto che in alcuni soggetti il lievito – come qualunque altro ingrediente – possa scatenare un’allergia, dove però i sintomi non hanno nulla a che fare con il gonfiore addominale, ma sono pressoché respiratori, come rinite e asma, oppure dermatologici.

«In questo caso, deve essere un allergologo a indicare il percorso migliore da seguire per diagnosticare il problema», precisa il dottor Piolanti. «Se invece dopo un pasto moderato oppure uno spuntino a base di lievitati si continuano ad avvertire disturbi transitori a livello gastrointestinale, è bene verificare l’eventuale presenza di un’allergia alimentare scatenata da altri ingredienti che si accompagnano al lievito, come il grano per esempio. Qualora invece i problemi siano persistenti, è bene indagare sulla presenza di una malattia cronica intestinale oppure di un’alterazione della flora batterica, reversibile con un cambio di stile di vita».


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